Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su [email protected]
Con tutta probabilità è stato il crescente successo dei Motom a dare un contributo fondamentale alla affermazione dei ciclomotori e a mostrare a vari costruttori la strada dei quattro tempi di piccola cilindrata, parchi nei consumi e in grado di offrire un eccellente servizio per chilometri e chilometri, prima di richiedere attenzioni al di fuori della normale manutenzione periodica. E inoltre, esenti da problemi come l’imbrattamento della candela e le difficoltà di accensione che non di rado affliggevano i loro cugini a due tempi.
Una casa milanese che per diverso tempo ha prodotto ciclomotori di ottima fattura, è stata la SIM (società italiana motori), fondata da alcuni ex-dipendenti della Motom. Questa azienda ha presentato nel 1955 un interessante cinquantino, commercializzato col marchio Pegaso, con motore che veniva costruito nel capoluogo lombardo e parte ciclistica, di disegno moderno e razionale, realizzata dalla consociata OMP, in provincia di Parma. Tra le caratteristiche tecniche vanno segnalati il cilindro in lega di alluminio con canna riportata in ghisa e la distribuzione con valvole parallele e albero a camme, piazzato nella parte sinistra del basamento, che azionava le aste per mezzo di due bilancieri a dito.
Alla versione base, per la quale venivano dichiarati 1,7 cavalli a 5000 giri/min, sul finire del 1956 è stata affiancata anche una variante sportiva, da 2,5 CV a 6000 giri/min. Il cambio era a tre marce, la trasmissione primaria a ingranaggi e la frizione a secco. Il circuito di lubrificazione, del consueto tipo a carter umido, era dotato di una pompa a pistoncino. Le sospensioni erano allo stato dell’arte, con una forcella telescopica abbinata a un forcellone oscillante con due gruppi molla-ammortizzatore. Nel 1957 il motore ha subito una leggera rivisitazione. Tra le modifiche che rendevano immediatamente riconoscibile questa seconda serie vanno segnalate la scomparsa delle nervature verticali nella parte anteriore del basamento e l’adozione di un tubetto esterno, posto sul lato sinistro, che portava l’olio in pressione alla testa. I ciclomotori Pegaso sono scomparsi dalla scena poco prima della metà degli anni Sessanta.
Nel dopoguerra Bologna, come Milano, è rapidamente diventata uno degli epicentri del motociclismo a livello non solo nazionale ma addirittura mondiale. Le aziende che operavano nel settore erano numerose e in possesso di una eccellente tecnologia. Tra quelle di minori dimensioni, ma non per questo meno vitali delle altre, c’era la BM, sigla costituita dalle iniziali del fondatore e titolare (Bonvicini Marino). L’attività era iniziata con la produzione di un numero ridotto di motoleggere munite di motori costruiti da altre aziende, tra le quali spiccava la tedesca Jlo, con i suoi ottimi due tempi. Nel 1952-53 la casa aveva messo in listino anche un paio di modelli azionati dagli eccellenti monocilindrici NSU di 98 e di 125 cm3. Verso la fine del 1954 la BM ha presentato una semplice ed economica bicimotore di 48 cm3, dalla quale l’anno successivo ha ricavato tre ciclomotori di buona fattura denominati rispettivamente Signora, Sport e Supersport. Il motore a quattro tempi era costruito dalla Somaschini di Trescore Balneario, in provincia di Bergamo. Questa azienda era da tempo attiva nel campo delle lavorazioni di precisione e dell’ingranaggeria e per la validità dei suoi prodotti aveva saputo crearsi una ottima fama anche nel settore motociclistico, assumendo ben presto dimensioni considerevoli e iniziando anche a fabbricare motori sciolti. Quello che azionava i ciclomotori BM era il monocilindrico denominato Ultra, con cilindro in ghisa, distribuzione ad aste e bilancieri e lubrificazione forzata con pompa a ingranaggi. Il cambio era a tre marce. Di questo motore sono state realizzate versioni con potenze comprese tra 1,8 e 2,4 cavalli. Le ultime sono state dotate di cilindro in lega di alluminio con canna in ghisa.
I ciclomotori BM a quattro tempi sono rimasti in listino per alcuni anni, ma non hanno avuto una diffusione considerevole, anche per via del loro prezzo, notevolmente più alto dei modelli a due tempi dello stesso costruttore, che hanno invece avuto un discreto successo commerciale, nonostante le modeste dimensioni dell’azienda e la rete di vendita tutt’altro che estesa e capillare. La BM ha continuato la sua attività con buoni risultati per tutti gli anni Sessanta e Settanta, producendo degli apprezzati cinquantini con motori Minarelli e Franco Morini a due tempi. In seguito questa casa è entrata in crisi e ha ridotto la sua presenza nel settore motociclistico fino a scomparire dalla scena al termine degli anni Ottanta. La Somaschini ha cessato da tempo la fabbricazione dei motori sciolti, per concentrarsi sulla produzione di ingranaggeria di elevata qualità, settore nel quale continua a essere una importante realtà industriale.
Negli anni Cinquanta la Parilla è stata una delle case motociclistiche italiane di maggiore importanza. Nata nel 1946 dalla passione di Giovanni Parrilla, era entrata in scena producendo numeri limitati di raffinate 250 con distribuzione monoalbero destinate alle competizioni e a impiego stradale sportivo. Data le grandi possibilità commerciali offerte dal mercato delle motoleggere e forte dell’ottima fama che già il suo marchio aveva saputo conquistarsi, Parrilla decise ben presto di realizzare una semplice ma robusta e versatile 98 a due tempi. Questo modello, entrato in produzione nel 1950, è diventato subito un best seller e ha consentito alla Parilla di crescere a livello sia di dimensioni che di importanza con estrema rapidità. Dopo altri eccellenti modelli a due tempi di 125 cm3, la casa ha realizzato un autentico capolavoro con la 175 a camma rialzata, messa in listino nel 1953 e costruita fino ai primi anni Sessanta in una notevole varietà di versioni.
L’ingresso nel settore dei ciclomotori è avvenuto alla fine del 1954 con la presentazione del Parillino, proposto ben presto in versioni turistica e sportiva, azionate entrambe da un monocilindrico a due tempi. L’anno successivo hanno fatto la loro comparsa i ciclomotori a quattro tempi, prodotti essi pure in due varianti. L’architettura dei loro motori era analoga a quella dei 2T, con il cilindro fortemente inclinato in avanti, tanto da avere una disposizione non lontana da quella orizzontale. La distribuzione era ad aste e bilancieri, con due alberi a camme nel basamento, la trasmissione primaria era a catena, sul lato sinistro, e il cambio a tre marce, del tipo a espansione di sfere. Il cilindro era in ghisa. Il telaio era a singolo tubo superiore di rilevante diametro e opportunamente conformato, con motore fissato a sbalzo inferiormente. I Parillini a quattro tempi sono rimasti in produzione fino al termine degli anni Cinquanta. Nel 1961 il controllo della Parilla è stato assunto dalla SIL (Società Industriale Lombarda). L’azienda ha cessato definitivamente la sua attività nel 1966.