Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su [email protected]
Pochi organi meccanici sono stati oggetto di cambiamenti geometrici e dimensionali analoghi a quelli che negli ultimi tempi hanno interessato i pistoni. Questo sviluppo è avvenuto perché le case motociclistiche si sono impegnate per decenni in una vera e propria corsa verso prestazioni sempre più elevate. I motori di serie hanno così raggiunto potenze specifiche via via maggiori e i regimi di rotazione sono cresciuti in misura impressionante. Ciò ha portato logicamente a sollecitazioni sempre superiori. Le forze in gioco, dovute tanto alla pressione dei gas quanto all’inerzia, sono diventate altissime. Inoltre la quantità di calore che viene assorbita dai pistoni nell’unità di tempo, e che quindi passa attraverso le loro pareti metalliche, è cresciuta essa pure, raggiungendo valori non immaginabili in precedenza. È stato pertanto necessario sviluppare questi organi meccanici in modo da renderli in grado non solo di sopportare impunemente gli stress in questione, assicurando una affidabilità assoluta, ma anche di lavorare perfettamente per decine e decine di migliaia di chilometri. Mica facile.
L’impegno e lo sforzo dei produttori di pistoni sono stati straordinari e hanno coinvolto la metallurgia, i trattamenti e i procedimenti costruttivi. Oltre naturalmente al disegno e al dimensionamento. Per quanto riguarda questi ultimi due punti, chiunque può constatare come sono cambiate le cose semplicemente osservando un pistone degli anni Settanta e confrontandolo con uno attuale. Innanzitutto si nota che, pur con un diametro analogo, l’altezza è diminuita in maniera molto considerevole. Inoltre, salta subito agli occhi che il mantello ha una forma notevolmente diversa. Una volta esso era completo (in altre parole era perfettamente cilindrico, all’apparenza), poi sono apparse sempre più evidenti sfiancature all’esterno delle portate per lo spinotto; in seguito il mantello è diventato “ad H”, come si diceva allora, e oggi è assai spesso ridotto a due semplici pattini di guida e di appoggio alla canna. Questa progressiva riduzione, tanto in altezza quanto in larghezza, delle superfici di appoggio ha avuto luogo per due ragioni. La prima è costituita dalla forte diminuzione del peso che si è così ottenuta. Per fare un esempio, negli anni Settanta un pistone con un diametro di 76-80 mm pesava in genere poco più di 300 grammi; oggi siamo arrivati a valori dell’ordine di 185 grammi!
I tecnici inoltre hanno ridotto l’estensione del mantello anche per diminuire le perdite per attrito, che tendono a diventare sempre maggiori al crescere del regime di rotazione; in conseguenza di questo, diventa progressivamente più difficile evitare che il rendimento meccanico peggiori sensibilmente man mano che il motore gira più forte. Nei modelli molto spinti si fa quindi di tutto per mantenere tale rendimento su valori per quanto possibile elevati. Una minore estensione delle superfici di strisciamento è vantaggiosa, ma oltre un certo limite è praticamente impossibile spingersi. Nel caso dei pistoni, il mantello deve svolgere sempre impeccabilmente la propria funzione di guida e scaricare come opportuno la spinta laterale, determinata dalla inclinazione della biella, contro la parete del cilindro.
Nei motori da competizione, nei quali le sollecitazioni meccaniche raggiungono realmente valori estremi, da diversi anni viene adottata una struttura “scatolata” che la tedesca Mahle ha chiamato box-n-box
Per avere un’idea di quanto sia diminuito il rapporto tra l’altezza e il diametro del pistone, basta pensare che, per quanto riguarda i motori quadricilindrici, negli anni Settanta erano comuni valori dell’ordine di 0,80, mentre oggi si è passati a 0,50-0,55. Nella Panigale 1199 la Ducati si è spinta a 0,44, autentico valore record per un modello di serie. I pistoni delle moto da cross sono ancora più radicali, sotto questo aspetto; alcuni arrivano infatti a quasi 0,40, ma si tratta di mezzi destinati a impiego agonistico.
A questo punto viene spontaneo chiedersi come sia stato possibile arrivare a tali estremi, ovvero realizzare pistoni così bassi ma al tempo stesso ancora in grado di svolgere in maniera corretta la loro funzione di guida. La risposta va ricercata nell’impiego del computer e di programmi molto sofisticati, che consentono di valutare con grande precisione come si deformerà il pistone nelle condizioni di lavoro e quale sarà il suo comportamento all’interno della canna. Questo consente di stabilire con estrema accuratezza come deve essere disposto il materiale, quale geometria è più vantaggiosa e quale profilo deve essere impartito al mantello, alla temperatura ambiente, per ottenere i migliori risultati. Lavorazioni eccezionalmente accurate completano il quadro.
Nei motori da competizione, nei quali le sollecitazioni meccaniche raggiungono realmente valori estremi, da diversi anni viene adottata una struttura “scatolata”, che la tedesca Mahle, azienda benemerita in questo settore, ha chiamato box-n-box. Grazie ad essa i pistoni abbinano alla massima leggerezza una eccezionale robustezza.
In passato si adottavano spesso angoli tra le valvole molto elevati; per ottenere alti rapporti di compressione, indispensabili quando si cercano le massime prestazioni, il cielo del pistone doveva avere una forma molto bombata. Non di rado ciò portava la camera di combustione ad assumere una geometria a “scorza d’arancio”, ben lontana da quella ideale. Inoltre il pistone era pesante e lavorava a temperatura più alta (era maggiore la superficie esposta ai gas). In seguito l’angolo tra le valvole è diminuito e il cielo del pistone ha potuto assumere una conformazione più razionale e vantaggiosa. Nei motori di altissima potenza specifica, anche se oggi il cielo spesso è quasi perfettamente piano, nonostante il rapporto di compressione molto elevato, in genere sono bene evidenti gli incavi praticati in corrispondenza dei funghi delle valvole. Queste “sacche” sono necessarie perché al punto morto di fine corsa di scarico, ovvero durante il cosiddetto incrocio, sono contemporaneamente aperte (sia pure parzialmente) tanto le valvole di aspirazione quanto quelle di scarico. Le prime hanno già iniziato ad aprirsi, mentre le seconde non hanno ancora finito di chiudersi. Il sollevamento dalle sedi è tanto maggiore quanto più spinti sono gli alberi a camme. Per evitare ogni rischio che si possano verificare contatti tra le valvole e il pistone, si praticano quindi questi incavi, grazie ai quali si mantiene una adeguata distanza di sicurezza tra le parti in questione.
Quando il mantello era intero o sfiancato, le portate per lo spinotto erano interne. In seguito si sono avvicinate notevolmente tra loro e oggi, nel caso di realizzazioni per motori di prestazioni molto elevate, quasi sempre sono esterne, rispetto alle pareti laterali del pistone. La maggiore vicinanza tra le portate ha consentito l’impiego di spinotti più corti e quindi anche più rigidi e, cosa importantissima, più leggeri. La loro lunghezza nei motori sportivi di serie è oggi dell’ordine di 0,62-0,65 volte l’alesaggio; nel Ducati 1199 scende a 0,50 e nei pistoni da competizione si avvicina addirittura a 0,40.