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In un giro dell’albero a gomiti ciascun pistone compie due corse, una dal punto morto superiore (PMS) a quello inferiore (PMI) e l’altra in verso opposto. I motori delle moto sportive raggiungono oggi regimi di rotazione elevatissimi e quindi i loro pistoni devono compiere un numero impressionante di corse nell’unità di tempo, arrestandosi al termine di ciascuna di esse per invertire il senso del movimento.
Se la biella rimanesse sempre perfettamente in asse rispetto al cilindro, il movimento del pistone sarebbe descritto da un grafico perfettamente simmetrico. Una rotazione dell’albero di 90°, partendo da un punto morto, farebbe compiere al pistone metà della corsa. Questo però non accade in quanto la biella si inclina, rispetto all’asse del cilindro, da un lato durante la corsa “discendente” (dal PMS al PMI) e dall’altro durante quella “ascendente”. L’inclinazione massima che la biella assume è tanto maggiore quanto minore è il rapporto tra la sua lunghezza (interasse piede-testa) e la corsa del pistone. Dunque, le bielle corte si inclinano di più di quelle lunghe, ferma restando la corsa.
Il movimento della biella è complesso: la testa ruota assieme al perno di manovella dell’albero a gomiti mentre il piede va su e giù all’interno del cilindro assieme al pistone, al quale è vincolato per mezzo dello spinotto. Il fusto (che collega il piede alla testa) oscilla inoltre con un moto pendolare fulcrato nello spinotto stesso.
Il movimento del pistone all’interno del cilindro non è determinato solo dalla componente verticale dello spostamento del perno di manovella, ma anche da quella orizzontale. Prendiamo una biella in asse con il cilindro, ovvero disposta verticalmente; se poggiamo su un piano orizzontale la sua testa e quindi la muoviamo da una parte, il fusto si inclina e il piede (vincolato al pistone e in grado di muoversi solo in senso verticale) si sposta verso il basso. Il contrario avviene quando dalla massima inclinazione riportiamo la biella in posizione verticale (cioè coassiale rispetto al cilindro).
Quando l’albero ruota, durante la corsa discendente lo spostamento del pistone dovuto al moto pendolare della biella dapprima si somma con quello principale, determinato dalla componente verticale del movimento del perno di manovella, e poi agisce in modo opposto. Il contrario avviene durante la corsa ascendente.
In conseguenza di ciò si ha che, partendo dal PMS, dopo una rotazione dell’albero a gomiti di 90° il pistone ha compiuto più di metà della corsa. Questo significa che la prima metà della corsa discendente viene compiuta dal pistone in un tempo minore, rispetto alla seconda. Il pistone raggiunge la velocità massima sensibilmente prima che l’albero abbia compiuto una rotazione di 90°.
Durante il funzionamento del motore, anche quando il regime di rotazione rimane costante, la velocità con la quale si muove il pistone varia dunque di continuo. Il suo valore medio costituisce un parametro motoristico di notevole importanza; è facilmente calcolabile (basta conoscere la corsa e la velocità di rotazione) e viene sempre riferito al regime di potenza massima.
Fino a pochi anni fa il limite da non superare veniva generalmente indicato in 20 metri al secondo. E in effetti i motori di serie erano abbastanza lontani da questo valore, che veniva lievemente superato solo da alcuni motori da competizione. Poi, con il continuo crescere delle potenze specifiche, con il grande sviluppo avutosi in superbike e con il ritorno in scena dei quattro tempi nella classe regina delle moto da Gran Premio, la situazione è cambiata. Oggi nelle sportive a quattro cilindri di 1.000 cm3, che forniscono la potenza massima a regimi di 12.000-13.000 giri/min, la velocità media del pistone va da 21,5 a 23,8 metri al secondo. Inutile sottolineare che questi motori devono essere in grado di funzionare impeccabilmente per decine e decine di migliaia di chilometri. Nelle superbike che impiegano versioni preparate di questi quadricilindrici, si arriva a 25-26 m/s.
Fino a pochi anni fa il limite da non superare veniva generalmente indicato in 20 metri al secondo. Nelle superbike che impiegano versioni preparate dei quadricilindrici si serie, si arriva a 25-26 m/s
La velocità massima del pistone dipende anche dalla lunghezza della biella; in genere è dell’ordine di 1,62 volte la velocità media. Per avere un’idea di quanto sia dura la vita del pistone, prendiamo come riferimento un 1.000 a quattro cilindri dell’ultima generazione, con ad esempio una corsa di 55 mm; quando questo motore ruota a 12.000 giri/min, la velocità media del pistone è di 22 m/s e quella massima è dell’ordine di 35 m/s, corrispondenti a circa 126 km/h. A tale regime quindi ogni pistone compie 400 corse al secondo, in ognuna delle quali passa da zero a 126 km/h e viceversa!
Le forze d’inerzia sono determinate dalla massa degli organi mobili e dalle accelerazioni che essi subiscono. La massima accelerazione positiva si ha al PMS e, per via del fatto che la biella si inclina, è di valore sensibilmente superiore alla massima negativa, che si ha al PMI. Nel caso dei pistoni dei motori di alte prestazioni le accelerazioni raggiungono valori strabilianti. In un quadricilindrico sportivo di 1.000 cm3 oggi la massima positiva va da circa 55.000 m/s2 a oltre 60.000. Può essere interessante ricordare che negli anni Settanta nelle moto sportive a quattro cilindri si raggiungevano valori dell’ordine di 30.000 m/s2 e che solo dopo il 1990 si è arrivati dalle parti di 40.000 m/s2. Nei motori delle superbike quadricilindriche in alcuni casi si superano ormai gli 80.000 m/s2; ciò significa che al regime di potenza massima le accelerazioni che i pistoni raggiungono sono circa 8.000 volte superiori, rispetto a quella di gravità! In tali condizioni, per “richiamare” verso il basso un pistone del peso, diciamo, di 180 grammi completo di spinotto, al PMS la biella deve esercitare una forza di trazione di oltre 14.000 N, ovvero quasi una tonnellata e mezza.
Per fare funzionare senza problemi i loro motori a questi regimi di rotazione e in presenza delle spaventose accelerazioni che abbiamo visto, da diversi anni a questa parte nei modelli di alte prestazioni i costruttori adottano pistoni forgiati al posto di quelli fusi in conchiglia, impiegati in precedenza e oggi utilizzati per le moto non particolarmente spinte. La ricerca della massima leggerezza (minore massa mobile = minori forze d’inerzia), che ha determinato sensibili sviluppi a livello di dimensionamento e di geometria dei pistoni, si spiega anche in quest’ottica. Il mantello però non può essere troppo ridotto perché l’inclinazione della biella dà luogo a una spinta laterale del pistone di entità tutt’altro che trascurabile. Determina cioè una forza che si scarica contro la parete del cilindro proprio tramite il mantello.
Siccome la biella si inclina ora da un lato e ora dall’altro, durante le diverse fasi del ciclo di funzionamento del motore il pistone va a premere contro zone diametralmente opposte della canna. La spinta maggiore si ha, come ovvio, durante la corsa di espansione, quando la pressione all’interno del cilindro è più elevata. Il passaggio da un lato di appoggio all’altro ha luogo in corrispondenza dei punti morti e costituisce il cosiddetto movimento “secondario” del pistone.