Massimo Clarke: "Le moto carrozzate degli anni Cinquanta"

Massimo Clarke: "Le moto carrozzate degli anni Cinquanta"
Nettamente in anticipo rispetto ai tempi, non hanno avuto fortuna, anche se assai valide tecnicamente e dotate di uno styling innovativo. Oggi sono giustamente assai quotate | M. Clarke
7 gennaio 2013


Nella storia della moto le proposte coraggiose non sono certo mancate. Alcune hanno avuto successo ma molte altre no, anche se spesso si è trattato di tentativi decisamente interessanti. Altre ancora hanno mostrato una strada che è stata seguita solo molti anni dopo la loro apparizione. In altre parole, erano in anticipo rispetto ai tempi e soltanto in seguito sono state capite e apprezzate come meritavano. È probabile che i gusti del pubblico non fossero ancora “maturi” per accettarle. E poi, bisogna anche dire che alcune di esse sono state presentate in momenti sfavorevoli, in cui il mercato stava entrando in crisi.
 

L’idea di realizzare delle moto con gli organi meccanici completamente nascosti da una “carrozzeria” è stata avanzata più volte già assai prima della seconda guerra mondiale. Negli anni Venti in Germania sono state costruite delle avveniristiche bicilindriche di questo tipo, con motore raffreddato ad acqua, dalla Aristos, dalla Sterna e dalla Menos. In seguito merita menzione la bella Miller del 1939. Questa stessa azienda milanese ha riproposto una moto carrozzata nel dopoguerra. In Inghilterra la Vincent ha messo in produzione nel 1954 la Black Knight, versione con meccanica interamente racchiusa della sua famosa bicilindrica a V di 1000 cm3. In entrambi questi casi comunque si trattava fondamentalmente di varianti di modelli preesistenti.
 

Gli anni Cinquanta sono stati straordinari tanto a livello di evoluzione tecnica e stilistica delle moto quanto a livello di vitalità da parte del mercato, con apparizione di una miriade di nuovi modelli, molti dei quali ben diversi tra loro anche come scelte di base. Si trattava di realizzazioni dalla forte personalità, nelle quali era ben evidente la mano del progettista. Poco prima che iniziasse la grande crisi, dovuta al migliorato tenore di vita e alla disponibilità di vetture utilitarie economiche e agevolmente acquistabili a rate, alcuni costruttori hanno cercato di intraprendere la via della moto carrozzata, progettando ex-novo dei modelli di questo genere. L’obiettivo era da un lato quello di proporre un veicolo innovativo sotto l’aspetto stilistico e dall’altro quello di fornire un mezzo in grado di assicurare una protezione e una “pulizia” analoghe a quelle che si avevano negli scooter.
 

Guzzi Zigolo
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Nella categoria dei modelli carrozzati rientra anche il semplice e robusto Guzzi Zigolo, che è stato l’unico a ottenere buoni risultati dal punto di vista commerciale. Si tratta di una moto a due tempi, entrata in produzione nel 1953, di impostazione nettamente utilitaria. Il motore a cilindro orizzontale di 98 cm3 (alesaggio e corsa = 50 x 50 mm) erogava quattro cavalli a 5200 giri/min. Tra le caratteristiche costruttive più rimarchevoli, vi erano l’albero a gomito con manovella a sbalzo e l’ammissione controllata da un manicotto rotante (azionato dall’albero stesso). Il cambio era a tre marce. Nel 1958 il cilindro in ghisa è stato sostituito da uno in lega di alluminio con canna cromata. Alla fine del 1959 ha fatto la sua comparsa la versione di 110 cm3.
 

La Motom 98, realizzata nelle versioni T e TS, è stata presentata alla fine del 1955. Si trattava di una motoleggera estremamente raffinata tanto sotto l’aspetto tecnico quanto a livello estetico. Un mezzo dunque tutt’altro che “umile”, anche se di cilindrata contenuta, progettato da un tecnico brillante e spesso anticonformista nelle sue scelte, Piero Remor, padre delle mitiche Gilera 500 a quattro cilindri da Gran Premio e successivamente delle MV di eguale cilindrata e analogo frazionamento. Si trattava di una moto innovativa, con telaio in lamiera scatolata e organi meccanici completamente nascosti alla vista; anche la sospensione anteriore (come quella posteriore) era del tipo a doppio braccio oscillante, con elementi elastici costituiti da grossi tamponi di gomma che lavoravano a torsione. Il motore a cilindro orizzontale aveva la distribuzione monoalbero con comando a catena, valvole inclinate e bilancieri (montati su barre di torsione nella versione TS!) muniti di rullo. Molto interessante era il parastrappi a barra di torsione piazzato tra l’albero a gomito e l’ingranaggio conduttore della trasmissione primaria. Il cambio era a espansione di sfere. Questa moto dallo styling straordinario (basta pensare che la Honda ne ha voluta una per il suo museo e che un’altra si trova al MoMa di New York!) è stata prodotta fino al 1959 in un numero piuttosto modesto di esemplari.
 

Dopo avere costruito per diversi anni delle tranquille monocilindriche a due tempi di impostazione semplice ed economica, attorno alla metà degli anni Cinquanta l’Aermacchi ha deciso di passare ai motori a quattro tempi, e di farlo con un mezzo dalle caratteristiche estremamente evolute. Del progetto è stato incaricato Alfredo Bianchi, che ha realizzato un motore di 175 cm3 a cilindro orizzontale di schema lineare e moderno, improntato alla massima robustezza. Lo styling di questa bellissima moto, denominata Chimera e presentata alla fine del 1956, era dovuta a Mario Revelli di Beaumont. Anche in questo caso tutti gli organi meccanici erano racchiusi dalla carrozzeria, costituita da pannelli in lamiera fissati al telaio, il cui elemento principale era un tubo superiore di grande diametro. La sospensione posteriore poteva essere considerata una antenata del sistema Monocross, con forcellone oscillante e unico elemento molleggiante centrale. Il motore aveva il cilindro in ghisa e la distribuzione ad aste e bilancieri, con valvole inclinate e camera di combustione emisferica. La potenza era leggermente superiore a 10 cavalli a 6800 giri/min. Nel 1958 è entrata in produzione la versione di 250 cm3 di questa moto, con misure di alesaggio e corsa portate a 66 x 72 mm, dagli originali 60 x 61. La Chimera non ha avuto successo, ma da essa sono derivate delle moto “nude” che hanno ottenuto eccellenti risultati sia sotto l’aspetto commerciale che per quanto riguarda l’impiego agonistico; i loro nomi (Ala Verde, Ala Blu, Ala d’Oro…) sono rimasti nella leggenda.

Parilla Slughi
Parilla Slughi


Alla fine del 1957 la Parilla ha presentato la sua moto carrozzata. Progettata da Cesare Bossaglia, si chiamava Slughi ed era azionata da un motore monocilindrico di 99 cm3, con distribuzione ad aste e bilancieri e valvole parallele. Il cilindro era in ghisa e la potenza di sei cavalli a 7200 giri/min. Il telaio era realizzato con elementi in lamiera stampata e aveva una conformazione a culla doppia rialzata. Di questa moto successivamente è stata realizzata anche una versione con motore a due tempi di 125 cm3. Il mercato motociclistico italiano era però oramai entrato in crisi e questa moto innovativa non stava ottenendo buoni risultati commerciali. La casa milanese decise pertanto di realizzare anche une versione nuda, denominata Olimpia, che però non ebbe successo.
 

C’è un’altra moto carrozzata di quegli anni che merita senz’altro di essere ricordata. Si tratta della Ariel Leader, progettata dal grande tecnico Val Page. Questa bicilindrica a due tempi è apparsa nel 1958 ed è rimasta in listino fino alla metà degli anni Sessanta. Il telaio era costituito da una scocca di grande sezione in lamiera d’acciaio scatolata, sotto la quale era “appeso” il motore. I cilindri erano in ghisa e la trasmissione primaria a catena; la potenza era di 16 cavalli a 6400 giri/min. L’albero a gomiti, completo di bielle, poteva essere estratto dal basamento senza rimuovere il motore dal telaio. Molto interessante era la sospensione anteriore, costituita da una forcella in lamiera stampata con biscottini oscillanti inferiori e ruota “tirata”. Pure di questa moto è stata realizzata una versione “nuda”, piuttosto sportiveggiante, denominata Arrow.

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