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1 – Da tempo le pinze radiali si sono imposte, dapprima sulle moto da competizione e quindi su quelle di serie di prestazioni più elevate. Per quale ragione?
In fondo le pinze tradizionali andavano benissimo. Queste però vanno ancora meglio, in caso di impiego al limite. Il complesso pinza-attacchi è infatti più rigido (il fissaggio non avviene più “a sbalzo”). Le pastiglie lavorano meglio, e questo è confermato dal fatto che l’usura del materiale d’attrito risulta più uniforme. Il pilota ha un migliore “feeling” e avverte un grip iniziale più vigoroso.
2 - Quali sono le soluzioni costruttive adottate?
I procedimenti che si possono impiegare sono tre: la fusione, la forgiatura e la lavorazione dal pieno. La prima è più vantaggiosa sotto l’aspetto economico, in particolare quando si tratta di grandi serie. Le altre due consentono di ottenere, a parità di geometria e di dimensionamento, pinze più robuste e rigide, date le migliori caratteristiche del materiale. Per quanto riguarda quest’ultimo, è sempre una lega di alluminio, che abbina ridotta densità a elevata conduttività termica. Per le pinze ottenute mediante fusione si impiegano leghe al silicio, mentre negli altri due casi si utilizzano leghe di alluminio ad alta resistenza, contenenti rame (ossia della serie 2000) o zinco (serie 7000).Molto interessante il recente sviluppo di una nuova lega studiata principalmente per le pinze dei freni, su specifica richiesta della Brembo; si tratta della 6026, da lavorazione plastica, che come elementi leganti principali contiene silicio e magnesio.
Per quanto concerne la struttura, alle classiche pinze in due parti (unite mediante viti) si sono aggiunte da alcuni anni quelle monoblocco, nate per le moto da competizione ed impiegate successivamente anche su modelli sportivi. Questa soluzione, che richiede attrezzature molto particolari per l’effettuazione delle lavorazioni, consente di ottenere una maggiore rigidezza (e anche una lieve diminuzione del peso) a parità di ingombro, rispetto al quella convenzionale.
3 – E per quanto riguarda il disegno e la progettazione, quali sviluppi si sono avuti?
Le pinze devono essere estremamente rigide, ovvero deformarsi il meno possibile durante il funzionamento (cioè quando serrano il disco con una forza molto elevata). Al tempo stesso devono anche essere leggere, dato che fanno parte delle masse non sospese. E in proposito non si deve poi dimenticare che la ruota anteriore deve poter essere sterzata con uno sforzo per quanto possibile modesto.
Coniugare massima rigidità e peso ridotto però non è facile. La struttura delle pinze deve quindi essere studiata con estrema cura, in modo da disporre il materiale solo dove realmente necessario. A questo fine la Brembo ha sviluppato un sofisticato programma denominato “ottimizzatore topologico” che, grazie a procedure iterative, consente di rimuovere materiale dalle zone della pinza ove esso non serve, in modo da avvicinarsi il più possibile alla struttura ottimale, che abbina la massima rigidezza alla massima leggerezza.
Oggi la linea delle pinze Racing realizzate con questo procedimento è costituita da due famiglie; la prima (GP 4-RX) è destinata a lavorare con i dischi di serie e con i Brembo Supersport e T-Drive, aventi una fascia frenante di altezza standard (34 mm), e l’altra con i dischi Brembo Superbike (fascia frenante alta 30 mm e spessa 6 mm). Le pinze di questa seconda famiglia, denominata GP 4-RR, sono monoblocco, ricavate dal pieno, e assicurano prestazioni elevatissime e una grande modulabilità anche in condizioni molto impegnative; sono dotate di pistoni in titanio a diametro differenziato (32 e 36 mm).
4 – Gli elementi mobili delle pinze sono i pistoni. A spingerli contro il disco provvede la pressione del liquido, ma come tornano nella posizione di riposo?
Sulle pinze destinate alle moto di serie si impiegano pistoni in lega di alluminio che, dopo le lavorazioni, vengono anodizzati in modo da portare la durezza della superficie di lavoro a oltre 400 punti Vickers. Sulle pinze Racing la Brembo adotta pistoni in lega di titanio, materiale che ha una densità superiore rispetto all’alluminio, ma che presenta caratteristiche meccaniche migliori e che ha una conduttività termica di gran lunga inferiore. Grazie a quest’ultima proprietà, il passaggio di calore dalla pastiglia al liquido dei freni risulta notevolmente ridotto, e ciò ha una notevole importanza nel caso di impiego al limite. In questi pistoni viene praticata una serie di fori radiali, che migliorano lo scambio termico con l’aria, ovvero il raffreddamento. Sulla superficie esterna viene applicato mediante procedimento PVD un riporto avente una durezza di circa 2000 punti Vickers.
Gli elementi di tenuta anulari, alloggiati in apposite cave ricavate nel corpo della pompa, hanno due funzioni. Oltre ad evitare la fuoriuscita di liquido dei freni e al tempo stesso l’ingresso di aria e di acqua, provvedono infatti a richiamare i pistoni, portandoli nella posizione di riposo dopo che è cessata l’azione frenante. Questa azione di richiamo, determinata dalla elasticità del materiale degli anelli di tenuta, viene detta roll-back ed è dell’ordine di tre decimi di millimetro o poco meno.
5 – Che caratteristiche hanno le pompe radiali, che oggi dominano la scena, sui modelli di alte prestazioni?
Nate per essere impiegate sulle moto da competizione, le pompe radiali, nelle quali la mano del pilota e il pistoncino si muovono nello stesso verso, hanno come punti di forza una elevata efficienza, una grande compattezza e una eccellente modulabilità. Il favorevole rapporto di leva consente di adottare un pistoncino di diametro elevato, e quindi di ridurre il suo movimento, a parità di volume di liquido spostato.
6 – Quali vantaggi presentano le pompe Brembo della serie RCS?
Per mezzo di un apposito registro queste pompe consentono di variare il rapporto di leva. Permettono al pilota, infatti, di scegliere tra due diverse distanze (18 o 20 mm) tra il fulcro e il punto di applicazione della forza che viene trasmessa al pistoncino. In questo modo, per una data corsa della leva, si può variare il volume di liquido spostato.
Il movimento dei pistoni della pinza, dalla posizione di riposo a quella in corrispondenza della quale le pastiglie premono contro il disco, è fisso, in quanto determinato dal “roll back”. Di conseguenza, è fisso anche il movimento del pistoncino della pompa. Allontanando dal fulcro della leva il punto di applicazione della forza al pistoncino, per ottenere lo spesso spostamento di quest’ultimo occorre una minore rotazione della leva stessa. E viceversa, come ovvio. Scegliendo una distanza di 18 mm si ottiene una frenata più modulabile (per avere la stessa pressione nel circuito la leva deve compiere un arco di rotazione maggiore), mentre adottando una distanza di 20 mm si dispone di una frenata più pronta e “reattiva”.
Le pompe RCS sono disponibili in due versioni, con pistoncino rispettivamente da 19 e da 15 mm di diametro. La prima è destinata agli impianti bidisco con pinze fisse, mentre la seconda va montata negli impianti monodisco con pinza a quattro pistoni o in quelli bidisco con pinze flottanti.
7 – Che avanzamenti tecnici ci sono stati a livello di materiali d’attrito?
In questo caso la suddivisione è tra due grandi famiglie: i materiali organici e quelli sinterizzati. Nei primi rientrano anche quelli noti come semimetallici, le mescole “in carbonio”, quelle al Kevlar, e via dicendo. Si tratta di materiali costituiti da una miscela di polimeri, ossia di resine (che fungono da leganti), con fibre, metalli, fillers (cioè “cariche”), abrasivi e lubrificanti. I materiali sinterizzati sono formati da polveri metalliche più piccole quantità di lubrificanti e di abrasivi, e non contengono fibre organiche o resine. Vengono ottenuti facendo ricorso ad elevate temperature e pressioni. Le polveri metalliche sono fondamentali nel determinare il coefficiente di attrito, mentre i lubrificanti hanno principalmente la funzione di stabilizzare l’attrito stesso, assicurando una frenata costante. Gli abrasivi provvedono anche a mantenere pulito il disco.
Molte mescole organiche hanno ottime caratteristiche e si prestano più che bene anche ad impieghi impegnativi. Per diverse moto sono disponibili pastiglie con mescole dell’uno o dell’altro tipo.
La caratteristica più importante di una mescola è il suo coefficiente d’attrito, che deve essere elevato, dato che ad esso è legata la decelerazione che il freno può fornire. Il valore di questo coefficiente varia con la temperatura, con modalità che dipendono dal tipo di mescola.
8 – Dunque, quali sono le indicazioni di massima per quanto riguarda la scelta delle pastiglie?
Una pastiglia in grado di soddisfare appieno ogni esigenza non esiste. Quelle di serie forniscono eccellenti prestazioni nell’ambito dei diversi campi di utilizzazione, corrispondenti alle differenti tipologie di moto. Quando però si vuole il massimo e/o si entra nello specialistico, per ottenere i migliori risultati è importante saper scegliere le pastiglie con le caratteristiche più adatte ai singoli casi, ovvero alle diverse modalità di impiego. Le mescole racing sono studiate e sviluppate per poter offrire le prestazioni migliori in condizioni di impiego particolarmente gravose, con staccate al limite, spesso da velocità molto elevate, e con frenate che si susseguono con notevole frequenza. Sono dunque ottimizzate per le alte temperature; il coefficiente di attrito più elevato lo forniscono infatti al di sopra di 350 °C. Non sono però in grado di fornire risultati brillanti in termini di durata e nel funzionamento alle basse temperature (in corrispondenza delle quali la frenata risulta “lunga”). Insomma, sono proprio da corsa.
Ben diversa è la situazione per quanto riguarda le mescole stradali, destinate a moto nelle quali non si raggiungono temperature così alte, ma che devono poter frenare bene (in termini di potenza, prontezza e modulabilità) anche a freddo e che devono avere una durata considerevole. Le pastiglie in questo caso non sono destinate ad intenso uso in pista e al di sopra di 350 °C possono accusare fenomeni di fading, ovvero perdere efficienza. Molto interessanti, per un impiego estremamente sportivo, si rivelano le mescole “intermedie”. Ad ogni modo, le pastiglie più adatte per le singole esigenze esistono; basta saperle scegliere, caso per caso!
9 – Passando ai dischi, quali sono stati gli sviluppi?
Questi componenti, se destinati a moto di prestazioni elevate, sono di norma costituiti da una fascia frenante in acciaio che viene vincolata a una campana di fissaggio al mozzo. Il collegamento tra le due parti è tradizionalmente ottenuto con un sistema che prevede l’impiego di bussole (ovvero nottolini di trascinamento) quali elementi di unione e viene realizzato in modo da consentire alla fascia frenante una leggera “flottanza”, ossia una certa libertà di movimento, tanto in senso assiale quanto in senso radiale. In questo modo la fascia stessa risulta libera nelle sue dilatazioni, cosa che riduce il rischio di distorsioni, e può “autoallinearsi” all’interno della pinza.
Una interessante innovazione è stata proposta dalla Brembo con i suoi dischi della serie T-drive, nei quali la fascia frenante è dotata di otto appendici di trascinamento interne, che vanno ad impegnarsi in appositi vani ricavati nella campana. Pure in questo caso il vincolo è realizzato in modo da consentire una adeguata flottanza.
La soluzione usuale prevede una fascia frenante con una altezza radiale di 34 mm e uno spessore normalmente compreso tra 4,5 e 5,5 mm; di recente la Brembo ha proposto, per impiego racing, dischi con fasce frenanti dotate di altezza minore (30 mm), il che fa aumentare il diametro “efficace”, a parità di diametro esterno. Per mantenere una adeguata capacità termica, ed evitare quindi che si possano raggiungere temperature troppo elevate, queste fasce frenanti hanno uno spessore maggiore (6 mm).
10 – E per quanto riguarda le tubazioni flessibili?
In molte moto si impiegano tubazioni flessibili in “gomma”, costituite da una parte interna in elastomero sintetico, una guaina resistente in materiale tessile (spesso si tratta di Rayon) e una parte esterna essa pure in elastomero. Per quanto riguarda quest’ultimo, si impiegava largamente la gomma cloroprenica, ma di recente si sono diffusi i polimeri misti di etilene, propilene e diene (EPDM). Queste tubazioni sono OK in quanto a resistenza e a durata, ma nell’impiego molto gravoso accusano un assorbimento volumetrico tutt’altro che trascurabile, dovuto al cedimento elastico delle pareti sotto l’azione della pressione del liquido. Si verifica cioè un “effetto polmone” che può risultare ben avvertibile e che, oltre ad influire negativamente sul feeling, porta a “sprecare” parte della corsa della leva. La situazione tende a peggiorare a caldo.
Per ovviare a questo limite, nelle moto di prestazioni più elevate vengono in genere impiegate delle tubazioni flessibili di tipo aeronautico, con guaina resistente in treccia metallica o, talvolta, di fibre aramidiche. Non tutte sono eguali, però… La MotorQuality commercializza degli interessanti kit di tubazioni flessibili, prodotte dalla ditta Allegri, dalle caratteristiche eccellenti. Sono costituite da una parte interna in PTFE, da una guaina in treccia di acciaio inox e da un rivestimento esterno in Rilsan, una plastica poliammidica. Il PTFE, che in pratica è noto universalmente come Teflon (nome depositato dalla DuPont), abbina una straordinaria stabilità chimica a una eccellente resistenza al calore e in questo caso costituisce anche una eccezionale barriera nei confronti della umidità atmosferica (grande nemica dei liquidi per freni). L’acciaio impiegato contiene il 18,5 % di cromo e il 9,5 % di nichel; assicura la massima resistenza e contiene in valori minimi l’assorbimento volumetrico. Il Rilsan assicura protezione, funge da ulteriore barriera nei confronti dell’umidità e svolge anche una funzione estetica. Queste tubazioni sono omologate DOT e vengono tutte collaudate sotto una pressione (200 bar!) di gran lunga più elevata di quella massima che possono incontrare in servizio.
Si ringrazia per il supporto tecnico MotorQuality.