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Bisogna essere non più giovanissimi per ricordarsi di Mike Baldwin. Ma è un peccato, perché il pilota statunitense (è nato a Pasadena, California, nel 1955) è uno di quelli che la storia del motociclismo l’ha autografata più volte. Fortunatamente è Yamaha, la Casa con cui ha ottenuto i maggiori successi nel Motomondiale, a darci la scusa per parlare un po’ di lui e della sua carriera. L’occasione è la cerimonia con cui la marca dei tre diapason lo ha inserito nel proprio Wall of Champions appena prima di Natale.
Baldwin è nato, agonisticamente parlando, sui tracciati degli USA. Velocista puro, pur avendo iniziato la sua carriera come tutti nel fuoristrada, ha cominciato a correre sull’asfalto non appena ha avuto la possibilità. In sella ad una Kawasaki H2 ha esordito a 17 anni a Bridgehampton (New York) concludendo quinto. Passò in breve alle moto da GP, acquistando una Yamaha TZ125 e una TZ250 usate con cui batte al debutto il già affermato Steve Baker.
Negli anni successivi Baldwin collezionò vittorie nei campionati AMA, stabilendo il record assoluto nella categoria Formula 1/Formula 750 con 27 vittorie. Nel 1979, forte di una vittoria alla otto ore di Suzuka (in coppia con Wes Cooley) inizia a correre in Europa, vincendo le Match Races (una serie che metteva a confronto i piloti americani e quelli britannici prima dell’inizio del Motomondiale) e facendosi notare in diverse gare iridate della 500 su una Suzuki privata. Dopo bei piazzamenti ad Hockenheim e a Imola, Baldwin si aggiudica la pole position e sale sul podio a Jarama, proponendosi agli occhi degli addetti ai lavori come il rivale più credibile di Kenny Roberts, allora nel pieno della sua carriera di “Marziano”.
Purtroppo pochi giorni dopo Baldwin resta vittima di un brutto incidente a Loudon, fratturandosi la gamba in più punti e restando lontano dalle gare per oltre un anno. Nel 1980 torna alle gare ancora lontano dalla forma ideale conquistando un paio di podi in USA, mentre l’anno successivo, in sella alla Honda, conquista la sua seconda vittoria a Suzuka.
Nel 1982, finalmente del tutto recuperato, corre nell’AMA Formula 1 ammazzando campionati a raffica in sella alle Honda quadricilindriche (prima in linea, poi V4). Nel 1984 conquista una terza vittoria a Suzuka, primo pilota a mettere insieme tre affermazioni nella classica dell’endurance giapponese, e l’anno successivo si aggiudica l’ultimo titolo AMA.
A metà stagione Baldwin torna al Mondiale, con una Honda tre cilindri ormai schiacciata dalle V4 ufficiali, chiudendo però spesso nei primi 10 e facendosi notare dall’ex rivale Kenny Roberts. Il tre volte iridato, diventato team manager dopo il ritiro, lo affianca per il 1986 a Randy Mamola nel suo team Yamaha - Lucky Strike. E’ la sua stagione migliore: sale cinque volte sul podio, inserendosi nella lotta a tre fra Lawson, Gardner e Mamola, e chiude il campionato in quarta posizione. A fine stagione torna negli Stati Uniti per conquistare la sua ultima vittoria, a Laguna Seca, in una gara di campionato nazionale.
Nel 1987 inizia il declino, a causa di un brutto incidente ad Hockenheim che gli costa una frattura al polso e il resto della stagione. L’anno successivo rientra con scarso successo, passando poi al Mondiale Superbike con Bimota (con un bilancio di un podio e un giro veloce) e terminando la carriera nelle serie minori negli USA. Rimane uno dei piloti simbolo di quell’invasione americana del Mondiale di fine anni 70, che impose un nuovo stile di guida e contribuì a cambiare faccia al Mondiale avvicinandolo a quello dell’era contemporanea. Curiosità: il suo casco Arai, nato non a caso negli anni da ufficiale Honda, era praticamente identico a quello di Freddie Spencer ma con il rosso e il blu invertiti.
Altra curiosità: nella stessa cerimonia, assieme a Cameron Beaubier, astro nascente della velocità USA e ad altri piloti di tutte le specialità, è stato inserito sul “muro” Yamaha nientemeno che Ricky Johnson, il leggendario crossista sette volte campione AMA che, pur avendo corso praticamente tutta la sua carriera con Honda, ha vinto il suo primo titolo - l’AMA National 1984 - con la Casa dei tre diapason.