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Un anniversario importante va festeggiato come merita. Dunque, lo farò a modo mio, parlando di qualcosa che ben difficilmente troverete sui libri e sulle riviste, ovvero di alcuni interessanti prototipi realizzati dalla Moto Guzzi e rimasti tali, purtroppo. Già, perché la grande Casa lombarda è stata molto attiva anche a livello di proposte tecniche alternative, se non addirittura innovative, e in quanto a creatività per lungo tempo non è stata seconda a nessuno. Alcune idee sono rimaste sulla carta, altre hanno dato origine a sperimentazioni e alcune a realizzazioni che sono arrivate quasi allo stadio di preserie.
Particolarmente prolifici sotto questo aspetto sono stati gli anni Ottanta, durante i quali al vertice tecnico dell’azienda era il vulcanico Lino Tonti, che con l’obiettivo di ampliare e di ammodernare la gamma ha sviluppato alcuni progetti molto avanzati e studiato anche alcune strade alternative, come quella che portava al “raddoppio” dei bicilindrici della serie “piccola” (V 35 e V 50), da lui disegnati.
e distribuzione ad aste e bilancieri, il tecnico romagnolo ha pensato di raddoppiare il numero dei cilindri, passando a un V4, ossia a una architettura motoristica che rendeva necessario il passaggio al raffreddamento ad acqua. E di dotare il nuovo motore di distribuzione monoalbero con comando a cinghia dentata. Questo quadricilindrico di 1000 cm3 aveva misure caratteristiche fortemente superquadre, con un alesaggio di 80 mm e una corsa di 50 mm, che consentivano agevolmente il raggiungimento di regimi di rotazione molto alti. Le valvole erano quattro per cilindro. Lo sviluppo è proceduto ben oltre le prove al banco, fino ad arrivare all’allestimento di una moto completa, con la quale sono stati effettuati numerosi test su strada. Considerazioni di marketing e di ordine economico hanno portato i vertici aziendali alla decisione di non procedere con la produzione di serie.
prodotti dalla Guzzi, Tonti ha ideato una soluzione davvero inusuale, allargando la V, che è stata portata a 130°, e piazzando centralmente un terzo cilindro, in modo da ottenere una architettura a W di 65°. Le teste delle tre bielle erano montate una a fianco dell’altra sull’unico perno di manovella dell’albero a gomito. Questo schema consentiva di utilizzare diverse parti dei bicilindrici della serie “piccola”, sfruttando razionalmente il principio della modularità costruttiva. Sono stati realizzati alcuni prototipi di 1000 cm3, con teste tanto a due quanto a quattro valvole per cilindro, che sono stati a lungo provati al banco, con risultati molto incoraggianti.
monocilindrico di grossa cilindrata, Tonti decise di realizzare un motore di questo tipo. Il progetto venne indicato con la sigla M 71 e portò alla realizzazione di alcuni prototipi, debitamente provati al banco. Si trattava di un “mono” raffreddato ad acqua, con distribuzione bialbero a quattro valvole, caratterizzato dall’impiego di due alberi ausiliari di equilibratura, azionati per mezzo di una cinghia con doppia dentatura. Per contenere l’ingombro verticale del motore, veniva adottata la lubrificazione a carter secco. L’albero a gomito era monolitico e lavorava interamente su bronzine. La pompa dell’acqua veniva comandata dall’albero ausiliario posteriore. Per azionare la distribuzione si utilizzava una cinghia dentata, ma era in programma il passaggio a un comando a catena. Questo monocilindrico di 670 cm3, cilindrata ottenuta abbinando un alesaggio di 102 mm e una corsa di 82 mm, al banco ha fornito una potenza addirittura superiore ai 60 cavalli, un autentico record per l’epoca. D’altronde, Tonti era un “corsaiolo”…