Massimo Clarke: “L’era dei cilindri in quadrato nei GP”

Massimo Clarke: “L’era dei cilindri in quadrato nei GP”
Tra i due tempi da corsa a disco rotante questa architettura motoristica ha dominato a lungo la scena, dalla Suzuki RG 500 in poi | M. Clarke
6 marzo 2015

Le uniche moto con ammissione a disco rotante che hanno conquistato il titolo mondiale nella classe 500 sono state le ormai mitiche Suzuki RG che si sono imposte nel 1976 e 77 con Barry Sheene, nel 1981 con Marco Lucchinelli e l’anno successivo con Franco Uncini. I loro motori avevano quattro cilindri disposti in quadrato, soluzione lanciata nel mondo delle competizioni proprio dalla casa di Hamamatsu alla fine del 1963, con la 250 RZ 63. Quando ha fatto la sua comparsa, questa moto era nettamente la più potente della sua classe; avrebbe meritato una migliore fortuna, ma non è riuscita a superare i problemi di trattabilità e di affidabilità che l’hanno afflitta sin dall’inizio. Il motore aveva una erogazione scorbutica, la carburazione era di difficile messa a punto e l’accensione era spesso fonte di guai…

La Suzuki però credeva fortemente nelle scelte di base che avevano portato alla sua realizzazione e per questo motivo quando ha deciso di tornare alla attività agonistica in veste ufficiale, nella prima metà degli anni Settanta, ha scelto questa stessa architettura per la sua nuova 500. Tale soluzione consente di disporre i quattro dischi rotanti lateralmente, cosa impossibile con i cilindri in linea, e di realizzare un motore largo come un bicilindrico (la lunghezza era però ben maggiore…).

Responsabile del progetto della moto era Makoto Hase, che ha adottato un alesaggio di 56 mm e una corsa di 50,6 mm e dotato il motore non solo di teste e cilindri “singoli”, ma anche di quattro alberi a gomiti indipendenti, ognuno dei quali era dotato di un proprio ingranaggio, in presa con quello dell’unico albero ausiliario posto inferiormente. Quest’ultimo a sua volta inviava il moto alla corona solidale con la campana della frizione tramite una terna di ingranaggi. Il cambio era del consueto tipo in cascata e di conseguenza i quattro alberi a gomito, ognuno dei quali era supportato da due cuscinetti a rotolamento e aveva un proprio disco rotante, giravano in avanti. In pratica si trattava di quattro motori monocilindrici raggruppati in un unico basamento (realizzato in tre parti).

I cilindri avevano la canna riportata in ghisa e i pistoni, in lega di alluminio ad alto tenore di silicio, erano dotati di due segmenti. La luce di scarico era divisa in due parti da un traversino centrale. La RG 500 ha esordito nel 1974, con una potenza dell’ordine di una novantina di cavalli.

 

La Suzuki RG apre la strada

Per la stagione 1976 il motore ha subito una prima rivisitazione, con misure di alesaggio e corsa portate a 54 x 54 mm, e la potenza è salita a circa 110 cavalli, a un regime di 11.000 giri/min. Nello stesso anno la Suzuki ha iniziato a produrre moto destinate ai piloti privati; il loro motore in pratica era uguale a quello ufficiale della stagione precedente e disponeva di un centinaio di cavalli. Il successo è stato immediato (le Mk I, costruite in una cinquantina di esemplari, sono state vendute nel giro di pochi giorni) e le quadricilindriche di Hamamatsu, prodotte di anno in anno in versioni continuamente migliorate, hanno rapidamente riempito le griglie di partenza.

 

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Barry Sheene nel 1977
Barry Sheene nel 1977

Nel 1978 le moto ufficiali (RGA 500, ovvero XR 22), sono state oggetto di una accurata riprogettazione. L’ingranaggio intermedio della trasmissione primaria è stato abolito e gli alberi a gomito, che ora giravano all’indietro, sono stati uniti a due a due centralmente (si veniva così ad avere un albero per ogni coppia di cilindri). Il nuovo basamento, in due parti, aveva due piani di appoggio differenti per i cilindri anteriori e per quelli posteriori. La potenza è passata a poco più di 120 cavalli a 11.000 giri/min.

L’anno successivo ha visto l’adozione di cilindri con canne integrali dotate di riporto al nichel-carburo di silicio e di pistoni dotati di un solo segmento. Per quanto riguarda le moto dei privati (versione Mk IV), le misure caratteristiche sono passate a 54 x 54 mm e la potenza è salita a oltre 110 cavalli.

Nel 1981 la XR 35 ufficiale forniva circa 130 cv a un regime leggermente superiore a 11.000 giri/min. Nella stagione seguente le misure caratteristiche sono state portate nuovamente a 56 x 50,5 mm e la Suzuki 500 con i cilindri in quadrato ha conquistato il suo ultimo mondiale. Nel 1983 però i risultati sono stati deludenti. La concorrenza era cresciuta enormemente e ormai era chiaro che il futuro era di motori più compatti e dotati di ammissione lamellare. Al termine dell’anno la casa si è ritirata dalla attività agonistica ufficiale; sarebbe tornata cinque anni dopo con un quadricilindrico a V nel quale l’aspirazione era controllata da valvole a lamelle. Le ultime Suzuki 500 a disco rotante sono state vendute ai piloti privati nel 1984; per altre tre stagioni sono stati disponibili ricambi via via aggiornati e migliorati.

 

Nel 1985 ha fatto la sua comparsa una straordinaria moto stradale, che sicuramente è stata la 500 di serie più simile a una moto da Gran Premio ad essere mai prodotta. Si trattava della Suzuki RG 500 Gamma, il cui motore riprendeva le stesse soluzioni costruttive precedentemente impiegate sulle moto da competizione, a cominciare dalla architettura con quattro cilindri in quadrato e dalla ammissione regolata da dischi rotanti. Le misure caratteristiche erano 56 x 50,5 mm e la potenza era di 95 cv a 10.000 giri/min. I cilindri avevano la canna in ghisa e sette travasi. 

 

Gli altri non stanno a guardare

La Suzuki non è stata l’unica casa a disporre in quadrato i quattro cilindri della propria 500 da Gran Premio con aspirazione a disco rotante. I grandi successi ottenuti dalle sue moto nella seconda metà degli anni Settanta hanno spinto altri costruttori a realizzare motori simili per i loro mezzi da competizione.

Nel 1979 la Kawasaki ha iniziato a provare la KR 500, ottenuta in pratica abbinando due dei suoi bicilindrici in tandem di 250 cm3. Il debutto in gara si è avuto l’anno successivo. Il motore con misure caratteristiche perfettamente quadre (54 x 54 mm) erogava oltre 110 cavalli a circa 11.400 giri/min. Il basamento aveva il piano di appoggio dei cilindri notevolmente inclinato in avanti. La Kawasaki si è ritirata dalla scena agonistica al termine della stagione 1982 senza che questa moto abbia ottenuto risultati di rilievo.

Nel 1979 anche la Morbidelli ha iniziato a sviluppare una 500 da Gran Premio con quattro cilindri disposti in quadrato. La moto, molto interessante anche a livello di parte ciclistica, ha corso senza fortuna fino al 1982 (ultimo anno di attività della casa pesarese nei GP), quando la potenza aveva sensibilmente superato i 120 cavalli.

 

Dopo il mondiale 500 del 1981, con un 4 cilindri in linea a dischi rotanti, la Cagiva passa alla 3C2 del 1982: un motore con quattro cilindri in quadrato, realizzato con uno schema analogo a quello della Suzuki

Allorché la Cagiva ha deciso di impegnarsi in campo agonistico ai massimi livelli ha scelto la classe 500. La prima moto da Gran Premio interamente realizzata nel reparto corse della azienda varesina, nel 1981, era dotata di un motore a quattro cilindri in linea nel quale l’ammissione veniva regolata da dischi rotanti piazzati sul dorso del basamento. Questa soluzione ardita e innovativa non ha fornito i risultati sperati. Lo sviluppo della moto è stato così abbandonato e per la nuova 3C2 del 1982 si è passati a un motore con quattro cilindri in quadrato, realizzato con uno schema analogo a quello della Suzuki. Questa moto, che forniva una potenza vicina ai 125 cavalli a un regime di 11.500 giri/min, ha continuato a venire sviluppata fino al 1984, dopo di che la Cagiva è passata al motore a V con ammissione lamellare. Pure la Sanvenero ha realizzato una 500 con motore a disco rotante avente i cilindri disposti in quadrato, che ha corso nel 1981 e nel 1982.

 

Dal 1976 al 1982 la classe regina ha vissuto della rivalità tra la Suzuki e la Yamaha. In questo periodo la casa dei tre diapason ha vinto tre mondiali consecutivi con Kenny Roberts, utilizzando moto azionate da un quadricilindrico in linea, con aspirazione controllata dal pistone. Quando è diventato evidente che con tale schema non era possibile ottenere ulteriori incrementi delle prestazioni, la Yamaha ha rivolto le sue attenzioni alla ammissione a disco rotante, realizzando nel 1981 la OW 54, nella quale i cilindri erano disposti in quadrato. Questa moto si è evoluta nella successiva OW 60, il cui motore aveva una identica architettura. Non soddisfatti, nel 1982 i tecnici di Iwata hanno sviluppato la OW 61, azionata da un motore dalla struttura completamente differente. Era dotato di due alberi a gomiti (uno per ogni coppia di cilindri) e aveva i cilindri disposti in modo da formare una V, al centro della quale erano alloggiati due dischi rotanti che controllavano l’aspirazione, scoprendo o ostruendo i condotti che dai carburatori andavano direttamente alle quattro camere di manovella. Questa moto disponeva di circa 130 cv a 11.500 giri/min, che sono passati a quasi 140 nella OW 70, apparsa l’anno successivo. Nel 1984 con la OW 76 la Yamaha è tornata alla ammissione a lamelle, che aveva già impiegato una decina di anni prima, all’inizio del suo impegno nella classe regina, quando la tecnica di queste valvole unidirezionali era ancora ai primordi.

 

Kim Newcombe e la Koning
Kim Newcombe e la Koning

Questo servizio sui 500 quadricilindrici con aspirazione controllata da disco rotante non sarebbe completo senza un doveroso accenno a un interessante motore nato e sviluppato per le competizioni motonautiche, il tedesco Konig. In questo caso i cilindri erano orizzontali e contrapposti. Due erano rivolti in avanti e due all’indietro. Una trasmissione primaria a catena inviava il moto a un cambio separato. L’azienda berlinese ha iniziato a lavorare su di una moto da competizione nel 1969, ma si è impegnata con decisione in tale settore solo un paio di anni dopo, in larga misura grazie al lavoro del tecnico-pilota Kim Newcombe. Il motore era caratterizzato dalla presenza di un solo disco rotante, piazzato nella parte superiore del basamento e azionato da una cinghia dentata. Dopo alcuni risultati molto significativi colti nel 1972 in gare internazionali, la moto, che disponeva di una novantina di cavalli a un regime dell’ordine di 10.000 giri/min, ha ottenuto svariati ottimi piazzamenti, oltre alla vittoria nel GP di Iugoslavia, che hanno portato Newcombe a piazzarsi secondo nel mondiale. Un risultato amaro, perché il forte pilota neozelandese è morto in una gara inglese nell’agosto di quello stesso anno, con ancora un GP da disputare… A causa di questa sventura la Konig ha perso interesse nelle moto da competizione, ma ha continuato a sviluppare i suoi motori per impiego sui sidecar, arrivando alla conquista del titolo iridato nel 1975 e nel 1976.