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Su tutte le moto l’albero a gomiti invia il moto al cambio per mezzo della trasmissione primaria, che può essere realizzata secondo vari schemi, e che talvolta può addirittura mancare. La soluzione tradizionale prevede che alla estremità dell’albero di entrata del cambio sia posta la frizione, ma non è detto che sia sempre così. In passato non sono mancate infatti moto nelle quali essa era collocata alla uscita del cambio (come nella Gilera 150 degli anni Cinquanta e nella Bianchi Bernina) o alla estremità dell’albero a gomiti. Questa seconda soluzione è stata impiegata a lungo da grandi costruttori come la Adler, la Yamaha (per molti dei suoi bicilindrici a due tempi raffreddati ad aria) e la Rumi. Di recente l’ha rispolverata anche la BMW, per la 450 monocilindrica da fuoristrada.
Dunque, lo schema usuale prevede che il motore trasmetta il moto alla frizione per mezzo di due ruote dentate in presa tra loro (ovvero di un pignone, montato sull’albero a gomiti, e una corona, solidale con la campana, cioè con l’elemento conduttore della frizione stessa) o di una catena. Esistono però altre possibilità e alcune interessanti “variazioni sul tema”. Prima di esaminarle, è opportuno sottolineare che la trasmissione primaria deve provvedere anche a ridurre la velocità di rotazione, il che dà luogo a un proporzionale aumento della coppia (quella che entra nel cambio è quindi più elevata di quella disponibile all’albero a gomiti). Si tratta del primo stadio di un percorso che continua con il cambio e si conclude con trasmissione finale, determinando la velocità della ruota posteriore e la forza motrice che essa trasmette al suolo.
È importante osservare che utilizzando una catena il senso di rotazione rimane invariato; se la trasmissione primaria invece è affidata a una coppia di ruote dentate, il senso viene invertito.
Per lungo tempo le moto sono state quasi tutte dotate di un cambio separato. Questa soluzione in Italia e in Germania è definitivamente scomparsa dalla scena all’inizio degli anni Cinquanta. In Inghilterra tanto la BSA quanto la Triumph l’hanno abbandonata nel 1962-63, passando al cambio in blocco, ma altri costruttori hanno continuato ad impiegarla fino al termine della loro storia. Con i suoi bicilindrici la Norton addirittura è andata avanti fino alla metà degli anni Settanta. Negli USA le bicilindriche Harley-Davidson ad aste e bilancieri della serie grande hanno proseguito lungo questa strada anche dopo (si parla anche di soluzione in semiblocco, dato che la scatola del cambio, amovibile, viene collocata in un alloggiamento ricavato nella parte posteriore del motore).
In una classe a sé stante rientrano poi le moto con una trasmissione di schema automobilistico, come le Guzzi e le BMW bicilindriche boxer (tranne l’ultimissima 1200 GS), nelle quali la scatola del cambio è fissata mediante viti al basamento del motore.
Quando il cambio è separato la soluzione ovvia è quella di impiegare una trasmissione primaria a catena. In questo caso la distanza tra l’albero a gomiti e quello di entrata del cambio non è critica e può essere scelta dal progettista liberamente. Anche se oggi sono assai poco impiegate, le primarie a catena sono state largamente utilizzate fino a pochi anni fa anche nei motori con il cambio in blocco. Hanno impiegato una trasmissione di questo tipo pure importanti costruttori nostrani; negli anni Cinquanta si trattava di aziende come la Mondial (175 ad aste e bilancieri), la Bianchi (Tonale 175) e la Gilera (300 bicilindrica), alle quali si aggiungevano svariate ditte tedesche di notevole importanza. L’ultima grande casa italiana ad adottare questa soluzione è stata la Laverda (sulle famose bicilindriche 750 e sulle tricilindriche 1000 e 1200) negli anni Settanta e dintorni. Nello stesso periodo l’hanno impiegata anche la tedesca Maico e le spagnole a due tempi Bultaco, Montesa e Ossa, che hanno avuto una buona diffusione anche da noi. Pure i giapponesi hanno largamente impiegato questo tipo di trasmissione, nella versione con catena “silenziosa”, fino alla metà degli anni Ottanta; in seguito la sua utilizzazione è andata diminuendo, anche se è continuata fino a pochi anni fa.
In passato la catena lavorava quasi sempre allo scoperto. Poi è stata racchiusa in un carter o in un vano laterale e ha potuto essere lubrificata in maniera continua mediante olio, cosa che ha fatto aumentare enormemente la sua durata
Prima di parlare dei diversi tipi di catena sono opportune alcune brevi considerazioni sui pro e i contro delle trasmissioni primarie di questo genere. Come già detto, per lungo tempo diversi costruttori hanno apprezzato la notevole semplicità di questa soluzione, che consentiva di disporre il cambio dove si voleva, anche a una notevole distanza dall’albero a gomiti, senza che il posizionamento risultasse rigidamente obbligato. Bastava acquistare una catena di adeguate dimensioni, dal costo contenuto (come quello del pignone e della corona) e il gioco era fatto... Diversamente da quanto accade per gli ingranaggi, non ci sono infatti particolari esigenze per quanto riguarda il rispetto di una determinata distanza (con scostamento assolutamente minimo dalla quota prevista!) tra gli assi dei due alberi che vengono collegati. Le catene però non hanno una durata e una robustezza analoghe a quelle degli ingranaggi (a parità di larghezza). Inoltre, risentono degli effetti della forza centrifuga, cosa che non le rende molto adatte ai regimi di rotazione particolarmente elevati.
In un lontano passato la catena lavorava quasi sempre allo scoperto. Poi è stata racchiusa in un carter o in un vano laterale e ha potuto essere lubrificata in maniera continua mediante olio, cosa che ha fatto aumentare enormemente la sua durata. Solo in alcune moto da competizione, generalmente di fabbricazione inglese, ha continuato a essere scoperta, fino all’inizio degli anni Sessanta; la durata in questo caso non era importante…
Quando si parla di primarie a catena, di norma si intende che quest’ultima è a rulli. Talvolta si impiegano due catene montate una a fianco all’altra, come quelle utilizzate nella famosa Honda CB 750 Four. Più spesso si utilizzano catene con due (e talvolta anche tre) file di rulli. Negli anni Cinquanta per queste trasmissioni hanno avuto una notevole diffusione, e la soluzione è tipica della scuola tedesca, le catene a bussole.
L’industria motociclistica giapponese ha iniziato ad impiegare diffusamente le catene silenziose (dotate di maglie dentate) a partire dai primi anni Settanta. Dalla seconda metà del decennio successivo le hanno utilizzate i pochi motori ancora muniti di primaria a catena, mentre quelle a bussole e a rulli sono scomparse dalla scena, con le sole eccezioni degli eterni bicilindrici Harley Davidson a V di 45° e dei monocilindrici Royal Enfield prodotti in India.
Tra i modelli più noti che hanno impiegato le catene silenziose (generalmente del tipo Hy-Vo) vanno ricordati almeno i quadricilindrici Honda CBX 400 e 550 e i bicilindrici Kawasaki della serie culminata con l’Er-5. In questi casi, dato che il cambio era del consueto tipo in cascata, per far sì che l’albero di uscita girasse in avanti l’albero a gomiti doveva ruotare all’indietro.
Nelle moto inglesi, come del resto nelle Laverda 750 e 1000/1200, questo non era necessario e l’albero a gomiti girava in avanti in quanto il cambio era del tipo con presa diretta (ovvero con il manicotto di uscita coassiale con l’albero di entrata e ruotante nello stesso verso).
Le trasmissioni primarie a ingranaggi hanno iniziato a diffondersi diverso tempo dopo quelle a catena. Per poterle adottare era necessario che il cambio fosse in blocco o in semiblocco e che le lavorazioni fossero particolarmente accurate. Quest’ultima esigenza, unitamente al costo comunque maggiore (almeno all’epoca), ha ritardato notevolmente la loro affermazione su vasta scala; già negli anni Venti comunque c’erano alcuni costruttori che le impiegavano con successo, come la Guzzi e la Indian. All’epoca era giustamente considerata una soluzione di notevole raffinatezza. Il grande boom si è avuto nel corso degli anni Cinquanta e la definitiva affermazione ha avuto luogo nel decennio successivo. La soluzione si è in seguito pressoché standardizzata.
Un problema col quale per diverso tempo i tecnici hanno avuto a che fare era la rumorosità che all’epoca non di rado veniva prodotta dalle trasmissioni di questo tipo; ciò ha portato molti costruttori (tra i quali spiccavano quelli italiani) a impiegare ingranaggi con denti elicoidali. Nel corso degli anni Settanta quasi tutte le case nostrane sono però passate a quelli con denti dritti, in precedenza riservati principalmente alle realizzazioni da corsa.
Le trasmissioni primaria a ingranaggi sono robustissime e durano quanto la moto. Se, come accade di norma, le ruote dentate sono due, il senso di rotazione viene invertito. Con un cambio in cascata questo significa che l’albero a gomiti gira in avanti.
In passato hanno avuto una certa diffusione anche le trasmissioni primarie costituite da tre ruote dentate (quella intermedia veniva in genere impiegata per comandare la distribuzione). Spiccano qui due regine degli anni Cinquanta, come la NSU Max e la Morini 175, costruita in più versioni di grande successo. In questo caso il senso di rotazione non veniva invertito e infatti in questi motori l’albero a gomiti girava in avanti, ma il cambio era del tipo con presa diretta. Una “variazione sul tema” prevede che la trasmissione primaria a ingranaggi utilizzi un albero ausiliario intermedio. Questo schema è stato impiegato su alcuni celebri motori da corsa del passato; oggi lo adottano la tricilindrica MV Agusta (nel quale l’albero intermedio funge anche da equilibratore dinamico) e la Yamaha M1 da Gran Premio. Queste ultime due moto hanno un cambio del consueto tipo in cascata e di conseguenza l’albero a gomiti gira all’indietro (ossia in senso opposto rispetto a quelle nel quale girano le ruote).
Negli anni Settanta e fino all’incirca a metà del decennio successivo i costruttori giapponesi hanno utilizzato diffusamente le trasmissioni primarie “miste”, con un primo stadio costituito da una catena silenziosa, che azionava un albero ausiliario, e un secondo stadio a ingranaggi. Hanno fatto ricorso a questa soluzione modelli famosi come le Honda CB 500, 350 e 400 Four, le Kawasaki KZ 500 e 650 e le Honda CB 900 F e CBX 1050.
Infine è interessante segnalare che esistono svariati kit per trasformare la primaria da catena a cinghia dentata (lavorante a secco). Vengono impiegati principalmente dai customizzatori americani e dai piloti che corrono nelle gare per le moto storiche con le inglesi classiche. Pure la Harley Davidson nei primi anni Ottanta ha per un breve periodo sondato questa strada.