Nei motori da competizione, per richiamare le valvole si sfrutta del gas in pressione, mentre in quelli di serie si utilizza del filo di acciaio avvolto ad elica. Ecco i perché di questa differenza | M. Clarke
Semplicissime all’apparenza, le molle delle valvole sono in realtà il frutto di una tecnologia molto evoluta. Si, perché a 12.000 giri/min, regime tutt’altro che esasperato per una attuale supersportiva a quattro cilindri, ogni valvola si apre e si richiude 100 volte al secondo. A 8.000 giri/min lo fa 66 volte al secondo. E deve continuare a farlo in maniera impeccabile per decine di migliaia di chilometri, ossia per milioni di volte! Le accelerazioni alle quali sono sottoposti gli organi in moto alterno della distribuzione sono imponenti. Insomma, per le molle la vita è davvero dura. Non c’è quindi da stupirsi che per arrivare agli attuali risultati - assolutamente eccezionali a livello di prestazioni, durata e affidabilità - siano stati necessari anni e anni di ricerca e di sviluppo in campo metallurgico.
Anche se in passato i regimi di rotazione erano modesti e le accelerazioni non erano certo elevate, le molle delle valvole costituivano un vero e proprio punto debole a livello motoristico, ed hanno continuato ad esserlo per interi decenni. Andavano sostituite di frequente e non di rado si rompevano. È stato a causa loro che diversi costruttori hanno continuato a lungo a dotare di motori a valvole laterali i loro modelli più tranquilli, destinati ad essere particolarmente affidabili e longevi: se una molla si rompeva, la valvola non cadeva nel cilindro né andava ad urtare contro il pistone…
Nel periodo tra la metà degli anni Trenta e l’inizio degli anni Sessanta sulle moto da competizione hanno trovato largo impiego le molle a spillo, montate in modo da lavorare allo scoperto. Molti dicevano che in tal modo si evitasse che esse raggiungessero temperature elevate. La verità era invece che questo tipo di installazione rendeva assai più agevole la realizzazione della testa, che risultava di struttura relativamente semplice: su di essa, infatti, veniva imbullonato un “castello” amovibile, ove erano alloggiati gli alberi a camme. Inoltre, in caso di rottura di una molla (evento allora tutt’altro che infrequente), la sua sostituzione era agevole, in quanto non era necessario rimuovere la testa dal motore, e neppure togliere il castello.
Per quanto riguarda la scelta delle molle a spillo, si spiegava principalmente col fatto che per diverso tempo sono state le migliori disponibili, almeno nella maggior parte dei casi. Inoltre, esse consentivano di impiegare valvole con lo stelo più corto, e quindi più leggere. In seguito però la situazione è cambiata, e le molle ad elica hanno recuperato abbondantemente il terreno perduto, diventando superiori sotto tutti gli aspetti. Gli ultimi motori motociclistici di serie ad impiegare molle a spillo sono stati i monocilindrici Ducati (Scrambler e Mark 3), prodotti in numeri importanti fino al termine del 1974 e rimasti in listino per un paio di anni ancora, onde smaltire le rimanenze di magazzino (svariate centinaia di moto).
Una interessante strada alternativa fu intrapresa, con risultati senz’altro validi, dalla Honda, che dotò la sua CB 450 bicilindrica bialbero (apparsa nel 1965) di molle delle valvole a barra di torsione. Il problema in questo caso era costituito dalla complessità e dal costo superiori (si impiegava un numero maggiore di parti), ma vi erano inoltre dei limiti derivanti dall’ingombro.
Le molle elicoidali
Da tempo tutte le valvole dei motori motociclistici di serie, con la sola esclusione dei desmodromici Ducati, vengono richiamate da molle elicoidali. Per molti anni esse sono state invariabilmente cilindriche, ma attualmente non mancano esempi di molle tronco-coniche o dotate di una estremità leggermente conica. In questo modo viene ridotta la massa della parte mobile, costituita dallo scodellino (che ovviamente ha un diametro minore) e da circa un terzo della molla stessa.
La rigidezza di una molla è costituita dal rapporto tra la forza applicata e la compressione (cioè la variazione di lunghezza) che essa determina.
Le molle a passo variabile
Inizialmente il passo era sempre costante ma in seguito sono diventate via via più diffuse le molle a passo variabile. Questa soluzione è vantaggiosa, in quanto, al comprimersi della molla, cambiano tanto la sua frequenza naturale di vibrazione quanto la sua caratteristica elastica (che non è più lineare, come quando, nelle molle cilindriche, il passo è costante). Diminuisce infatti il numero di spire attive, in quanto quelle ravvicinate vanno gradualmente a pacco e cessano di lavorare.
Materiali e sezione
Il filo di acciaio è stato per anni e anni a sezione cilindrica, ed è ancora tale nella grande maggioranza dei casi. Di recente però hanno iniziato ad essere impiegate da alcuni costruttori molle con filo a sezione ovale: non ellittica, ma proprio con una forma analoga a quella di un uovo tagliato a metà!
Per quanto riguarda infine il materiale, si impiegano acciai specificamente studiati e sviluppati per questo tipo di impiego, contenenti dallo 0,5 allo 0,7% di carbonio. A quelli al cromo-vanadio e al cromo-silicio se ne aggiungono altri più sofisticati (e costosi), che contengono tutti e tre gli elementi leganti in questione, più manganese e, talvolta, anche nichel. Il ciclo di fabbricazione è decisamente complesso in quanto prevede un numero considerevole di passaggi, che devono essere effettuati secondo modalità accuratamente prestabilite. Molto importanti sono l’assestamento e la pallinatura controllata, che spesso si effettua in due stadi: quest’ultimo trattamento ha la funzione di aumentare la resistenza a fatica. Le molle destinate a motori molto sollecitati vengono in genere nitrurate.
Le molle pneumatiche
Le molle pneumatiche sono molto interessanti, in quanto non soggette a problemi vibratori e prive di massa propria. Quello che entra in gioco, infatti, è solo il peso dello scodellino, conformato in questo caso come un disco con un elemento di tenuta anulare all’esterno: esso deve infatti fungere da elemento mobile, ossia da pistone che scorre all’interno del corpo cilindrico fissato alla testa. Questa soluzione è dunque adatta ai motori di prestazioni elevatissime, in quanto consente di raggiungere senza problemi regimi stratosferici e di adottare alzate impressionanti.
Le molle pneumatiche venivano già impiegate da anni per il richiamo delle valvole su alcuni grossi motori navali quando la Renault presentò, nel 1982, la domanda di brevetto per una versione destinata ai motori da competizione: la prima utilizzazione è inerente al motore 1.500 turbo di Formula Uno del 1986. Tre anni dopo Renault ha impiegato queste molle sul V 10 aspirato di 3.500 cm3. La soluzione venne poi adottata da tutti i costruttori impegnati nel mondiale di Formula Uno tra il 1992 e il 1994, rendendo subito possibile un notevole innalzamento dei regimi di rotazione e, logicamente, delle prestazioni; in campo motociclistico, invece, è stata impiegata per la prima volta sulla sfortunata MotoGP Aprilia Cube, che corse dal 2002 al 2004.
Com'è fatta e come funziona
Una molla pneumatica è costituita da un corpo cilindrico nel quale è alloggiato un pistone discoidale (costituito dallo stesso scodellino, vincolato allo stelo della valvola mediante semiconi o semianelli). Il quadro è completato da tre elementi di tenuta anulari - due per lo stelo e uno all’esterno dello scodellino - e da due semplici valvole unidirezionali. Il principio di funzionamento è estremamente semplice: quando la valvola viene aperta lo scodellino si muove riducendo il volume a disposizione del gas (azoto o semplicemente aria), la cui pressione aumenta. Non appena possibile, ovvero dopo che la camma ha impartito alla valvola la massima alzata, il gas torna ad espandersi, spingendo verso l’alto lo scodellino e provvedendo così a riportare la valvola stessa in posizione di chiusura.
Una tipica distribuzione con molle di questo tipo prevede un piccolo serbatoio di alimentazione (in pratica una bomboletta, che provvede a compensare eventuali perdite per strafilaggio) contenente gas a una pressione dell’ordine di 150 – 200 bar. Esso viene collegato alla canalizzazione praticata nella testa tramite un riduttore di pressione. Ogni molla è dotata di una valvola unidirezionale, che consente l’ingresso del gas dalla canalizzazione, ma non la sua fuoriuscita. La pressione all’interno della molla, a valvola chiusa, è dell’ordine di 10 – 15 bar. Se per qualunque motivo dell’olio dovesse entrare nella molla, il volume a disposizione del gas diminuirebbe e di conseguenza la pressione aumenterebbe: per questa ragione si impiega una valvola limitatrice, che si apre se la pressione raggiunge un valore troppo elevato, facendo così sfogare il gas all’esterno.
Diversi costruttori, tanto di auto quanto di moto, hanno provato le molle pneumatiche in previsione di un loro eventuale impiego nella produzione di serie. Finora però la loro utilizzazione rimane ristretta ai motori da corsa. Il problema è costituito dalla durata degli elementi di tenuta, che dopo elevati chilometraggi o tempi considerevoli potrebbero perdere efficacia. Inoltre, se il mezzo rimane inutilizzato a lungo, i trafilaggi potrebbero portare allo “svuotamento”, perlomeno parziale, delle molle, che così non potrebbero funzionare a dovere. Occorrerebbe un piccolo compressore, ma dovrebbe entrare in funzione prima ancora dell’avviamento del motore. Insomma, dato che le molle meccaniche costano poco e funzionano bene, della tecnologia pneumatica non se ne è fatto ancora nulla. Non è comunque detto che in futuro la situazione non possa cambiare…
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