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Quante volte parlando con gli amici il discorso cade sulle moto del passato? Su quei modelli che popolano i sogni adolescenziali ma che non si potevano ancora guidare o non si aveva la disponibilità economica. O magari quelle moto che “Ma chi me l’ha fatto fare di venderla…” Buone notizie. Sul mercato dell’usato ora tante, tantissimi modelli che hanno fatto la storia, che all’epoca della loro presentazione erano letteralmente oggetti del desiderio, per cifre davvero contenute.
Abbiamo pensato di prendere i modelli più significativi di ciascuna casa e vedere quali si trovassero, senza andare ovviamente troppo indietro nel tempo, con la cifra che ci eravamo preposti. La scelta di ogni modello non troverà d’accordo tutti – non siamo riusciti a metterci del tutto d’accordo nemmeno noi in redazione – perché ogni modello ha i suoi tifosi, e sappiamo anche noi che al posto di quel modello della gamma potevamo scegliere quell’altro e via discorrendo; il fatto è che, comunque, ne abbiamo scelto uno per Casa e di questo modello abbiamo pensato di parlarvi della versione più recente che la nostra cifra ci permetteva di portare a casa. Il che significa, per chi ritiene che “quella vera” fosse una moto di una serie precedente, che il budget può calare ulteriormente.
Non abbiamo volutamente imposto vincoli di settore: troverete maxienduro a fianco di supersportive e sport-touring. L’unico filo conduttore è quello naturalmente di mezzi che hanno fatto, in una maniera o nell’altra, la storia (recente) del motociclismo o risultano di particolare significato per il marchio che li ha prodotti.
Nessuna di queste moto è particolarmente adatta ai neofiti – stiamo parlando dopotutto delle leggende del motociclismo – anche se allo stesso tempo, stando lontani dalle supersportive, se si è dotati della giusta maturità non vediamo motivi per sconsigliarle tout court.
Vi presentiamo la nostra selezione nel consueto ordine alfabetico, con un solo modello per casa limitandoci a quelli presenti in quantità rilevanti nel nostro mercato dell’usato all’interno del nostro budget stabilito. Come di consueto, ogni modello è cliccabile per accedere alla scheda tecnica, al listino dell’epoca e all’offerta di moto usate.
E’ difficile far capire oggi a chi non era appassionato di moto a fine anni 90 il significato che ebbe l’Aprilia RSV Mille. Prima di lei a Noale non avevano mai sfornato una maximoto, men che meno supersportiva; da un giorno all’altro Aprilia diventò invece una protagonista dell’importantissimo segmento delle sportive. E con quel motore creò tutta una gamma di moto che, al di là delle fortune commerciali, la consacrarono nell’olimpo dei costruttori mondiali.
Con il nostro budget se ne riesce a portare a casa una della seconda serie - in cui il "Mille" in lettere venne sostituito dalla cilindrata in cifre - o addirittura della terza, introdotta nel 2006 con qualche piccola revisione di dettaglio; con un po’ di fortuna si trovano anche le versioni Factory, dotate del pregiatissimo kit sospensioni Ohlins. Si tratta di una moto capace di dire ancora la sua nell’uso in pista e di regalare tantissimo gusto alla guida grazie soprattutto ad una ciclistica che rasenta la perfezione, ma per la sua stessa natura di sportiva specializzata la sconsigliamo ai neofiti – potete leggere qui la nostra prova per farvi un’idea di che razza di belva stiamo parlando.
Visto il tipo di clientela che attirava vale la pena di assicurarsi che sia stata trattata con la giusta cura: la RSV è sempre risultata una moto affidabile e senza problemi degni di nota, ma l’impiego sportivo – e quello pistaiolo nello specifico – comporta usure più sensibili di diverse componenti e consumabili, la cui sostituzione può andare a pesare non poco sul prezzo finale.
E’ la moto che non ha bisogno di presentazioni. Regina del mercato degli ultimi anni (ai tempi di questa 1150 la situazione era molto diversa…) è da sempre la maxienduro per eccellenza, la moto con cui macinare chilometri e farsi le vacanze in Africa, magari carichi come muli ma sempre sicuri di arrivare a destinazione. Insomma, una leggenda senza tempo dalla prima, ormai introvabile R80 G/S (ironia della sorte, nata praticamente per caso come riempitivo…) fino all’attuale 1200.
4.500 euro vi permettono di portarvi a casa la versione 1150, rimasta in produzione dal 1999 al 2003 prima di cedere il passo al modello che ha visto la nascita del nuovo boxer. Si tratta di una delle versioni più apprezzate dai tradizionalisti, che ne amano la solidità sia sostanziale che percepita (di plastica in giro ce n’è davvero pochissima), la poca elettronica e soprattutto un’affidabilità a prova di bomba unita alla facile riparabilità - l'unico richiamo subito è stato relativo ai cablaggi nella versione a doppia accensione. Insomma, non ci resterete mai a piedi, ma se anche dovesse succedere nel bel mezzo dell’Africa non faticherete a trovare qualcuno capace di metterci le mani e farvi ripartire. La sesta marcia (overdrive) la rende ancora più infaticabile nell’uso turistico, pur avendo causato qualche problemino sui primissimi esemplari prodotti, risolti con la sostituzione in garanzia dei cuscinetti.
Dato il genere di moto è naturale che molti esemplari presentino chilometraggi rilevanti. Non fatevi impressionare: il boxer BMW è un propulsore sicuramente molto più longevo della media e, come dicevamo, facilmente riparabile ma la cosa non significa che non dobbiate prestare attenzione alle condizioni del mezzo. Una storia della manutenzione documentata (e svolta da chi ci sa mettere le mani) aiuta moltissimo a concludere affari con maggior serenità.
Le Buell sono arrivate in Europa relativamente tardi, sulla scorta del successo delle Harley-Davidson, ma si sono create in brevissimo tempo lo stato di culto. Strane, estreme nella loro inconfondibile impostazione estetica, idiosincratiche per tanti versi, hanno però fatto innamorare tanti motociclisti. La stessa chiusura della Casa madre è stata la consacrazione definitiva per i modelli storici tanto che per una delle prime S2 (Thunderbolt) o X1 (Lightning) girano quotazioni troppo impegnative. Ma restando fedeli ai concetti originari è possibile mettere le mani su una delle XB con telaio in alluminio (prodotta negli anni fra 2003 e 2004) gustandosi le stesse emozioni alla guida.
Lightning come fulmine: una definizione che alla Buell si addice perfettamente. Non per il propulsore, ma per l’agilità della ciclistica; corta fino all’incredibile, la naked americana è rapidissima nell’ingresso in curva ma anche nervosa se si pretende di guidare davvero sportivi nonostante la potenza non faccia gridare al miracolo. Particolarissima nella sostanza – il forcellone fa da serbatoio olio, e lo scarico sottopancia tanto di moda è un’invenzione di Erik Buell – richiede un po’ di malizia se si vuole fare qualcosa più che andarci a spasso - trovate qui la prova della versione XB12 per capire meglio di cosa stiamo parlando. La frenata, affidata a quel disco perimetrale divenuto un marchio di fabbrica della Casa statunitense, non è potentissima. D’altra parte la XB9 la si gode al meglio sul misto stretto, e in quel frangente le prestazioni frenanti sono più che sufficienti.
Anche se Buell non esiste più il propulsore è di fatto un Harley-Davidson dunque non sussistono soverchi problemi di ricambistica ed assistenza. Nonostante la potenza non certo spaventevole non la consiglieremmo ai neofiti per la facilità con cui è possibile… mettersi nei guai per le già citate caratteristiche di (estrema) agilità. Assicuratevi, naturalmente, che l’esemplare che "puntate" sia stato tenuto con l’amore che meritava.
Non ci sono molti modelli più significativi del Monster nella storia di Ducati. Nel 1992, quando è nata, ha sdoganato la Casa di Borgo Panigale dall’immagine di marchio per soli smanettoni, ed è successivamente diventata un’icona di stile, oggetto di moda nonché protagonista di più cult cinematografici e televisivi di quanti ne possiamo ricordare. Cosa non trascurabile, “il mostro” ha sempre tirato la carretta anche quando altri modelli non incontravano grande successo di pubblico.
La Monster è e resta una naked cattiva capace di tenere il passo di sportive ben più quotate sul misto, ma tutto sommato accessibile anche a chi non ha grande esperienza di guida purché non si tratti di un debuttante assoluto. La potenza in gioco è rispettabile ma non spaventosa e il grande equilibrio generale, unito alla dolcezza dell’erogazione fa sì che la si possa consigliare anche a chi non è un manico diplomato.
La versione 1000S (qui la nostra prova) è la massima evoluzione del Mostro originario, quello della prima serie e rigorosamente a due valvole; a fronte di qualche piccolo sacrificio in termini di fedeltà ai concetti iniziali – a parte l’archetto della sospensione posteriore e la strumentazione più ricca si può dire che sia tale e quale nell’aspetto al primo modello – ci si porta a casa una Monster anni luce più prestante, affidabile e gestibile. Anche in questo caso però la disponibilità di tutta la documentazione relativa alla storia dei tagliandi è da considerarsi il minimo sindacale per consigliare l’acquisto.
Nel 1986 la VFR750F è stata una moto importante come poche nella storia Honda. Reduce dal disastro dei primi V4, la Casa di Tokyo ha scommesso quel che restava della propria reputazione su un modello che, negli anni successivi, avrebbe ridefinito completamente una categoria. La VFR è stata per oltre dieci anni la quintessenza dello sport-touring, conquistando milioni di clienti in tutto il mondo e difendendo le sue credenziali dinamiche sui circuiti di tutto il mondo. Con lei vinsero nell’AMA Wayne Rainey e Fred Merkel, che poi venne in Europa a conquistare i primi due titoli mondiali SBK in sella alla versione più corsaiola, quella RC30 che – molti dimenticano – si chiamava dopotutto VFR750R.
Dopo oltre dieci anni, abbandonate le velleità sportive di alto livello, Honda ha scelto il modo più semplice per rendere la VFR più versatile ed accessibile: aumentarne un po’ la cilindrata. Successivamente ha abbandonato la soluzione della distribuzione ad ingranaggi dotando però la VFR di distribuzione variabile. L’ultimo modello di VFR800 prima della reintroduzione dello scorso EICMA è una moto equilibrata, facile da sfruttare e capace di prestarsi a qualsiasi impiego - trovate qui la nostra prova. E’ vero, ha perso un po’ di fascino rispetto al modello iniziale, e non ha più quella distribuzione ad ingranaggi che con il suo sibilo faceva sentire il Vuefferristi un po’ speciali, ma resta una delle moto più versatili, accessibili ed affidabili della storia.
Con i nostri 4.500 euro si riesce ad arrivare ai primi esemplari della seconda serie VTEC, da preferirsi alla prima per il sensibile miglioramento del sistema di distribuzione a fasatura variabile. Le Honda in generale, e la VFR in particolare, sono famose per la loro affidabilità a prova di bomba quindi potete valutare le condizioni della moto anche solo basandovi sullo stato delle finiture. Qualche noia potrebbe arrivare dal regolatore di tensione che tendeva a surriscaldarsi e quindi a rompersi; se è già stato sostituito valutate la cosa con favore.
Quando la Z1000 nell’ormai lontano 2003 ha recuperato il nome della gloriosa maxi Kawasaki abbiamo capito che il periodo di torpore era finito. I ragazzi di Akashi ci stupirono con una naked come nessuno aveva mai fatto. Fin dalla sua prima apparizione la Z1000 fece sensazione con una linea che ha fatto da filo conduttore fino ad oggi, evolvendo nel frattempo una sostanza che, fin dalla prima versione, era quella di una grande sportiva stradale. Che molti avrebbero ricordato per aver fatto rinascere il marchio Kawasaki da uno dei periodi più incolori della sua storia.
Prestante e muscolosa, la Z1000 (trovate qui la nostra prova) non è una moto da debuttanti anche se si rivela più accessibile di quanto il suo look non voglia lasciare intendere. La Zeta era infatti morbida di assetto e dolce nell’erogazione; ben meno cattiva delle versioni che l’hanno seguita, la naked Kawasaki sapeva andare a spasso (con gli unici limiti della protezione aerodinamica ovviamente azzerata e di una sella davvero poco comoda sia per il pilota che per il passeggero) così come farsi valere sul misto, soprattutto se si cercava nei cataloghi aftermarket una soluzione alle pedane un po’ troppo basse.
Le Kawasaki Z1000 (a cui abbiamo dedicato di recente una guida specifica) si sono rivelate molto affidabili e non ci sono particolari attenzioni da prestare nella valutazione dell’acquisto. La clientela media della Z1000 amava però personalizzarla; se dovesse essere il caso dell’esemplare in esame assicuratevi che il proprietario disponga anche di tutti i pezzi originali e che il processo di “specializzazione” non sia stato necessario a mettere una pezza a qualche incidente di percorso.
Il bicilindrico di cilindrata (quasi) piena LC8 è stato quello che ha segnato il debutto di KTM fra le “grandi” anche su strada, e ci sono ben poche moto su cui ha espresso il suo potenziale che non sulla Supermoto 950, forse la prima vera motardona bicilindrica della storia. Spettacolare nella dotazione, ha saputo per prima mettere d’accordo tutti sintetizzando i pregi delle motard, delle grosse trailie condendoli con una punta di sportività stradale e vestendo il tutto nelle taglientissime linee tipiche dello studio Kiska. Se è vero che l’estetica delle KTM o la si ama o la si odia, dal punto di vista dinamico il dilemma non si pone, perché se dopo averla guidata non ve ne innamorate istantaneamente vi consigliamo di verificare se avete pulsazioni sul polso…
Violenta, estrema ma goduriosissima come tutte le KTM, la Supermoto (qui la nostra prova) è forse uno dei mezzi più efficaci mai visti su strada; paga qualcosina invece nell’uso in pista se pretendete di tenere il passo delle monocilindriche sui kartodromi dove normalmente corrono le motard. Entrate in un circuito “vero” e vi troverete per le mani un mezzo capace di far venire il mal di testa a più di una sportiva. Ovviamente del tutto sconsigliata ai neofiti: la Supermoto è capace di farvi stracciare la patente o finire all’ospedale – a seconda di quanto siete fortunati – nel giro di pochissimo tempo già se siete esperti, figuriamoci se siete alle prime armi.
Il motore 950 non è mai stato un mostro di affidabilità, problema aggravato dal fatto che la maggior parte dei suoi acquirenti non compravano certo la Supermoto per andarci a fare la spesa. E’ quindi fondamentale assicurarsi che la moto che state trattando abbia ricevuto tutte le cure che si merita.
Fra le moto che hanno fatto la storia non poteva mancare una Moto Guzzi. Nella nostra rassegna abbiamo scelto la V11, in parte per ovvie questioni di compatibilità con la cifra che ci siamo posti come limite di spesa, in parte perché la riteniamo, per molti versi, la vera erede della V7 del passato. Dove l’attuale V7 è infatti classicheggiante e bella esteticamente ma dinamicamente non all’altezza del suo stesso blasone, la V11 riveste con una certa fedeltà i panni della sportiva classica all’italiana.
Facile nella guida e relativamente accessibile, una volta prese le misure a ciclistica (il cannotto è bello aperto) e posizione di guida (distesa, con il busto tutto avanti) non proprio modernissime nell’impostazione, la V11 sa offrire tanto gusto a chi ama la bella guida. Giunonica nelle forme, non va d’accordo con la guida sincopata o i ritmi da supersportiva ma ripaga con grandi soddisfazioni chi pennella le curve, accarezza l’acceleratore e guida bello rotondo. A parte la massa, è una moto che possiamo serenamente consigliare anche a chi non ha grande familiarità con le grosse cilindrate, a patto che abbiano almeno un minimo di prestanza fisica per gestirne la mole nelle manovre a bassa velocità. Potete chiarirvi meglio le idee con la nostra prova, in cui abbiamo messo a confronto la versione Café Sport con la Monster 1000 dell’epoca.
La V11 è una moto relativamente semplice da un punto di vista tecnico, e dunque intrinsecamente affidabile al netto di qualche possibile piccola disavventura. Chilometraggi anche elevati non dovrebbero spaventare l’acquirente, anche se il livello delle finiture non era esattamente impeccabile, ed è meglio prestare attenzione ai dettagli soprattutto su mezzi “vissuti”.
E’ stata la prima naked estrema della storia moderna: prima di lei era impensabile che una moto senza carenatura potesse essere tanto efficace nella guida sportiva ma soprattutto in pista. Era anche difficile trovare qualcosa di paragonabile esteticamente, perché la seconda MV disegnata dall’inimitabile Massimo Tamburini è rapidamente entrata nella storia ridefinendo con decisione buona parte dei canoni della categoria. E finendo imitata da tantissime rivali.
La prima 750 (potete leggerne la nostra prova qui) forse non brillava per la potenza del motore, anche se i suoi 108 cavalli non erano certo disprezzabili; il problema al massimo poteva essere una certa mancanza di spinta ai bassi e medi regimi, peccato difficile da perdonare ad una naked. Brutale però si faceva ampiamente perdonare – usando un eufemismo – grazie ad una ciclistica sportiva ed affilata come nessun’altra: per fare qualcosa più che andarci a spasso servivano mestiere e polso fermo, ma chi aveva “i numeri giusti” poteva farci cose fino ad allora proibite a qualunque naked.
Ad inizio carriera la Brutale fece registrare qualche problema di affidabilità, ma va detto come soprattutto nel caso dei primi esemplari era davvero raro che queste MV finissero in mano ad una clientela men che amorevole nel curarle. Una manutenzione puntuale e documentata è comunque anche in questo caso condizione imprescindibile per portare avanti una trattativa con serenità. Vi rimandiamo anche alla nostra guida all'usato, per conoscere le altre versioni, qui.
La GSX 1300R, o più semplicemente Hayabusa, è arrivata nel 1999 in risposta alla Honda CBR1100XX quando sembrava esserci tanto spazio anche per moto oggi assurde – relativamente comode ed accoglienti, ma velocissime soprattutto in rettilineo. Se la Honda passava i 300 all’ora in un dico-e-non-dico molto politically correct, nel più classico stile della Casa di Tokyo, la Suzuki sembrava scoppiare in una risata malvagia quando il vostro sguardo cadeva sul fondo scala del tachimetro a 350km/h. In realtà faceva “solo” i 312 effettivi, ma la vorticosa gara ai numeri a sensazione (in cui si gettò anche Kawasaki) sfociò in un gentleman’s agreement che pose fine alle supervelocità.
Del tutto inadatta ad un principiante per le mostruose prestazioni del motore e per le masse in gioco, l’Hayabusa è in realtà una moto meno terrificante di quanto la sua personalità strafottente non lasci intendere. Diventata un vero e proprio oggetto di culto negli USA (dove viene spesso allestita in stile drag-racer, con forcelloni e pneumatici posteriori assurdi) e nel nord Europa, all’atto pratico la Suzuki era un’ottima sport-tourer capace di viaggiare a velocità curvatura in autostrada, ma anche di far divertire sul misto a patto di non pretendere ritmi incompatibili con la sua massa sullo stretto.
Del tutto affidabile da un punto di vista motoristico, a volte ha peccato un po’ sulle finiture con qualche problema di… invecchiamento precoce sotto il lato estetico. Come è facile intuire, finiva spesso in mano a motociclisti con una buona disponibilità economica (la gomma posteriore si cambiava quasi con il ritmo dei rifornimenti di benzina) ma non troppo ingessati con il polso destro – cercate di evitare esemplari troppo vissuti, che potrebbero costringervi a interventi di ripristino un po’ costosi.
Ve l’abbiamo già proposta nella nostra recente rassegna dedicate alle naked usate, e c’è un motivo se ve la riproponiamo. E’ vero, il modello che ha fatto la storia è il precedente T509 di fine anni 90, ma anche i più accaniti fan della prima “vera” versione della Speed Triple con lo sguardo allucinato (la precedente café racer era tutt’altra cosa) ammetteranno come l’equilibrio e le prestazioni offerti dalla 1050 ne abbiano decretato un successo su scala ben maggiore.
Agile e corposa nell’erogazione, la Speed 1050 (qui la nostra prova) è una moto divertente oggi come allora – la versione attualmente in commercio, del resto, non è troppo diversa – e grazie al suo blasone è una moto adatta tanto alla sparata sportiva quando alla passeggiata ad andatura da parata in centro o sul lungomare. Si adatta anche decorosamente all’uso turistico, al netto della totale assenza di protezione aerodinamica ma offre chiaramente il meglio nella guida brillante. Non la raccomanderemmo ad un principiante per le sue ottime prestazioni unite ad una grande facilità nell’andare forte, che possono infilare in situazioni difficili senza che il pilota se ne renda conto.
La Triple è una moto ben fatta, che non presenta particolari problemi di affidabilità ma che per una delle sue caratteristiche più note – la capacità di impennare fino a finire la benzina – è finita spesso in mano a motociclisti dalla guida un po’ teppistica. Controllate trafilaggi d’olio in zona paraoli forcella e le condizioni dei cuscinetti di sterzo. I primi esemplari soffrivano di un problema, più o meno sensibile a seconda della velocità e dello stile di guida del pilota, di perdita di tono alla pompa del freno anteriore. In rete si recuperano diverse soluzioni, di impegno economico e risolutività proporzionate.
Chiudiamo in bellezza con la moto che, nel 1998, ha cambiato lo scenario delle maxi sportive. Se la Fireblade nel 1992 è stata la prima a convincere il pubblico sportivo che una maxi serviva anche a guidare sul misto e non solo a godere scatenando cavalli, l’R1 ha completato l’opera unendo una maneggevolezza da riferimento ad un motore dotato di una “castagna” assurda e chiudendo il discorso grazie ad un’estetica – non a caso bella e moderna ancora oggi – che all’epoca la fece più volte definire come la sportiva più sexy mai arrivata dal paese del Sol Levante.
Stando al di sotto del nostro limite economico possiamo accaparrarci la prima vera evoluzione della supersportiva Yamaha – che aveva subito come da tradizione un aggiornamento di dettaglio per il modello 2000 ma era cambiata radicamente solo nel biennio successivo. Ad alcuni la versione che presentiamo non piacque: un po’ addolcita nella guida, anche grazie all’abbandono dei carburatori in favore di una soluzione ibrida iniezione/valvola piatta, venne accusata all’epoca ma anche in seguito di essere “la meno R1 di tutte le R1”. A noi però piacque, e tanto, perché a fronte di un sacrificio sul piano delle emozioni forti la YZF era diventata di un efficacia devastante tanto da mettere in forte difficoltà, nelle comparative dell’epoca, persino quella Suzuki GSX-R1000 che l’anno precedente aveva sbaragliato il campo.
Pur non avendo fatto registrare problemi rilevanti (a parte qualche sporadica noia al cambio ereditata dal modello precedente) è inutile dirvi come l’R1 difficilmente finisse in mano a piloti particolarmente timidi con il gas: dal momento che stiamo parlando di mezzi con oltre dieci anni di vita sulle spalle è fondamentale essere sicuri che siano stati trattati con la giusta cura, anche se affidabilità generale e livello delle finiture Yamaha sono al di sopra di qualunque sospetto.