Massimo Clarke: "I motori a tre cilindri"

Massimo Clarke: "I motori a tre cilindri"
Sono più compatti di un quadricilindrico e al tempo stesso erogano una potenza massima superiore rispetto a un bicilindrico. Ecco la storia del tre cilindri, un motore davvero eccezionale | Massimo Clarke
13 ottobre 2010

 
Si sapeva da tempo del progetto e ora si è arrivati alla fase di sviluppo dei prototipi con tanto di prove su strada: la MV Agusta sta mettendo a punto una nuova tricilindrica, dalle caratteristiche particolarmente avanzate. La scelta appare particolarmente logica, da parte del glorioso marchio italiano, in quanto buona parte dei suoi trionfi a livello mondiale è legata proprio alle 350 e 500 bialbero con le quali correva Giacomo Agostini.

I motori a quattro tempi a tre cilindri in linea hanno dalla loro varie caratteristiche positive. A parità di cilindrata, sono più compatti di un quadricilindrico, e al tempo stesso possono erogare una potenza massima superiore rispetto a un bicilindrico.
Particolarmente piacevoli sono la rumorosità di scarico e il carattere dell’erogazione. Si tratta di motori che hanno in genere una spiccata personalità. Le vibrazioni (peraltro di entità contenuta) che essi producono possono essere agevolmente eliminate per mezzo di un albero ausiliario di equilibratura.
 

I motori a quattro tempi a tre cilindri in linea hanno dalla loro varie caratteristiche positive.
A parità di cilindrata, sono più compatti di un quadricilindrico, e al tempo stesso possono erogare una potenza massima superiore rispetto a un bicilindrico

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Tra i primi tecnici a considerare con attenzione questo tipo di motore vi è stato Carlo Guzzi
, al quale è dovuta una tricilindrica 500 ad aste e bilancieri apparsa già nel 1932. La moto non ebbe fortuna e fu prodotta solo in pochi esemplari. Nel 1939 il progettista lombardo realizzò una nuova tricilindrica, della stessa cilindrata, destinata alle competizioni. Aveva la distribuzione bialbero ed era sovralimentata mediante un compressore a palette. Il sopraggiungere della guerra impedì lo sviluppo di questa interessante realizzazione.
Solo nel corso degli anni Sessanta i tricilindrici a quattro tempi sono tornati alla ribalta, e lo hanno fatto in grande stile, con le MV da Gran Premio, costruite nelle cilindrate di 350 (apparsa nel 1965) e 500 cm³ (1966).

Nel 1968 hanno fatto la loro comparsa le Triumph e BSA 750 con motore tricilindrico, progettate da Doug Hele.
Riprendevano diverse soluzioni costruttive delle bicilindriche di 500 e 650 cm3, ma a livello di imbiellaggio erano completamente nuove. Avevano la distribuzione ad aste e bilancieri, bielle in lega di alluminio e la lubrificazione a carter secco.
In seguito anche la Laverda ha sposato lo schema a tre cilindri, con la sua 1000 bialbero, entrata in produzione nel 1973 e poi realizzata anche in una versione di 1200 cm3.

Nel 1977 ha fatto la sua comparsa la Yamaha XS 750
, bialbero e con trasmissione finale ad albero. Con questa moto, successivamente evolutasi nella XS 850, la Casa giapponese voleva proporre nel settore delle grosse cilindrate qualcosa di diverso dalle quadricilindriche prodotte da Honda, Kawasaki e Suzuki. Dire che il successo fu tiepido è esagerare per eccesso.

Nel 1985 è stata la volta della BMW, che ha proposto una tricilindrica a sogliola, direttamente derivata dalla K 100. Si trattava della K 75, prodotta fino al 1996 in oltre 68.000 esemplari. Con questa moto per la prima volta un motore a tre cilindri in linea veniva dotato di un equilibratore dinamico.
Negli anni più recenti, a legare il suo nome a motori a tre cilindri in linea è stata fondamentalmente la risorta Triumph, con realizzazioni di ottimo livello tecnico, costruite in varie cilindrate, caratterizzate da soluzioni molto interessanti e dotate, naturalmente, di un albero ausiliario di equilibratura.


Passando al nuovo secolo, va senz’altro ricordata la Benelli, che ha proposto un motore molto moderno tecnicamente e dalle eccellenti caratteristiche complessive.
Una autentica meteora è stata invece l’Aprilia Cube, sviluppata per le gare della MotoGP. In pratica, all’atto della sua apparizione, il motore poteva essere considerato quasi una “fetta” di un V10 di Formula Uno. Il coraggioso progetto avrebbe meritato senz’altro miglior fortuna.

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