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Fin dagli albori della moto i tecnici hanno spesso utilizzato il motore per completare la parte ciclistica. Quando la culla non era chiusa inferiormente, era il basamento che la completava. L’impiego del motore come elemento stressato si è fatto più comune con il passare degli anni. Sono diventati più numerosi i modelli con basamento avente una funzione strutturale a livello di ciclistica, e tale funzione in molti casi è diventata estremamente importante, fino ad arrivare alla situazione limite, nella quale il motore fungere da telaio o ne costituisce la parte principale.
In effetti è difficile trovare un telaio nel quale il basamento o il gruppo testa-cilindro non forniscano un contributo alla rigidezza; magari fungono semplicemente da traversini, ma un qualcosa comunque fanno.
Negli anni Sessanta alle culle completate inferiormente dal basamento si sono andate ad aggiungere moto tanto da strada quanto da corsa nelle quali era il motore stesso (fissato al telaio a livello di testa e di parte posteriore del basamento) a costituire la culla. Qui basta ricordare le Honda da Gran Premio di quel periodo e le bicilindriche stradali della serie CB (fino a 350), alle quali si sono poi aggiunte le Laverda 650 e 750 monoalbero.
Questa soluzione peraltro era già stata adottata dalla inglese Panther, a partire addirittura degli anni Venti. Assai più in là si era spinta la tedesca Windhoff 750, prodotta dal 1927 al 1929, nella quale era il grosso motore a quattro cilindri in linea longitudinale a fungere da telaio. E non si può non citare lo scooter Rumi Formichino degli anni Cinquanta, nel quale i due “gusci” anteriore e posteriore erano imbullonati non tra loro ma al basamento del motore, che andava così a completare centralmente la scocca.
I telai a traliccio si sono imposti in modo definitivo fondamentalmente grazie alla Ducati, che li ha impiegati su modelli di grande successo
I telai a traliccio si sono imposti in modo definitivo fondamentalmente grazie alla Ducati, che li ha impiegati su modelli di grande successo, utilizzando proprio il basamento del motore per chiudere inferiormente la triangolazione principale, a partire dai primi anni Ottanta. Le moto della serie Pantah, inoltre, sono state tra le prime a disporre il fulcro del forcellone oscillante nella parte posteriore del basamento. Questa soluzione peraltro era stata anticipata, con un vero e proprio schema “pivotless” (come in seguito lo hanno chiamato i giapponesi), dalla Moto Guzzi, che nella seconda metà degli anni Settanta aveva messo in produzione le sue V 35 e V 50, nelle quali i tubi inferiori e quelli discendenti del telaio non si congiungevano posteriormente; il collegamento era assicurato alla scatola del cambio, nella quale era anche fulcrato il forcellone oscillante.
All’inizio degli anni Ottanta la BMW ha messo in produzione le sue moto a tre e quattro cilindri della serie K, con il motore a sogliola che unitamente al cambio sostituiva la parte inferiore del telaio. La Casa bavarese si stava interessando a soluzioni di ciclistica che vedevano il motore sempre più coinvolto, e ciò è stato confermato dalla successiva comparsa delle nuove bicilindriche boxer a quattro valvole, nelle quali i bracci oscillanti delle sospensioni anteriore e posteriore (Telelever e Paralever) erano direttamente fulcrati nel gruppo motore-cambio; quest’ultimo era stato studiato sin dall’origine con l’obiettivo di potere svolgere non solo tale funzione, ma anche di poter sostituire completamente il telaio. Al basamento erano semplicemente imbullonati un telaietto anteriore di supporto del cruscotto e della testa di sterzo e un telaietto posteriore che supportava la sella. Un telaio vero e proprio non c’era. Più o meno nello stesso periodo, nelle gare della Battle of the Twins correva in pista la Britten, nella quale il grosso motore bicilindrico era portante.