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I compressori si dividono in due grandi categorie: quelli volumetrici e quelli centrifughi.
I primi spostano ad ogni ciclo una quantità di aria eguale (più o meno) e vengono sempre azionati meccanicamente. Forniscono quindi una pressione di sovralimentazione già elevata sin dai regimi più bassi, che si mantiene pressoché costante per tutto il campo di utilizzazione del motore. Il tiro può quindi essere vigoroso anche quando il motore gira piano. Assicurano inoltre una risposta all’azionamento dell’acceleratore sempre pronta.
L’azionamento è meccanico e quindi il compressore deve essere collegato all’albero a gomiti mediante una catena, degli ingranaggi o una cinghia (il che pone dei limiti, per quanto riguarda la libertà di posizionamento); per trascinarlo in rotazione si sottrae della energia all’albero stesso e ciò significa che, se il grado di sovralimentazione è considerevole, il consumo di carburante aumenta in misura ragguardevole.
I compressori volumetrici più impiegati sono quelli a lobi (Roots); li utilizzano tra l’altro alcune Mercedes e praticamente tutti i dragsters americani. Sono del tipo a compressione esterna e ultimamente sono stati notevolmente migliorati. Oltre ai ben noti Eaton, sono abbastanza impiegati negli USA, nel settore del tuning auto, i Camden, Magna Charger, Fageol e Weiand. I recentissimi Eaton della serie TVS hanno rotori a quattro lobi, dal particolare profilo, con andamento elicoidale assai spinto (ben 160° di “avvitamento” dei rotori) e in effetti si avvicinano abbastanza a quelli a vite, in quanto a rendimento e a possibilità di fornire pressioni di sovralimentazione molto elevate, nonché per il fatto di essere a flusso assiale, almeno parzialmente (il che li distacca in misura sensibile dai Roots di schema convenzionale).
I compressori a palette hanno avuto una notevole diffusione in passato, ma oggi sono poco più che delle curiosità, in campo motoristico, nonostante le loro interessanti caratteristiche.
Particolarmente validi sono i compressori a vite (Lysholm, Whipple, Sprintex), caratterizzati dal fatto di essere a flusso assiale e a compressione interna. Hanno un rendimento molto elevato e con tutta probabilità offrono complessivamente qualcosa in più, rispetto a tutti gli altri compressori volumetrici; sono però penalizzati da un costo piuttosto alto.
I compressori centrifughi sono in pratica degli acceleratori di flusso che, a seconda dei casi, possono essere comandati meccanicamente o (come avviene di solito) essere abbinati a una turbina che viene mossa dai gas di scarico e provvede quindi ad azionarli (l’unione di queste due macchine fluidodinamiche costituisce un turbocompressore).
I compressori centrifughi non spostano la stessa quantità di aria ad ogni ciclo; la loro portata aumenta esponenzialmente con la velocità di rotazione. Quando girano piano, ai fini delle prestazioni è quasi come se non ci fossero. Se sono di dimensioni contenute, per fornire pressioni di sovralimentazione elevate e congrue portate devono girare davvero molto forte: nei turbocompressori, che hanno nel modesto ingombro uno dei loro punti di forza, sono comuni regimi ben superiori ai 100.000 giri al minuto.
I compressori centrifughi a comando meccanico che sono stati impiegati in passato sulle automobili (basta ricordare le Duesemberg degli anni Trenta e, più di recente i Paxton montati su di un paio di Studebaker) erano dei veri e propri “padelloni” di dimensioni ragguardevoli. In questo modo potevano essere collegati al motore da una trasmissione con un rapporto di moltiplicazione abbastanza umano. Dato il grande diametro della girante, era sufficiente farli ruotare forte, ma senza dover raggiungere regimi astronomici, come quelli degli odierni turbo. I compressori di questo tipo sono particolarmente adatti ai motori che girano a regime pressoché costante, senza variazioni ampie e repentine di velocità, e questo spiega la grande diffusione che hanno avuto sui motori d’aviazione e su quelli delle auto americane da competizione che, a differenza da quelle europee, correvano quasi sempre su piste ovali, tipo Indianapolis.
I compressori Paxton, notevolmente migliorati tanto a livello di funzionalità quanto a livello di ingombro, vengono tuttora costruiti (basta ricordare la gamma Novi). Altri compressori di tipo analogo sono i Vortech, i Procharger e i Powerdyne, essi pure americani.
Il compressore centrifugo montato sulla Horex VR6 è un Rotrex, prodotto in Danimarca. I suoi punti di forza sembrano essere due: è piccolo come quello di un normale “turbo” e ha un sistema di comando che assicura un rapporto … stratosferico (la girante arriva a superare i 130.000 giri/min). Proprio il compatto gruppo di trasmissione del moto (coperto da brevetto) è di particolare interesse; la cinghia poly-V infatti aziona un ruotismo epicicloidale costituito da ruote di frizione, e non da ingranaggi, che trascinano in rotazione l’elemento condotto grazie alla presenza di un particolare liquido la cui viscosità varia in misura sensibile in funzione della differenza di velocità e della pressione. Il massimo rapporto di moltiplicazione che si può ottenere è dell’ordine di 13:1, mentre con i gruppi epicicloidali di tipo convenzionale non si va oltre valori dell’ordine di 4 – 5 :1.
L’azienda danese è in procinto di lanciare un sistema di trasmissione toroidale a rapporto variabile (Torotrak), da abbinare alla trasmissione epicicloidale ora descritta. Grazie ad essa sarà possibile adeguare la portata aria e la pressione di alimentazione in modo da ottimizzarle per qualunque regime di rotazione, ed eliminare i problemi di overboosting e di underboosting che si possono manifestare quando si impiegano compressori centrifughi con rapporto di trasmissione fisso.