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Il grande successo dei materiali compositi in settori come quello dei mezzi da competizione, degli elicotteri e degli aerei si spiega principalmente con lo straordinario rapporto tra le loro caratteristiche meccaniche più importanti (resistenza a trazione e rigidezza) e la massa degli organi meccanici che essi consentono di realizzare. In pratica, si possono ottenere parti che, a parità di robustezza, sono più leggere rispetto a quelle metalliche. Si tratta di un vantaggio non da poco, in certi campi. Per un aereo una diminuzione del peso dell’1% può indicativamente dar luogo a una riduzione del consumo di carburante dell’ordine dello 0,75%. Nello straordinario Airbus A 380 il 22% della struttura è in materiale composito, ma nel recentissimo A 350 si passa al 53%. Pure la Boeing ha aumentato la quantità di compositi nei suoi velivoli commerciali, passando dal 12% del 777 al 50% circa del 787.
Con i materiali compositi si producono canne da pesca, mazze da golf, scafi per imbarcazioni da diporto, balestre, sci, etc… Nel nostro settore vengono impiegati per produrre serbatoi, carenature, corpi di silenziatori e, passando ai componenti strutturali, telai ausiliari posteriori (ovvero supporti sella), forcelloni e ruote.
Come noto i materiali compositi sono formati da una matrice nella quale sono annegati, o comunque incorporati, degli elementi di rinforzo. Sono questi ultimi che hanno la funzione di sopportare gli sforzi, mentre la matrice provvede a trasmetterli e distribuirli, tiene nella corretta posizione i rinforzi stessi e li protegge da corrosione e urti.
Quelli che maggiormente interessano, in questa sede, sono i compositi nei quali i rinforzi sono costituiti da fibre lunghe, che nella maggioranza dei casi vengono raccolte a formare vere e proprie cordicelle (note come yarns tra gli addetti ai lavori) che poi vengono intrecciate in modo da costituire dei tessuti; successivamente avviene la loro impregnazione da parte della matrice. I vari componenti in materiale composito vengono in genere ottenuti sovrapponendo più strati di questi tessuti e facendo quindi polimerizzare la matrice. Durante il processo produttivo quest’ultima viene applicata in forma liquida, ma successivamente solidifica.
Le fibre impiegate nel nostro settore appartengono a tre gruppi differenti, nell’ambito di ciascuno dei quali esistono differenti tipi, che differiscono tra loro anche sensibilmente, a livello di caratteristiche. Abbiamo così quelle di vetro, quelle di carbonio e quelle aramidiche. Il diametro è dell’ordine di 4-12 micron mediamente.
Le fibre possono essere utilizzate sciolte, ad esempio per realizzare funi o cordicelle (come quelle che costituiscono gli elementi resistenti delle cinghie dentate, trapezoidali o poly-V). Incorporandole nelle matrici possono essere disposte dove e come più opportuno, in modo da ottenere in pratica dei componenti con caratteristiche meccaniche “su misura”, anche se fortemente anisotrope. Larga utilizzazione hanno i nastri e le tele unidirezionali; in questo caso gli yarns costituiti dalle fibre sono paralleli. Questi tessuti unidirezionali possono essere sovrapposti in modo da formare più “strati” con diversi orientamenti.
Per quanto riguarda i normali tessuti bidirezionali, c’è da dire che non sono tutti eguali come struttura. Lo schema secondo il quale si intrecciano i fili della trama e dell’ordito (ovverosia l’ “armatura” del tessuto) può essere differente anche se l’angolo di incrocio (90°) rimane invariato. Oltre alla armatura a tela uniforme, assai utilizzate sono quella a tela diagonale e a raso (rispettivamente denominate plain, twill e satin weave). Nel primo caso si hanno una notevole stabilità e una ottima bagnabilità delle fibre da parte della matrice; il costo è contenuto ma la flessibilità non è certo ottimale. Nel terzo si hanno caratteristiche meccaniche leggermente superiori e una grande adattabilità anche a geometrie complesse; la stabilità e la bagnabilità sono però inferiori e il costo è maggiore. Con l’armatura a tela diagonale si hanno caratteristiche intermedie.
Le fibre impiegate nel nostro settore appartengono a tre gruppi differenti. Abbiamo quelle di vetro, di carbonio e le aramidiche. Il diametro è dell’ordine di 4-12 micron mediamente
Inoltre, i tessuti possono differire uno dall’altro anche per quanto a numero di filamenti per ogni yarn, modalità di avvolgimento degli yarns, etc…
Le matrici possono essere di diversi tipi (anche metalliche!); quelle che dominano la scena nel nostro settore sono costituite da resine epossidiche, caratterizzate da una buona adesione alle fibre, da una elevate resistenza chimica, da apprezzabili proprietà meccaniche e da una notevole durata. I loro punti deboli sono costituiti dal costo considerevole e dal fatto che la polimerizzazione (ma sarebbe più rigoroso parlare di reticolazione di macromolecole lineari) richiede tempo e frequentemente anche il ricorso al calore e non di rado pure alla pressione. L’impiego di un’autoclave è spesso d’obbligo.
Le matrici costituite da resina poliestere sono inferiori come caratteristiche e durata (e spesso non aderiscono bene alle fibre aramidiche), sono economiche e facili da usare e polimerizzano rapidamente. Si utilizzano per realizzare prodotti come le canoe. Di notevole interesse, ma dal costo molto elevato, sono alcune resine termoplastiche, come l’eccellente PEEK.
La funzione fondamentale della matrice è di mantenere nella corretta posizione i rinforzi (ossia le fibre o gli yarns da esse costituiti, usualmente riuniti a formare un tessuto) e di trasferire ad essi gli sforzi. È di importanza vitale che quando è ancora fluida, prima di iniziare la solidificazione, la matrice riesca ad insinuarsi in tutti gli spazi esistenti tra i fili del tessuto, stabilendo un contatto intimo con questi ultimi e espellendo eventuali bolle d’aria. Le fibre devono poter essere “bagnate” dalla matrice in maniera ottimale.