Una particolare architettura che permette di recuperare spazio e aumentare le cilindrate mantenendo contenuti i volumi d'ingombo. Ecco la storia di questi motori | Massimo Clarke
27 ottobre 2010
L'evoluzione in ambito automobilistico
Per decenni è stata la Lancia a sostenere questa architettura costruttiva, in particolare con una lunga serie di eccellenti quadricilindrici, l’ultimo dei quali azionava la non dimenticata Fulvia.
In seguito questo schema è stato ripreso dalla Volkswagen, che ha così potuto installare nel vano motore della Golf (e di altri modelli) delle unità motrici di cilindrata ben maggiore di quella che sarebbe stata possibile raggiungere con l’architettura in linea. Nei suoi VR 6 è stato adottato un angolo tra i cilindri di 15°.
Alcuni esempi tra le moto
In campo motociclistico vanno ricordati
due motori realizzati all’inizio degli anni Trenta dalla inglese Matchless, entrambi con raffreddamento ad aria. Si tratta del bicilindrico Silver Arrow di 400 cm3, apparso nel 1930, con distribuzione a valvole laterali, e del ben più performante
Silver Hawk a quattro cilindri di 600 cm3, con distribuzione monoalbero, prodotto dal 1931 al 1935. In entrambi i casi l’angolo tra i cilindri era di 26°.
I motori con distribuzione a tre alberi a camme
Pure i motori con tre alberi a camme in testa, inediti in campo motociclistico, non sono una novità assoluta. Impiegavano una distribuzione di questo genere infatti le Auto Union V12 da competizione del 1938-39, con i tre alberi che “servivano” due bancate di cilindri disposte a 60°.
Nel 1991 la BMW ha realizzato un V 12 da competizione, rimasto allo stadio sperimentale, nel quale vi erano tre alberi a camme per ogni testa (e quindi sei in totale!). Con una cilindrata di 3,5 litri (quella della F1 allora in vigore) questo motore erogava 720 CV a 14500 giri/min. Il basamento era in lega di magnesio rinforzata con fibre!
Massimo Clarke: "Motori a V stretto"