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Di modelli inediti da tempo ne arrivavano col contagocce. Al recente Salone della moto di Milano però si sono viste diverse novità interessanti. In questa sede parliamo delle moto di prestazioni più elevate, nei confronti delle quali si intravvede un certo ritorno di interesse da parte delle case. Sicuramente una certa “spinta” è arrivata dalla prossima entrata in vigore del nuovo regolamento delle Superbike, nettamente più restrittivo. Le moto infatti saranno molto più vicine a quelle effettivamente vendute al pubblico; le modifiche ammesse sono ben poche. I pistoni devono essere quelli di serie, così come gli spinotti e i segmenti, e non possono venire modificati. Idem per quanto riguarda le valvole, l’airbox e la trasmissione primaria. Le bielle possono essere sostituite con altre che però devono essere realizzate con lo stesso tipo di materiale e non possono avere un peso minore, rispetto a quelle di serie. Gli alberi a camme invece sono liberi.
Queste nuove norme, varate per differenziare maggiormente le superbike dalle MotoGP (e forse anche per contenere i costi), hanno portato alcuni costruttori a realizzare moto di serie ancora più spinte, con versioni destinate ad essere utilizzate prevalentemente, se non proprio esclusivamente, in pista. L’importante è che ne venga realizzato un numero di esemplari sufficiente per ottenere l’omologazione. Le case non dovrebbero avere problemi in questo senso, dato che le richieste della FMI non sono particolarmente severe in proposito (ciò appare criticabile in quanto richiedendo numeri più elevati si sarebbero di fatto eliminate le “serie speciali” e le vere e proprie “race replica” pronte per la pista). Dunque, non essendo più possibile preparare a morte i motori, vengono costruiti modelli già molto spinti, con tanto di bielle in titanio e via dicendo. Si tratta di moto di grande pregio, perfette tecnicamente e affidabilissime anche nell’impiego più gravoso, ma viene spontaneo chiedersi quale potrà essere la vita utile dei componenti più sollecitati e quali saranno le esigenze dei motori in fatto di manutenzione (l’esperienza del cross insegna), almeno per le realizzazioni più spinte. Proprio per evitare problemi in questo senso le case non si sono potute spingere oltre un certo livello di “spremitura” dei loro motori. E quindi, una volta effettuata la preparazione, rimanendo nei limiti consentiti dal regolamento, la potenza della quale potranno disporre le nuove superbike dovrebbe essere di circa una ventina di cavalli inferiore rispetto ai valori del 2014.
Dal punto di vista tecnico, c’è una uniformità assoluta. Anche se diversi modelli sono nuovi, gli schemi costruttivi e le soluzioni impiegate sono fondamentalmente uguali per tutti. Si hanno differenze, peraltro assai contenute, a livello di misure caratteristiche (e quindi anche di dimensioni delle valvole), di rapporto di compressione, di angolo tra le valvole, eccetera. Per quanto riguarda l’architettura, i quadricilindrici sono tutti in linea, eccezion fatta per l’Aprilia, che è a V, con un angolo di 65° tra le due bancate. In una classe a sé stante rientra il Ducati, sia per il fatto di essere un bicilindrico a V di 90° che per avere una distribuzione desmodromica. Pure la KTM nella categoria delle supersportive ha un motore a due cilindri, ma con V di 75°.
Vista questa grande standardizzazione, sembra opportuno fare un accenno almeno a un paio di parametri motoristici significativi, anche per poter valutare l’evoluzione che hanno subito negli anni recenti e i valori ai quali sono arrivati.
La potenza dei 1000 a 4 cilindri di serie più performanti è indicata in circa 200 cavalli. I bicilindrici hanno una cilindrata superiore, e pertanto occorre fare riferimento alla loro potenza specifica, per poter fare un confronto; il Ducati 1199 Panigale R, studiato proprio per le gare superbike, dispone di 205 cavalli, corrispondenti a 171 CV/litro
La potenza dei 1000 a quattro cilindri di serie più performanti viene oggi indicata generalmente in circa 200 cavalli. I bicilindrici hanno una cilindrata superiore, e pertanto occorre fare riferimento alla loro potenza specifica, per poter fare un confronto; il Ducati 1199 Panigale R, studiato proprio per le gare superbike, dispone di 205 cavalli, corrispondenti a 171 CV/litro. A titolo di riferimento, i motori delle auto di serie (aspirati a ciclo Otto) si attestano mediamente sui 65-75 CV/litro; quelli delle monoposto di Formula Uno del 2006 (ultimo anno senza limitazione del regime di rotazione) raggiungevano i 300 CV/litro e talvolta li superavano leggermente. Le attuali MotoGP pare abbiano una potenza dell’ordine di 260 cavalli e le migliori superbike del 2014 sono arrivate a circa 230. All’inizio degli anni Ottanta i motori di 900-1100 cm3 a quattro cilindri erogavano 95-105 CV/litro; alla fine del decennio i 1000 disponevano di 125-130 cavalli. Una bella differenza rispetto alle potenze degli odierni quadricilindrici di eguale cilindrata…
La velocità media del pistone, che viene calcolata al regime di potenza massima, è spesso citata come parametro motoristico di notevole importanza; in effetti, oltre ad essere facile da calcolare, è senz’altro un utile riferimento in molti casi. Una prima constatazione è che essa appare più elevata nei motori particolarmente spinti. Per ottenere una maggiore potenza, ferma restando la cilindrata, si lavora principalmente per migliorare la respirazione del motore, per ridurre le perdite per attrito e per aumentare la velocità di rotazione. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, è evidente che, se la corsa non varia, come conseguenza si ha un incremento della velocità media del pistone. Nei quadricilindrici di 1000 cm3 di serie oggi vengono raggiunti valori dell’ordine di 21,5-23,8 metri al secondo, che fino a non molti anni fa erano toccati solo dai motori automobilistici da competizione. Nelle superbike più recenti si è arrivati a 25-26 m/s, ovvero a valori analoghi a quelli dei motori delle auto di Formula Uno pre-2007 e delle MotoGP (nelle vetture di serie con motore a benzina aspirato si va in genere da 16 a 21 m/s). Il limite, oramai pressoché raggiunto dai motori da competizione, non è tanto di natura meccanica, quanto di ordine fluidodinamico: al di sopra di una certa velocità media del pistone il motore entra infatti in una grave “crisi respiratoria”.
Ferma restando la cilindrata, per poter raggiungere regimi di rotazione più elevati senza fare aumentare la velocità media del pistone, o almeno senza che essa possa raggiungere valori troppo alti, si diminuisce la corsa, aumentando contemporaneamente l’alesaggio (cosa vantaggiosa ai fini delle prestazioni anche in quanto consente di installare valvole più grandi). Questa strada come ovvio è percorribile solo entro certi limiti. Con i cilindri in linea infatti l’alesaggio non può crescere oltre un certo valore per non causare un eccessivo aumento dell’ingombro trasversale. E comunque, oggi i regolamenti pongono ben precisi limiti in questo senso, anche per mettere sullo stesso piano i motori indipendentemente dalla loro architettura costruttiva. All’inizio degli anni Ottanta il rapporto tra la corsa e l’alesaggio nelle grosse quadricilindriche era indicativamente compreso tra 0,76 e 0,93; alla fine del decennio però era già arrivato a 0,70-0,78. Nelle attuali 1000 supersportive va da 0,62 a 0,77.
Può essere interessante segnalare che i motori di Formula Uno aspirati di qualche anno fa erano scesi a 0,41-0,44; l’alesaggio era mostruoso (per montare valvole enormi!) se considerato in relazione alla corsa. Quest’ultima era ridottissima, il che consentiva di raggiungere e superare regimi anche superiori a 19.000 giri/min senza che la velocità media del pistone arrivasse a valori eccessivi. Per quanto riguarda le accelerazioni alle quali i pistoni erano sottoposti, però, la storia era ben diversa…