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I bicilindrici sono stretti, hanno una erogazione vigorosa e indubbiamente una forte personalità, i quadricilindrici a parità di cilindrata possono essere più potenti; inoltre sono fluidi e prendono i giri che è una bellezza. Logico pensare a una soluzione intermedia, che abbini prestazioni elevate a uno spiccato carattere. Ecco dunque i motori a tre cilindri in linea, a quattro tempi (ai 2T dedicheremo un servizio apposito), che alcuni costruttori hanno utilizzato in passato per moto che hanno fatto la storia e che oggi costituiscono una realtà di grande interesse tecnico e di notevole successo. L’albero a gomiti, con manovelle disposte a 120°, assicura l’equidistanza tra le fasi utili e una perfetta equilibratura delle forze d’inerzia. Una coppia del primo ordine, non bilanciata, può dare origine a vibrazioni avvertibili, anche se di entità abbastanza contenuta, che nei motori moderni vengono abbattute facendo ricorso a un albero ausiliario di equilibratura. Il suono dello scarico può essere addirittura esaltante.
A rilanciare questa architettura costruttiva nel corso degli anni Novanta è stata la rinata Triumph che ad essa ha legato i suoi più importanti successi e la sua stessa immagine. È poi stata la volta della Benelli e, più di recente, della MV Agusta e quindi della Yamaha; queste ultime due case avevano già in passato sfruttato tale schema costruttivo per alcune realizzazioni, sia da corsa (nel caso della azienda italiana) che di serie (per quanto riguarda il colosso giapponese).
Il grande ritorno dei tricilindrici in linea a quattro tempi si è avuto nel 1965 con la MV Agusta 350 da GP, della quale è stata ricavata l’anno successivo una 500 di architettura assolutamente analoga. Queste moto formidabili sono entrate nella leggenda grazie agli straordinari successi ottenuti da Giacomo Agostini, che le ha portate alla vittoria in ben 12 campionati mondiali piloti (5 ottenuti con la 350 e 7 con la 500). La 500 aveva un alesaggio di 60,5 mm e una corsa di 57 mm. La potenza, inizialmente di circa 78 cavalli a 11.600 giri, è cresciuta nel corso degli anni; nel 1970 era dell’ordine di 83 cv a 12.500 giri. Tra le particolarità tecniche di maggiore spicco vanno ricordate le quattro valvole per cilindro, disposte su due piani inclinati tra loro di 44°, la distribuzione bialbero comandata da una cascata di ingranaggi piazzata lateralmente e l’impiego di calotte in bronzo, installate con interferenza nella testa, in corrispondenza delle camere di combustione. L’albero a gomiti composito, che come logico nei tricilindrici poggiava su quattro supporti di banco, lavorava interamente su cuscinetti a rotolamento.
L’architettura a tre cilindri in linea ha fatto la sua comparsa in grande stile tra le moto di serie con le bellissime Triumph Trident 750 e BSA Rocket 3 nel 1968. I motori riprendevano le soluzioni tecniche impiegate nei bicilindrici Triumph e in effetti a prima vista potevano sembrare dei 500 T100 con l’aggiunta di un terzo cilindro. Erano però frutto di un nuovo progetto, realizzato mantenendo comunque invariati i principali schemi costruttivi a livello di testa, distribuzione e cambio. Rimaneva invariata la distribuzione ad aste e bilancieri con due alberi a camme nel basamento e due valvole per cilindro, fortemente inclinate. Il blocco cilindri era in lega di alluminio, con canne riportate in ghisa. Le bielle erano forgiate in lega di alluminio RR56 (contenente il 2% di rame più minori quantità di ferro, nichel e magnesio), come quelle dei bicilindrici. Completamente diverso rispetto a questi ultimi era l’albero a gomiti, con manovelle a 120°, forgiato in un unico pezzo e poggiante su due supporti laterali dotati di cuscinetti a rotolamento più due centrali muniti di bronzine. Le pompe dell’olio (di mandata e di recupero) erano a ingranaggi e non più a pistoncino, come nei bicilindrici Triumph. Il motore aveva un alesaggio di 67 mm e una corsa di 70 mm ed erogava 58 cv a 7.250 giri.
Un altro motore a tre cilindri in linea, non più verticali o inclinati, ma orizzontali e con la bancata disposta longitudinalmente (architettura “a sogliola”) è stato quello della BMW K75, entrato in produzione nel 1985. In questo caso si trattava praticamente di un motore quadricilindrico della K100 privato di un cilindro! Un eccellente esempio quindi di realizzazione modulare.
Raffreddato ad acqua, questo 750 (che aveva le stesse misure caratteristiche del Triumph T150) aveva la distribuzione bialbero e due valvole per cilindro. I cilindri avevano la canna integrale con riporto al nichel-carburo di silicio. L’albero a gomiti era monolitico e lavorava su bronzine. La potenza era di 75 cv a 8.500 giri. Questo è stato il primo tricilindrico per moto a essere dotato di un albero ausiliario di equilibratura, azionato mediante ingranaggi e ruotante alla stessa velocità dell’albero a gomiti. La sua realizzazione è stata facilitata dal fatto che in effetti questo albero già c’era (era impiegato per comandare la pompa dell’acqua e quella dell’olio); è pertanto bastato dotarlo di due masse eccentriche.
Nel 1999 la Benelli ha presentato il Tornado, azionato da un tricilindrico bialbero a quattro valvole di 900 cc di disegno moderno e razionale, esso pure raffreddato ad acqua e dotato di albero ausiliario di equilibratura, soluzioni ormai diventate d’obbligo. Il blocco cilindri era amovibile e aveva le canne integrali con riporto al nichel-carburo di silicio. La moto, dotata di un alesaggio di 88 mm e una corsa di 49,2 mm, è entrata in produzione nel 2002 con una potenza di 136 cv a 11.500 giri. Nel 2006 ha fatto la sua comparsa la versione di 1.130 cc di questo motore, ottenuta aumentando la corsa da 49,2 a 62 mm.
Le MotoGP a quattro tempi hanno sostituito le precedenti 500 a due tempi nella classe regina del mondiale nel 2002. Mentre Yamaha, Suzuki e Ducati hanno scelto di impiegare motori a quattro cilindri e la Honda ha sviluppato un V5, l’Aprilia ha optato per un tricilindrico in linea, che può essere considerato una autentica “fetta” di un V10 di Formula Uno (per le quali all’epoca la cilindrata massima ammessa era 3.000 cc). Sviluppato in collaborazione con l’inglese Cosworth, questo è stato il primo motore motociclistico dotato di molle pneumatiche per il richiamo delle valvole. Per il resto, si trattava di un tricilindrico potentissimo, realizzato in base alle più moderne vedute tecniche in fatto di 4T da competizione (con tanto di DLC, pistoni tipo box-n-box, bilancieri a dito e via dicendo). È stato sfortunato, ma pare che i problemi della moto fossero fondamentalmente legati all’elettronica e alla gestione della erogazione.
Come visto in precedenza, la MV Agusta ha un legame particolare con i motori a tre cilindri, nato durante i mitici anni Sessanta. Allora si trattava di moto da competizione, ma questa “formula” costruttiva è stata ripresa di recente per la splendida F3 di 675 cc con motore bialbero a quattro valvole per cilindro. Dotato di un blocco cilindri del tipo closed deck integrale con il semibasamento superiore, questo compattissimo tricilindrico ha un alesaggio di 79 mm e una corsa di 45,9 mm ed eroga 128 cv a 14.400 giri. Tra le particolarità più significative vanno segnalati i condotti per il liquido di raffreddamento tra la pompa e il gruppo cilindri-testa ricavati direttamente all’interno della fusione del basamento e l’albero ausiliario di equilibratura che funge anche da albero intermedio della trasmissione primaria (di conseguenza l’albero a gomiti gira all’indietro). Le valvole sono in titanio.
Dalla F3 è stata derivata una moto nuda meno spinta, la Brutale 675 da 110 cavalli e con valvole in acciaio.
Successivamente, e questa è storia d’oggi, del tricilindrico varesino è stata realizzata una versione di 800 cc, ottenuta portando la corsa a 54,3 mm, destinata alla F3 800 da 148 cv a 13.000 giri e, in variante più tranquilla, alla Brutale 800.
Pure per la Yamaha la messa in produzione di un tricilindrico in linea costituisce, come si è visto, un ritorno al passato. Il nuovo motore di 849 cc è dotato di condotti di aspirazione di lunghezza diversa, al fine di ottenere una curva di erogazione particolarmente “piena” (ogni condotto infatti risulta ottimizzato per un differente regime). La distribuzione è bialbero, con quattro valvole per cilindro, disposte su due piani inclinati tra loro di 26°30’. La potenza di questo tricilindrico, che ha un alesaggio di 78 mm e una corsa di 59,1 mm, è di 115 cavalli a 10.000 giri. Rispetto a quello della FZ8, questo motore, studiato e sviluppato per l’erogazione più che per la potenza massima, pesa 10 kg in meno e ha un ingombro inferiore (la casa afferma che si tratta del più compatto della sua categoria).