Mirko Lucchi, professione meccanico SX

Mirko Lucchi, professione meccanico SX
La storia di un connazionale che ha trovato la sua strada negli USA assistendo piloti privati nel Supercross
25 febbraio 2015

Scusate se scrivo con la bocca piena ma sto ancora masticando la mia affermazione di settimana scorsa sul fatto che Reed avesse finito la benzina, cosa che l’australiano mi ha fatto immediatamente rimangiare con la vittoria di Atlanta sabato scorso.

Chad ha infilato la finale perfetta: partenza in testa, una decina di giri a fuoco, poi un inevitabile calo di ritmo che però gli ha permesso di portare a casa la vittoria. Anche lui sul podio non ci credeva fino in fondo… Dungey con un giro in più sarebbe potuto andarlo a prendere, ma ha perso un paio di lustri ad inizio gara per passare Weston Peick, in quel momento in seconda posizione. Onore dunque al vincitore e al mio boccone amaro, passiamo oltre.

Questa settimana vi racconto di una figura che in pochissimi sembrano notare nel paddock del Supercross. Siti e riviste riempiono infatti pagine intere su piloti e team ufficiali, piloti privati e talenti emergenti ma nessuno si cura di uno dei motori principali che danno trazione a tutta la baracca. Sto parlando dei meccanici dei piloti privati: spesso sono i padri, i fratelli maggiori, gli amici o anche le fidanzate di chi corre, che si sobbarcano migliaia di chilometri in giro per gli USA inseguendo un sogno che vivono di riflesso. Oppure sono dei professionisti, che per una cifra spesso modesta (o in alcuni casi solo il costo delle trasferte) aiutano un loro pilota/cliente.

Tra questi ultimi, da ormai 5 anni, c’è un italiano, Mirko Lucchi, ed è lui a raccontarci qualche “dietro le quinte” del Supercross vissuto a livello di comuni mortali. Mirko, torinese di 41 anni, ha iniziato la sua carriera a stelle e strisce quasi per caso.

«Mia moglie è americana, ed assieme abbiamo deciso di lasciare definitivamente l’Italia e di venire a stare qui nel 2010. Sono andato a vedere il Supercross a Houston e li ho incontrato un pilota che avevo conosciuto ad una gara in Italia: chiedendo a lui ho scoperto che il suo compagno di squadra stava cercando un meccanico e in un attimo ero dentro».

Ma tu avevi qualche esperienza?

«Si, io ho corso in moto fin dal 1994 e poi ho fatto il meccanico in Italia per molti anni».

Ma quindi l’idea ti è venuta in mente per caso o c’è qualcosa di più?

«Già nel 2009 avevo seguito un pilota americano, Justin Keeney, in un paio di gare AMA Supercross, e da quel momento l’idea ha iniziato a frullarmi in testa».

Vista da fuori la vita del meccanico privato è molto più dura di quella del meccanico di un team ufficiale, o sbaglio?

«Nei team ufficiali hanno un sacco di persone e tutto il supporto tecnico di cui hanno bisogno. C’è chi si cura delle gomme, chi supervisiona le sospensioni, chi l’elettronica… Se succede qualche imprevisto in un batter d’occhio ci sono cinque o sei persone che si mettono a lavorare per risolvere il problema».

C’è poi da dire che le moto vengono di fatto assemblate in settimana nel reparto corse, nelle giornate di gara i meccanici ufficiali spesso non fanno altro che cambiare le plastiche ed attaccare gli adesivi. Non lo diciamo per mancanza di rispetto ma per sottolineare come la struttura del team riduca al minimo la necessità di interventi estensivi, salvo imprevisti.

La vita del meccanico privato è invece del tutto diversa.

«Seguo il mio pilota Ozzie Barabaree da ormai qualche anno e per lui curo sia la moto da gara che quella da allenamento. La moto da gara viaggia costantemente con il Team GUS Racing, che ce la trasporta di stadio in stadio per tutto l’anno. Il pilota paga una fee di circa 2500 dollari a stagione (classe 450 - 17 gare in tutto, NdA) e ad ogni round trova la sua moto nel paddock, piazzata su un cavalletto al centro della sua postazione di lavoro dedicata. Li trovo anche la mia cassetta degli attrezzi, che viaggia con la moto, un tavolo e due sedie».

Il team GUS Racing fornisce la logistica
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Quindi la moto da gara la vedi solo nel weekend?

«Si, in settimana usiamo la moto da allenamento, che comunque è quasi identica a quella da gara. Chiaro che se in allenamento troviamo qualche regolazione nuova la devo poi trasferire sulla moto “buona” appena arrivati nel paddock al venerdì sera».

Un buon meccanico privato si occupa un po’ di tutto, giusto?

«Si, al contrario dei Team ufficiali qui si sostituisce poco e si ripara tanto, spesso con fil di ferro e nastro americano. Bisogna sapere improvvisare e rimanere nel budget, che non è mai molto alto, anzi. Il succo delle vicenda è che il pilota deve correre e tu devi trovare il modo di dargli la moto pronta».

Ozzie Barabaree impegnato in gara
Ozzie Barabaree impegnato in gara

Raccontami il tuo weekend “tipo”.

«Si arriva al venerdì, il più presto possibile. Talvolta si viaggia, talvolta si prende l’aereo, dipende dalla distanza e dal budget. Una volta arrivati si verifica che ci sia la moto e che tutto sia a posto: smonti e rimonti le parti più importanti, cambi le gomme, dai una pulita generale e poi si va in albergo. La mattina del sabato, il giorno di gara, si arriva allo stadio verso le 9. Alle 10.30 c’è il giro di ricognizione a piedi della pista poi il meeting piloti con gli ufficiali AMA e FIM. Da mezzogiorno si inizia a fare sul serio, con i turni di prova: prove libere il primo, poi due turni di cronometrate dove bisogna stare dentro ai primi 40 per qualificarsi per la serata. Alla sera dopo la cerimonia di apertura iniziano le batterie di qualificazione e nella 450 hai tre diverse opportunità di qualificarti per la finalissima: arrivi nei primi 4 della batteria, arrivi nei primi 5 della semifinale o arrivi tra i primi quattro della LCQ, la Last Chance Qualifier ovvero la batteria della disperazione dove ti giochi il tutto per tutto. Dietro al cancello in finale ci vanno in 22 (8 dalle heat, 10 dalle semifinali e 4 dal recupero, NdA)».

E in caso di imprevisti si soffre…

«Nel Supercross mi è sempre andata bene ma ricordo una gara di National a Red Bud nel 2010 quando ho dovuto cambiare un motore tra una manche e l’altra. Ce l’ho fatta in 45 minuti con 40 gradi all’ombra e un’umidità del 100%, credevo di morire».

Il Supercross è meno stressante per le moto, soprattutto per le 450.

«Ozzy corre con la 350 perché si trova bene con il rapporto peso/potenza. Abbiamo fatto qualcosina al motore per renderlo più pronto ma il grosso del lavoro è stato nelle sospensioni, che a mio parere fanno il 99% della differenza. Con una 250 sarebbe diverso e ci vorrebbero più soldi: il motore è molto a rischio perché più stressato. E se non ci metti dentro almeno 5000 dollari di preparazione “giusta” non ti giochi nemmeno un posto per entrare nel programma serale, dimentica pure la finale».

Mirko Lucchi al lavoro sulla 350 del suo pilota
Mirko Lucchi al lavoro sulla 350 del suo pilota

Consigli per chi volesse intraprendere la tua stessa carriera?

«La cosa più difficile qui è avere un permesso di lavoro. Io non ho avuto problemi perché mia moglie è americana, ma uno che si presenta alla dogana e dice che viene qui per cercare lavoro non lo lasciano nemmeno entrare. I Team ufficiali assumono meccanici in arrivo da tutto il mondo e gli fanno i documenti, ma sono casi molto rari».

E tu non hai mai avuto l’occasione di diventare meccanico ufficiale in questi anni?

«Ho lavorato con Team di alto livello come il Suzuki ARMA Energy, dove correva Malcolm Stewart, e il Team KTM MUNN Racing, ma se devo essere sincero non ho mai davvero cercato un’opportunità al top. Fare il meccanico ufficiale va bene quando sei giovane e senza legami, ma se hai famiglia è una vita durissima, sempre in viaggio e sempre lontano da casa».

Tu riesci a vivere solo di questo o fai altro?

«Segui il mio pilota ma in settimana sistemo anche le moto di altri clienti e recentemente ho iniziato a lavorare anche in una concessionaria: son tempi duri e non bisogna mai abbassare la guardia».

Sogni nel cassetto?

«Star qui mi piace, amo l’ambiente del Supercross quindi spero di continuare a fare quello che faccio. Meccanico ufficiale no, a meno di trovare un team che mi ingaggi solo per le gare, quindi lavorerei nel weekend ma in settimana sarei a casa».

Se qualcuno volesse contattarti per dei consigli o magari per venire a correre negli USA?

«Da me in Texas ho una piccola struttura che può dare supporto a chi volesse venire a provare l’avventura americana. Ho la possibilità di dare moto a noleggio e accedere a piste da allenamento anche specifiche per il Supercross. La mia email è [email protected]

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