Massimo Clarke: Le moto fuori dagli schemi

Massimo Clarke: Le moto fuori dagli schemi
Oggi le principali soluzioni costruttive sono largamente standardizzate, ma in passato la situazione era ben diversa e nella storia della moto le realizzazioni inconsuete non sono certo mancate | M. Clarke
14 novembre 2013

 L’evoluzione della tecnica ha portato inevitabilmente a una selezione, dalla quale sono emerse le soluzioni più vantaggiose ai fini delle prestazioni, della razionalità costruttiva e/o del contenimento dei costi di fabbricazione. Lo spazio per la creatività, specialmente in campo motoristico, negli ultimi anni si è pressoché annullato. Al massimo infatti le diversità che si possono riscontrare rispetto agli schemi ormai consolidati e di impiego universale si hanno a livello di dettaglio, o sono costituite da “variazioni sul tema”, comunque di modesta entità. In passato però c’è stato chi ha sondato strade realmente alternative e ci sono state non poche moto davvero diverse, frutto di un estro straordinario. E non si tratta solo di prototipi o di esemplari unici; alcune sono state prodotte in serie per diversi anni.

Motori in tutte le salse


Prima di passare a qualche esempio particolarmente significativo, apparso negli anni Venti del secolo scorso o poco dopo, è opportuno un breve accenno ad alcune realizzazioni dell’epoca eroica, ovvero del periodo antecedente al 1914. In Francia era attivo il vulcanico italiano Alessandro Anzani, che ha per diverso tempo prodotto ottimi motori con i cilindri a ventaglio. Nati per impiego aeronautico, alcuni di questi tricilindrici sono stati montati anche su moto da competizione. E non è mancato neanche chi ha realizzato dei pezzi unici impiegando motori a cinque cilindri, sempre con architettura a ventaglio, e perfino un quadricilindrico a X!

L’inglese Wilkinson del 1909 con motore a quattro cilindri spiccava per essere dotata di un volante al posto del consueto manubrio (alcuni altri tecnici hanno fatto una scelta analoga, come l’inglese Lawson per la sua moto del 1948 con carrozzeria di tipo automobilistico).
Con la colossale moto a quattro posti realizzata nel 1914 dal russo Schilovski, presidente della società giroscopica di Pietrogrado, siamo addirittura ai confini del visionario. Pare che potesse rimanere in posizione verticale anche da ferma, purché il motore a quattro cilindri fosse in funzione, grazie alla azione di un grosso giroscopio. E naturalmente effettuava le curve sterzando la ruota anteriore e senza inclinarsi

La Megola della prima metà anni Venti aveva un motore stellare rotativo a cinque cilindri nella ruota anteriore 
La Megola della prima metà anni Venti aveva un motore stellare rotativo a cinque cilindri nella ruota anteriore 
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Nel 1921 in Germania è entrata in produzione la Megola, con motore stellare a cinque cilindri installato nella ruota anteriore. Non c’erano né frizione né cambio e il motore girava, anche se con velocità differente rispetto alla ruota, quando la moto avanzava. Alle estremità inferiori della forcella erano piazzati da un lato il carburatore e dall’altro il magnete di accensione. Dopo avere realizzato alcuni prototipi con motori stellari rotativi, tanto a tre e quanto a cinque cilindri, nel 1919 e nel 1920, il progettista Fritz Cockerell ha iniziato la fabbricazione in serie della moto a Monaco, costruendo un totale di circa 2.000 esemplari, gli ultimi dei quali nel 1925. Il motore di 640 cm3, chiaramente ispirato ai rotativi stellari d’aviazione largamente impiegati nella prima guerra mondiale, aveva la distribuzione a valvole laterali ed erogava 14 cavalli. Il telaio dalla caratteristica struttura era in acciaio stampato. Posteriormente veniva adottata, in molte delle moto prodotte, una sospensione con una balestra per ogni lato.
Della Megola è stata realizzata anche una versione da competizione.

Rivoluzione americana


Sempre nel 1921 l’americano Carl A. Neracher ha realizzato una moto rivoluzionaria non solo a livello di ciclistica, ma anche per quanto riguarda la trasmissione. Chiamata Ner-a-Car, denominazione intermedia tra il cognome del progettista e “near a car” (cioè “quasi un’automobile”), la moto è stata prodotta tanto in Inghilterra quanto negli USA. Inizialmente il motore monocilindrico era a due tempi, di 211 cm3 (successivamente portati a 285 cm3 nella versione inglese) e la trasmissione era a variatore.
La Ner-a-Car aveva un avantreno con sospensione a doppio braccio oscillante; la ruota veniva sterzata con una tiranteria di tipo automobilistico
La Ner-a-Car aveva un avantreno con sospensione a doppio braccio oscillante; la ruota veniva sterzata con una tiranteria di tipo automobilistico

Quest’ultimo era costituito da due ruote di frizione disposte a 90° una rispetto all’altra, che trasmettevano la coppia grazie all’attrito. La variazione del rapporto si otteneva spostando la ruota condotta (dotata di una banda periferica in materiale d’attrito, che poteva essere sostituita quando era troppo usurata) lungo il suo albero, in modo da avvicinarla o da allontanarla dal centro dell’altra. Di straordinario interesse era la parte ciclistica, che prevedeva un telaio in lamiera stampata costituito da due elementi longitudinali collegati da traverse e un avantreno davvero innovativo, del tipo con mozzo sterzante, collegato al manubrio da una semplice tiranteria collocata sul lato destro. Questa moto veniva particolarmente apprezzata per la grande stabilità della quale faceva sfoggio in qualunque condizione di marcia. Nel 1925 e 1926 le Ner-a-Car costruite in Inghilterra sono state dotate di un motore a quattro tempi a valvole laterali di 348 cm3, prodotto dalla Blackburne, e di un cambio a tre marce fabbricato dalla Sturmey-Archer.

La risposta europea


Nel 1925 a Berlino è stata fondata a Windhoff, che due anni dopo ha realizzato la sua ammiraglia di 750 cm3 con motore a quattro cilindri in linea longitudinale raffreddato a olio e con distribuzione monoalbero. A rendere straordinaria questa moto era il fatto che era priva di telaio (soluzione poi ripresa da alcuni altri costruttori). Il triangolo in lamiera nel quale era ricavato il cannotto di sterzo veniva infatti fissato direttamente al motore, al quale erano vincolati anche i tubi di collegamento al perno della ruota posteriore. Questa moto, che disponeva di 22 cv a 4.000 giri/min, aveva il cambio (a tre marce) in blocco. La Windhoff 750 è stata prodotta dal 1927 al 1929. Oggi pare che ne esistano due soli esemplari.
 
La Bohmerland è stata costruita dal 1925 al 1939 in versioni a due e a tre posti, con una lunghezza record
La Bohmerland è stata costruita dal 1925 al 1939 in versioni a due e a tre posti, con una lunghezza record

Una moto inconsueta che è rimasta in produzione per ben 15 anni (dal 1925 al 1939) è stata la Bohmerland, progettata da Albin Liebisch e costruita in quella che oggi è la repubblica ceca. Era azionata da un motore monocilindrico con distribuzione ad aste e bilancieri di 598 cm3, con una corsa di ben 120 mm (l’alesaggio era di 79,8 mm), che nelle ultime versioni erogava circa 25 cavalli. A renderla straordinaria era la parte ciclistica; accanto a una versione “corta”, destinata al pilota più un passeggero, veniva infatti prodotta quella a tre posti, rimasta famosa. Spiccavano inoltre le ruote a razze in lega di alluminio, largamente in anticipo rispetto ai tempi, e i due serbatoi di carburante, collocati ai lati della ruota posteriore.

Di recente abbiamo parlato della Nembo, una incredibile moto a tre cilindri, di recente realizzazione, caratterizzata dal fatto di avere il gruppo testa-cilindri rivolto in basso. Sul finire degli anni Trenta in Francia Marcel Guiget aveva adottato questa architettura per la sua MGC 500 (la cilindrata è stata poi portata a 600) a quattro cilindri in linea longitudinale, nella quale il serbatoio del carburante, in lega di alluminio, era conformato e dimensionato in modo da fungere anche da elemento superiore del telaio. E negli anni Cinquanta un tecnico ungherese aveva ottenuto un brevetto, che qui mostriamo, relativo a una moto con cilindro rivolto verso il basso…

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