Massimo Clarke: "Le grosse monocilindriche italiane"

Massimo Clarke: "Le grosse monocilindriche italiane"
Può sembrare strano, in un mondo dominato dai motori plurifrazionati, ma per lungo tempo le 500 stradali con un solo cilindro sono state il massimo, per gli appassionati. E alcune di loro sono nella leggenda | M. Clarke
17 ottobre 2013

 

Un'intera generazione di motociclisti, prima ancora di entrare nell’era durante la quale il sogno era costituito dalla grosse bicilindriche inglesi, ha subito lo straordinario fascino delle 500 monocilindriche. Erano gli anni Cinquanta, quando l’Italia si stava riprendendo dalle distruzioni belliche e le industrie motociclistiche nostrane stavano attraversando un periodo di straordinario fulgore. Le case presenti sul mercato erano decine e decine e quasi tutte erano straordinariamente vitali, con nuovi modelli che si succedevano con grande frequenza. Si trattava però pressoché invariabilmente di moto di piccola cilindrata. Una 175 era già considerata di alte prestazioni e per diverse aziende costituiva il top della gamma. Non per nulla il mitico Motogiro prevedeva svariate classi, delle quali proprio la 175 era la massima ammessa. I modelli con una cilindrata superiore a quest’ultima erano davvero pochi e i loro numeri di vendita erano decisamente modesti.

In tale panorama, una 500 era un sogno per gli appassionati. Anche perché nel Mondiale correvano le splendide monocilindriche Norton bialbero (le quattro cilindri erano addirittura irraggiungibili, e nella produzione di serie non c’era nulla che le ricordasse). E poi nel 1958 sono arrivate anche le ottime Matchless G50 monoalbero per i piloti privati, mentre le BSA Gold Star erano tra le sportive stradali più ambite. Da noi c’erano le monocilindriche ad aste e bilancieri Guzzi e Gilera Saturno che gareggiavano nella celebre Milano-Taranto e in tante gare sui circuiti cittadini.

Quali erano dunque le 500 di fabbricazione italiana che gli appassionati più abbienti potevano acquistare per impiegarle poi su strada? Costruttori come la Bianchi e la Benelli, che negli anni Trenta avevano fabbricato delle ottime mezzo litro monocilindriche di elevate prestazioni, dopo il termine del conflitto, in considerazione delle disastrate condizioni economiche della nazione, avevano abbandonato tale tipo di moto per riprendere la produzione con modelli di piccola cilindrata, per i quali c’era una grandissima richiesta.

L'inconfondibile aspetto dei monocilindrici Guzzi di una volta, con il grosso volano esterno. Il 500 era a corsa corta, con trasmissione primaria a ingranaggi
L'inconfondibile aspetto dei monocilindrici Guzzi di una volta, con il grosso volano esterno. Il 500 era a corsa corta, con trasmissione primaria a ingranaggi
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Moto Guzzi, dall'Astore al Falcone


La Guzzi aveva sempre avuto nelle monocilindriche di 500 cm3 uno dei suoi punti di forza e subito dopo la guerra ha ripreso la loro fabbricazione, affiancandola a quella delle motoleggere utilitarie, destinate a larga diffusione. Solo per poco tempo però sono rimasti in listino i modelli d’anteguerra con testa e cilindro in ghisa. Nel 1949 ha provveduto a sostituirli l’Astore, con bilancieri e molle delle valvole in bagno d’olio, all’interno di una nuova testa in lega di alluminio. Pure il cilindro era ora in tale materiale, con canna in ghisa riportata. Le misure di alesaggio e corsa erano le classiche Guzzi (88 x 82 mm) e l’architettura complessiva del motore, dotato del tipico volano esterno, rimaneva invariata. Con un rapporto di compressione di 5,5, la potenza era di 18,9 CV a 4300 giri/min.

Nel 1950 è comparso il Falcone, che a partire dal 1953 è stato realizzato in due versioni (la Sport aveva un rapporto di compressione di 6,5 erogava 23 CV a 4500 giri/min) e ha definitivamente sostituito l’Astore, dal quale era facilmente distinguibile per gli ammortizzatori posteriori, del tipo ad attrito (e non telescopici). Questa monocilindrica con distribuzione ad aste e bilancieri e lubrificazione a carter secco è stata per anni impiegata anche dalla polizia stradale. Robusta e affidabile, aveva una guida non proprio facile. L’estetica era tipica ma, assieme alle prestazioni e alle caratteristiche costruttive, tradiva l’anzianità del progetto.

È interessante osservare che la Guzzi ha tentato di rilanciare (con scarsissimo successo) la formula del grosso mono a cilindro orizzontale alla fine degli anni Sessanta; nato per essere fornito alle forze armate e alla polizia, il Nuovo Falcone è stato disponibile in versione civile dal 1971. Il motore, che aveva la lubrificazione a carter umido, erogava 26 cavalli a 4800 giri/min. La moto, tutt’altro che bella, si è rivelata lenta e pesante.
Il Piuma è stato l'ultimo modello da competizione della mitica Saturno. Il motore con distribuzione ad aste e bilancieri era una autentica scultura
Il Piuma è stato l'ultimo modello da competizione della mitica Saturno. Il motore con distribuzione ad aste e bilancieri era una autentica scultura


Gilera e la splendida Saturno Piuma


Ben diversa da quella prodotta a Mandello del Lario era la 500 costruita dalla Gilera, azienda che vantava essa pure una grande tradizione in questo settore. Si trattava della Saturno, dotata di un motore a cilindro verticale di straordinaria bellezza, progettata nel 1938-39 dall’ing. Salmaggi. Le misure caratteristiche erano le classiche della casa di Arcore, con una alesaggio di 84 mm e una corsa di 90 mm. Pure in questo caso la distribuzione era ad aste e bilancieri e la trasmissione primaria a ingranaggi. La lubrificazione però era a carter umido, con pompa immersa nella coppa. La Gilera Saturno è stata costruita in più versioni differenti, tra il 1946, quando ebbe effettivamente inizio la fabbricazione in serie, e il 1957, anno al termine del quale la moto uscì dal listino (ma la polizia ricevette gli ultimi esemplari nel 1959).

Accanto ai modelli destinati alla polizia (con testa in ghisa!) e all’esercito, c’erano quelli in vendita al pubblico, denominati Turismo (18 cavalli a 4500 giri/min) e Sport. In particolare, era quest’ultimo, che disponeva di 22 cavalli a 5000 giri/min, a focalizzare l’attenzione degli appassionati. L’ultima serie di questo modello è stata dotata di una forcella telescopica e di una sospensione posteriore di schema convenzionale (con due ammortizzatori telescopici pressoché verticali), oltre che di un nuovo telaio, che ne hanno migliorato enormemente le caratteristiche di guida, rendendone eccellente il comportamento su qualunque percorso. Il motore aveva la testa in lega di alluminio e il cilindro in ghisa; il cambio era in blocco. Della Gilera Saturno sono state realizzate anche una versione da corsa, costruita in tre serie differenti, via via migliorate (Competizione, Sanremo e Piuma), e una da cross. In queste moto il cilindro era in lega di alluminio. Le ultime Saturno Piuma, dalla estetica straordinaria, avevano una potenza dell’ordine di 38 cavalli a un regime di 6250 giri/min.

La Gilera è tornata alle monocilindriche di grossa cilindrata solo attorno alla metà degli anni Ottanta, quando hanno fatto la loro comparsa gli enduro stradali denominati Dakota. Il motore, raffreddato ad acqua, aveva quattro valvole e la distribuzione a doppio albero a camme in testa, con comando a cinghia dentata. La versione di 500 cm3 (92 x 74 mm) è stata impiegata sulla bellissima stradale sportiva denominata Saturno Bialbero, che è stata prodotta in un numero limitato di esemplari.
La CM 500 Sparviero, costruita a Bologna da una azienda di dimensioni poco più che artigianali, era una monocilindrica di elevata qualità, che ha avuto una diffusione limitata
La CM 500 Sparviero, costruita a Bologna da una azienda di dimensioni poco più che artigianali, era una monocilindrica di elevata qualità, che ha avuto una diffusione limitata


CM, la bolognese Sparviero


Le due grandi case lombarde non sono state le sole aziende italiane a proporre delle monocilindriche di 500 cm3, durante gli anni Cinquanta! A Bologna c’era la CM che prima della seconda guerra mondiale aveva realizzato moto di elevato livello tecnico, in grado di fornire eccellenti prestazioni, tra le quali spiccavano diverse 500, tanto ad aste e bilancieri quanto monoalbero. Dopo il termine del conflitto la produzione delle monocilindriche di mezzo litro è ripresa con lo Sparviero e il Grifone. Si trattava di moto raffinate e costose, con testa in lega di alluminio e valvole racchiuse, molto diverse da quelle che richiedeva il mercato. L’azienda bolognese si affrettò quindi a realizzare dei modelli a due tempi di 125 e di 250 cm3, di eccellente fattura. Le grosse monocilindriche rimasero in listino e ricevettero varie migliorie a livello tanto di ciclistica quanto di motore (che a un certo punto venne dotato anche di un cilindro in lega di alluminio). I numero di vendita furono però assai modesti e oggi le CM 500 sono decisamente rare. Queste ottime monocilindriche avevano il cambio separato, la distribuzione ad aste e bilancieri e la lubrificazione a carter secco. Le misure di alesaggio e corsa erano 78,8 x 100 mm. La versione più sportiva erogava 22 cavalli a 5500 giri/min.
La Rota 500 è stata costruita in pochissimi esemplari soltanto. Aveva testa e cilindro in lega leggera e un grosso volano esterno
La Rota 500 è stata costruita in pochissimi esemplari soltanto. Aveva testa e cilindro in lega leggera e un grosso volano esterno


Felice Rota e la Supersport


Un’altra 500 monocilindrica italiana apparsa all’inizio degli anni Cinquanta è nata dalla passione e dalla perizia dell’artigiano biellese Felice Rota. Le caratteristiche erano molto interessanti, ma gli esemplari prodotti sono stati pochissimi. La Rota 500 veniva proposta in versione Supersport, con distribuzione ad aste e bilancieri, che erogava 19 cavalli a 4500 giri/min. Il motore, dotato di testa e cilindro in lega di alluminio, aveva un alesaggio di 87 mm e una corsa di 83 mm. Il modello Competizione aveva la distribuzione monoalbero, con comando ad alberello verticale e coppie coniche. Le misure caratteristiche erano 84 x 89 mm e la potenza dichiarata era di 32 cavalli, un valore di tutto rispetto per l’epoca.


Sul finire degli anni Cinquanta il mercato motociclistico italiano è entrato in una crisi profonda. Delle 500 monocilindriche stradali non si è più parlato per lungo tempo (l’unica disponibile per qualche anno ancora è stata la Guzzi, ma gli esemplari venduti sono stati pochissimi). Il mercato ha iniziato a riprendersi nella seconda metà degli anni Sessanta, ma le uniche grosse monocilindriche sportive proposte dalle industrie nazionali sono state le Ducati Mark 3 e Desmo 450 (prodotte tra il 1969 e il 1974). I risultati del mercato sono stati deludenti, a differenza di quanto accadeva per la Scrambler di eguale cilindrata. Oramai, come del resto la storia successiva ha dimostrato, l’epoca delle 500 monocilindriche stradali sportive da noi era purtroppo finita.

Per le enduro le cose sono andate in maniera opposta; le grosse monocilindriche hanno iniziato a diventare popolarissime, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, ma si trattava di moto decisamente diverse…

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