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Per poter trasmettere le forze longitudinali e trasversali le ruote devono essere mantenute a contatto con il suolo in qualunque condizione di impiego della moto e su ogni tipo di fondo stradale. Compito fondamentale delle sospensioni è far sì che questo avvenga sempre, anche nelle situazioni più critiche. La cosa però è tutt’altro che facile in quanto occorre fare i conti non solo con le condizioni dell’asfalto (e questo per non parlare di quanto avviene nella marcia in fuoristrada!) ma anche con le variazioni di assetto che hanno luogo durante l’impiego della moto e con i relativi cambiamenti dei parametri geometrici della ciclistica.
In fase di accelerazione e di frenata ha luogo il fenomeno detto trasferimento di carico. Come è facile osservare, ad esempio assistendo a un Gran Premio, quando alla uscita di una curva il pilota apre con decisione il gas, l’avantreno si alleggerisce e non di rado la ruota anteriore si solleva visibilmente dal suolo. Questo accade anche, e può sperimentarlo chiunque, quando in partenza si accelera in maniera molto vigorosa: la moto tende a impennarsi. In fase di frenata avviene il contrario: l’avantreno “affonda” e il retrotreno si alleggerisce. Al limite, nelle staccate più brutali, si può arrivare al sollevamento della ruota posteriore dal suolo. In entrambi i casi si verifica un trasferimento di carico. A causarlo è una coppia che si crea in quanto le forze che le ruote trasmettono al suolo agiscono a livello di quest’ultimo mentre l’inerzia agisce (in senso opposto) a livello del baricentro della moto. Questa coppia tende a far ruotare la moto in avanti in fase di frenata e all’indietro in accelerazione.
Il trasferimento di carico diventa più accentuato al diminuire dell’interasse del veicolo e all’aumentare della altezza dal suolo del baricentro. Il peso aggiuntivo che va a gravare sulla ruota è legato alla massa (del complesso moto+pilota) e alla accelerazione della moto, positiva o negativa che sia.
In fase di accelerazione, anche se non si arriva al sollevamento della ruota anteriore dal suolo, il trasferimento di carico tende comunque a causare un alleggerimento dell’avantreno, con riduzione della capacità da parte del pneumatico di trasmettere al suolo le forze sterzanti. Contemporaneamente, la parte posteriore della moto tende ad abbassarsi e la sospensione si comprime.
Per contrastare questo fenomeno, che in gergo viene anche definito squat, si potrebbe pensare di aumentare l’altezza d’assetto posteriore della moto, ma ciò comporterebbe una variazione della geometria dell’avantreno, che magari è già stata regolata accuratamente in seguito a un accurato lavoro di messa a punto. Allora si potrebbe pensare di aumentare in eguale misura anche l’altezza d’assetto anteriore; in tal caso si varierebbe però la posizione del baricentro, con conseguenze che potrebbero essere svantaggiose, come una minore stabilità sul veloce e una maggiore tendenza al beccheggio (d’altro canto, la moto diventerebbe più agile nei cambiamenti di direzione). Pure un aumento della frenatura in compressione dell’ammortizzatore posteriore potrebbe contrastare in qualche misura il trasferimento di carico, ma anche in questo caso si andrebbe a disturbare una “armonia” già raggiunta a livello di regolazioni, ovvero si potrebbe peggiorare il comportamento della moto in altre situazioni.
Esiste però un ulteriore sistema che può consentire di opporsi al trasferimento di carico, ed è quello di “sfruttare” opportunamente il tiro della catena. In fase di accelerazione, oltre alla forza motrice ne agisce un’altra, ossia quella con la quale la catena “tira” la ruota posteriore verso il motore.
Un parametro fondamentale, per quanto riguarda tale azione “anti-squat”, che contrasta l’abbassamento della parte posteriore della moto, è l’angolo che il ramo superiore della catena forma con il forcellone oscillante. Entrano dunque in gioco l’inclinazione di quest’ultimo, i diametri del pignone e della corona e la distanza tra il ramo della catena e il forcellone stesso.
Alcuni costruttori realizzano telai nei quali è possibile modificare la posizione degli attacchi del perno del forcellone, variandone l’altezza. Questo consente di disporre di un ulteriore parametro per di messa a punto della ciclistica
Quando il tiro della catena tende a far “aprire” la sospensione, ovvero a farla estendere e a fare sollevare la parte posteriore della moto, si ha l’azione anti-squat, che può essere vantaggiosa in quanto limita l’alleggerimento dell’avantreno. Per avere il miglior comportamento della moto essa non deve però essere eccessiva né di entità troppo modesta. Questa azione diminuisce mano a mano che la sospensione si comprime, a causa dei cambiamenti geometrici determinati dalla rotazione del forcellone sul suo fulcro.
Quando invece in accelerazione il forcellone tende a ruotare in senso inverso, la sospensione si comprime e la moto tende a schiacciarsi sulla ruota posteriore. Le forze dovute al trasferimento di carico hanno qui il sopravvento sul tiro catena. Addirittura quest’ultimo può talvolta agire nello stesso senso, ossia quello di far “chiudere” la sospensione (azione pro-squat).
Alcuni costruttori realizzano telai nei quali è possibile modificare la posizione degli attacchi del perno del forcellone, variandone l’altezza. Questo consente al pilota di disporre di un ulteriore parametro sul quale agire in fase di messa a punto della ciclistica. È evidente che spostando il fulcro più in alto si aumenta l’azione anti-squat. In quest’ottica si può anche agire a livello di dimensioni delle ruote dentate della trasmissione finale (l’adozione di un pignone più piccolo rispetto a quello originale o di una corona più piccola fanno crescere l’effetto anti-squat). Si tratta comunque di interventi di messa a punto estremamente “fine”, ai quali fanno in genere ricorso solo piloti molto sensibili ed esperti, in caso di impiego al limite della moto.