Massimo Clarke: "Cosa c’è su quei metalli?"

Massimo Clarke: "Cosa c’è su quei metalli?"
L’arrivo di riporti superficiali dalle caratteristiche eccezionali sta davvero aprendo una nuova era in campo meccanico. Ormai sono davvero poche le cartelle stampa e le descrizioni tecniche che non ne parlano… | M. Clarke
28 ottobre 2011

 

In genere vengono indicati con delle sigle, che in realtà sono quasi sempre formule chimiche. Si tratta dei rivestimenti superficiali di ultima generazione, che in molte applicazioni hanno sostituito il tradizionale cromo “duro”, applicato galvanicamente, e che in svariati altri casi si sono imposti comunque per le loro straordinarie proprietà, che hanno consentito a certi componenti di lavorare in condizioni precedentemente impossibili. È questo ad esempio il caso dei bilancieri a dito di alcuni motori di altissime prestazioni, che grazie ad essi possono lavorare in presenza di pressioni di contatto impressionanti, non accettabili prima, e per di più in condizioni di lubrificazione spesso tutt’altro che ideali.


Il coefficiente di attrito


Fondamentalmente a caratterizzare questi formidabili riporti è un coefficiente di attrito estremamente basso, abbinato a una durezza molto elevata. Ciò si traduce in straordinaria resistenza all’usura e in esigenze assai modeste in fatto di lubrificazione, oltre che in un miglioramento del rendimento meccanico, nel caso degli impieghi a livello di motori e di trasmissioni. Altri punti importanti sono lo spessore ridottissimo dello strato che viene riportato sulle superfici e le modalità di applicazione, che generalmente rientrano nelle categorie PVD (physical vapor deposition) o PACVD (plasma assisted chemical vapor deposition). A seconda dei casi, le temperature di deposizione possono variare anche in misura assai sensibile. Lo spessore, dell’ordine di qualche micron soltanto (2 -4 mediamente), rende indispensabile dotare le superfici dei componenti di una finitura straordinariamente elevata, prima di procedere alla applicazione di questi riporti. Va anche segnalato che alcune aziende specializzate li indicano con nomi particolari o con sigle differenti da quelle usuali, il che talvolta può generare un po’ di confusione.

Le leghe di titanio

I primi a fare la loro comparsa, sulle moto, sono stati i riporti denominati TiN. Queste tre lettere non costituiscono un acronimo; sono la formula del nitruro di titanio. Questi rivestimenti sono nati per gli utensili da taglio; grazie ad essi è stato possibile aumentare notevolmente le velocità delle lavorazioni e la durata degli utensili stessi. In campo motociclistico sono stati inizialmente utilizzati per le forcelle, nelle quali hanno sostituito il cromo sulle canne. Un rivestimento di questo tipo ha generalmente una durezza di 2500-3000 punti Vickers e un coefficiente d’attrito dell’ordine di 0,4. Il colore è tipicamente giallo oro.
I vantaggi sono costituiti da una migliore scorrevolezza (cosa non trascurabile all’inizio del movimento e in presenza di piccoli spostamenti) e da una maggiore resistenza all’usura, anche in presenza di ambienti critici sotto questo aspetto.


Le leghe di titanio hanno una forte tendenza al grippaggio, ovvero all’”ingranamento” con i metalli contro i quali vanno a sfregare. Nel caso delle valvole realizzate con questi materiali è pertanto indispensabile impiegare degli adatti riporti superficiali, che devono anche essere in grado di lavorare a temperature elevate, date le condizioni che si hanno allo scarico. Un rivestimento che trova ampio impiego è quello di CrN (nitruro di cromo), che ha una durezza di 1800 - 2000 punti Vickers e un coefficiente d’attrito pari a circa 0,5. Sempre sulle valvole, trova impiego anche un altro riporto, quello di TiAlN (nitruro di titanio e alluminio). La durezza è di 3000-3500 punti Vickers e il coefficiente d’attrito dell’ordine di 0,30 – 0,35. Trova impiego anche su alcune canne di forcella, come quelle del KTM Duke 690 R.


Il WC/C è un riporto nanostrutturato, costituito da una serie di strati di carburo di tungsteno (WC) che si alternano con altri strati di carbonio amorfo. Ha una durezza di 1200 – 1600 punti Vickers e, cosa particolarmente apprezzata in varie applicazioni, un coefficiente d’attrito assai basso: solo 0,1 – 0,2. Si utilizza su alcuni motori da competizione, in particolare sugli ingranaggi.


Il "Diamond Like Carbon"

Veniamo ora al più importante dei riporti superficiali, il DLC, che arriva nel nostro settore direttamente dal mondo della Formula Uno. In effetti con questo acronimo (che sta per Diamond Like Carbon) si indica un ampio gruppo di rivestimenti a base di carbonio. Spesso è presente solo tale elemento, ma in diversi casi vi è anche una sensibile quantità di idrogeno. Il carbonio, qui generalmente amorfo, può avere legami tipici della grafite o tipici del diamante. Le caratteristiche pertanto possono essere piuttosto variabili. La durezza va generalmente da 2000 a 4000 punti Vickers (ma in qualche caso può superare i 5000), mentre il coefficiente d’attrito è sempre estremamente basso: dell’ordine di 0,10, può talvolta scendere a 0,05. Il colore è in genere nero brillante. I riporti di DLC hanno svariate applicazioni: bilancieri a dito, spinotti, segmenti, canne di forcella. Il numero dei costruttori che li adotta è in costante aumento. In diversi casi il carbonio può essere “drogato” con un elemento metallico. Con la sigla PLC si indica una “variante”, con legami sia grafitici che tipici del diamante, sviluppata dalla STS; ha una durezza di 1500 punti Vickers e viene impiegata, sotto forma di uno strato dello spessore di un micron, sui bilancieri del nuovissimo motore Ducati “Superquadro”.



Note

Per dare un’idea delle durezze in gioco, giova tenere presente che in componenti in acciaio cementato come i cuscinetti a rotolamento e gli ingranaggi si raggiungono durezze dell’ordine di 700-760 punti Vickers. Con la nitrurazione gassosa si può arrivare a 800 – 900 (e talvolta andare anche un pò oltre). I riporti di cromo duro, applicati galvanicamente, raggiungono valori dell’ordine di 850 - 1100 punti Vickers, indicativamente. Per la verità, in campo meccanico la durezza dei componenti in acciaio viene generalmente misurata in punti Rockwell, ma la conversione è semplice, dato che esistono apposite tabelle.

Un micron è un millesimo di millimetro. A rigore, secondo le norme SI, si dovrebbe dire un micrometro, ma siccome con questa parola si indica uno strumento di misura, in genere si preferisce impiegare il vecchio termine, cioè appunto micron.

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