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La comparsa della nuova R 1200 GS costituisce una autentica pietra miliare nella storia della BMW. Segna infatti l’inizio di una generazione di motori completamente inediti, che con i precedenti hanno in comune solo le misure di alesaggio e corsa e la disposizione dei due cilindri.
Il nuovo 1200 della casa bavarese merita una analisi approfondita in quanto realizzato con soluzioni innovative e con una tecnologia avanzatissima. Prima di esaminarlo in dettaglio però, è per lo meno doveroso un cenno alle due generazioni di bicilindrici boxer che lo hanno preceduto.
Verso la fine degli anni Cinquanta il mercato motociclistico tedesco era entrato in una crisi profonda, che aveva determinato la scomparsa di diversi marchi importanti e ricchi di storia (Horex, TWN), il loro passaggio ad altri settori (NSU, Adler) o il loro drastico ridimensionamento (DKW, Zundapp). La BMW ha però continuato la produzione delle sue raffinate bicilindriche della serie apparsa nel 1951 con la R51/3 ed evolutasi fino a culminare con la mitica R69S, costruita dal 1960 al 1969. Questi motori, realizzati nelle cilindrate di 500 e 600 cm3, avevano l’albero a gomiti composito che lavorava su cuscinetti a rotolamento, l’albero a camme nella parte superiore del basamento (comandato da una coppia di ingranaggi) e i cilindri in ghisa. L’angolo tra le due valvole alloggiate in ciascuna testa era di 80°.
La R 69S disponeva di 42 cavalli a 7000 giri/min; la potenza specifica era quindi di 70 CV/litro. Questo modello è stato prodotto in poco più di 11.000 esemplari. In Germania i numeri di vendita, durante gli anni Sessanta, non erano elevati, ma il volume delle esportazioni (USA, Francia, Gran Bretagna) era interessante e in aumento.
L’azienda, che stava crescendo notevolmente grazie al successo delle sue automobili della nuova generazione (iniziata con la 1500 monoalbero a quattro cilindri), non aveva smesso di credere nelle moto e aveva varato un programma teso alla sviluppo di modelli completamente nuovi e di concezione modernissima. Responsabile della progettazione del motore era Ferdinand Jardin che realizzò un autentico capolavoro, con la serie /5, entrata in produzione nell’autunno del 1969.
I nuovi motori avevano i cilindri in lega di alluminio con canna riportata in ghisa (non sostituibile in quanto incorporata di fusione); l’albero a camme era collocato nella parte inferiore del basamento e veniva azionato da una catena a rulli. L’albero a gomiti monolitico lavorava su bronzine. L’angolo tra le due valvole alloggiate in ogni testa era di 66°. Il modello di punta era la R75/5 di 750 cm3 (alesaggio e corsa = 82 x 70,6 mm), che disponeva di 50 cavalli a 6200 giri/min. La potenza specifica era quindi di 67 CV/litro. L’erogazione del motore era pronta e corposa sin dai bassi regimi, il che rendeva la guida particolarmente piacevole.
La serie /5 si è evoluta nella /6 (apparsa alla fine del 1973), il cui modello di punta era la R90S (90 x 70,6 mm; 898 cm3), che disponeva di ben 67 cavalli a 7000 giri/min; si trattava di una potenza assai elevata per l’epoca, che ne faceva una delle moto più veloci in circolazione. Con queste moto hanno fatto il loro esordio in casa BMW il cambio a cinque marce e i freni anteriori a disco.
Tre anni dopo ha fatto la sua comparsa la serie /7, che in breve tempo si è evoluta con l’adozione della accensione elettronica (in luogo della precedente a ruttore) e di cilindri senza canna in ghisa ma con riporto al nichel-carburo di silicio sulle superfici di lavoro. Il modello di punta in questo caso era la R100 (alesaggio e corsa = 94 x 70,6 mm), nella versione da 70 cavalli (a 7250 giri/min).
L’epopea delle grosse enduro stradali è cominciata proprio all’inizio degli anni Ottanta, con la R80 G/S, moto che ha avuto un successo straordinario. La produzione delle bicilindriche azionate dal semplice e robusto motore a due valvole ad aste e bilancieri, direttamente derivato da quello della serie /5, è continuata fino al 1996, a conferma della straordinaria validità del progetto originale.
Già nella prima metà degli anni Settanta alla BMW si lavorava da un lato per sviluppare una nuova generazione di motori bicilindrici, in grado di sostituire quelli a due valvole ad aste e bilancieri, nati con la serie /5, e dall’altro per ampliare la gamma moto. Sono stati così realizzati dei progetti inediti e in buona misura innovativi, alcuni dei quali sono sfociati nella realizzazione di prototipi lungamente provati anche su strada.
Nel 1972-73 è stato progettato un 1000 a quattro cilindri non proprio contrapposti, ma a V di 168° (ogni bancata era sollevata di 6° rispetto all’orizzontale). Il raffreddamento era ad acqua e la distribuzione monoalbero, con comando a catena.
Nel 1975 è stato realizzato un prototipo di 1000 cm3 a due cilindri con raffreddamento ad aria e distribuzione monoalbero comandata mediante cinghie dentate collocate posteriormente e azionate da un albero ausiliario piazzato nella parte superiore del basamento. Questo motore boxer, contraddistinto dalla sigla M79, aveva il basamento in due parti ed era dotato di tre supporti di banco. Disponeva inoltre (e si tratta di una “prima” di grande importanza, per la casa di Monaco) di un albero ausiliario di equilibratura.
A un paio di anni dopo risale lo studio di un 1000 a due cilindri contrapposti, sempre con raffreddamento ad aria, con distribuzione monoalbero comandata da alberelli e coppie coniche. Nello stesso periodo è stato studiato un motore con teste anche a quattro valvole (progetto M0) destinato ad essere realizzato sia in una versione di 800 cm3 e che in una di 1000 cm3. L’alternatore era collocato sopra il basamento.
Nessuno di questi interessanti prototipi ha poi dato origine a modelli di serie. A un certo punto infatti la direzione dell’azienda ha deciso di sviluppare e mettere in produzione i motori a sogliola della serie K100/ K75, da affiancare ai classici bicilindrici boxer a due valvole con distribuzione ad aste e bilancieri.