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Nei precedenti capitoli abbiamo fatto luce su quanto sia già molto concreta la possibilità di avere moto perennemente connesse e sempre più sicure. Ora è il momento di guardare più in profondità un concetto sul quale forse c'è ancora qualche mistificazione: l'intelligenza autonoma applicata alla motocicletta.
Facciamo un piccolo passo indietro: con l'IMU e il GPS la moto è capace di capire dove si trova e che cosa sta facendo dal punto di vista dinamico. Con i sistemi ARAS collegati con Radar (e in futuro anche Lidar) può, limitatamente ad alcune situazioni particolari, avvisare il pilota dei pericoli e aiutarlo attivamente a tenere una distanza di sicurezza adeguata o agire autonomamente e secondo propri algoritmi sul bilanciamento della frenata.
Ma si può andare ancora oltre? Probabilmente sì: vi abbiamo già fatto vedere l'interessante studio Learning a Curve Guardian for Motorcycles dell'ETH di Zurigo e del KU di Lovanio sul loro road curvature warning system, un'intelligenza artificiale che guida il motociclista dentro le curve, prevedendo traiettoria e inclinazione ottimali e, chissà, magari in futuro potrà essere integrato sul veicolo per agire autonomamente ed evitare errori di traiettoria o manovre potenzialmente pericolose. Ma, ancora prima, tutti ricordiamo la stupefacente BMW R1200GS a guida totalmente autonoma, il concept Honda Riding Assist-E o il prototipo Yamaha Motobot e il concept Motoroid 03 che, pur non destinati alla produzione, hanno decisamente incendiato il dibattito sulla possibilità di dotare la moto di un'intelligenza che la renda capace di prendere autonomamente decisioni relative alla guida.
L'intelligenza artificiale è l'abilità di una macchina di apprendere e sviluppare una capacità decisionale autonoma: a questa definizione si è arrivati dopo il lavoro pionieristico di Alan Turing e sopratutto di John Mc Carty negli anni '50. Se vogliamo, l'intelligenza artificiale non è altro che l'evoluzione del processo di meccanizzazione iniziato con la rivoluzione industriale, nel senso che un “oggetto” ancora non totalmente evoluto è introdotto all'interno dei processi industriali e dei prodotti rivoluzionando i paradigmi e imponendo - nel lungo termine - un cambio di prospettiva ai produttori e agli utilizzatori.
Numerosi produttori emergenti si sono buttati a capofitto su questa frontiera, mentre molti costruttori consolidati, come abbiamo visto, stanno implementando poco per volta tutte le soluzioni che in un tempo più o meno breve porteranno le motociclette ad avere un contenuto tecnologico sempre più orientato verso la capacità del veicolo di relazionarsi autonomamente con il traffico e le infrastrutture.
Una delle proposte che possiamo definire paradigmatiche per la sua capacità di mostrare le potenzialità e anche il livello tutto sommato modesto di intelligenza artificiale disponibile per il motociclista del 2020 è quella realizzata dalla canadese Damon la cui sfida più importante è proprio quella del cambio di paradigma: “la gente crede che più vai in moto, più è probabile avere un incidente: noi vogliamo capovolgere questo assunto usando la tecnologia e l'uso dei dati. Più guidi, più dati vengono incamerati dalla motocicletta e la gestione di questi dati consente alla moto (grazie all'intelligenza artificiale ndr) di diventare più intelligente e sicura”.
Per raggiungere questi risultati Damon ha prodotto un prototipo su base Yamaha XSR 700 dotandolo di telecamere anteriori e posteriori, radar e sensori; sulla base di quest'esperienza ha trasferito la tecnologia su un prototipo realizzato su base Yamaha YZF R1 ma mosso da un motore elettrico e dotato di un sistema di warning a 360 ° (AWSM) per tracciare la velocità, la direzione e la velocità di un massimo di 64 oggetti intorno al veicolo.
Utilizzando una rete neurale di bordo, il sistema AWSM anticipa gli incidenti e avvisa il pilota con una serie di meccanismi di feedback multimodale: LED, vibrazioni sul manubrio e uno specchietto retrovisore digitale alimentato dalla fotocamera posteriore incorporata. La modalità e le soglie di pericolo oltre le quali scattano gli avvisi al conducente sembra venga decisa dall'AI secondo algoritmi. La Halo Bike di Damon, che qualche video mostra in circolazione, si caratterizza anche per la possibilità di modificare la posizione di guida da commuting a sport attraverso pedane, manubri e sella che cambiano la propria posizione anche in marcia.
Fin qui non ci sembra una rivoluzione e non ci sembra di poter veramente parlare di autentica “abilità di una macchina ad apprendere e sviluppare una capacità decisionale autonoma” nel senso che Bosch o Ducati, solo per fare un esempio, stanno introducendo sul mercato tecnologie simili ma la sottigliezza che distingue l'approccio di Damon è la volontà di archiviare tutti i dati raccolti da qualsiasi moto equipaggiata con un sistema Damon nel cloud dell'azienda attraverso l'accesso al 5G e da qui disporre di una mole gigantesca di informazioni che si spera possa migliorare la sicurezza dei motociclisti. Anche in questo caso, quindi, i Big Data e le reti su cui viaggeranno saranno i protagonisti del futuro della mobilità, ma di vera autonomia decisionale delle moto ne parleremo probabilmente soltanto tra qualche lustro.
Stefano Chianese (Bosch) su questo argomento aggiunge un aspetto non marginale: “Noi non potremo fare intelligenza artificiale fino a quando non avremo un'interfaccia uomo/macchina degna di questo nome. La tecnologia al giorno d'oggi non è ancora pronta. Ci sono un sacco di idee differenti ma ancora niente di definitivo. Ogni cruscotto è diverso, ogni produttore ha il suo layout, i display sono sempre più affollati... bisogna capire se si vuole fare un videogioco o se si vuole realmente migliorare il modo in cui l'utente guida e la sua sicurezza”.
Perché il punto è anche questo: quanto sono pronti i motociclisti a recepire novità che potrebbero avvicinare la guida di una moto, grazie agli aiuti elettronici, a quella di un videogioco? Potrebbe essere possibile trasferire un'intelligenza artificiale progettata per un sofisticato videogame motociclistico su una moto reale?
Non restava che chiederlo a chi di moto, videogiochi e intelligenza artificiale se ne intende: Michele Caletti, Producer per Milestone, l'azienda milanese produttrice di MotoGp 2019, il realistico videogioco per PlayStation 4, Xbox One e PC che vede per la prima volta inserire in una simulazione una intelligenza artificiale basata su reti neurali, un vero e proprio percorso di apprendimento per la macchina attraverso l'indicazione di quali azioni meritino un premio e quali invece siano da evitare. Da questo processo, A.N.N.A. (l'acronimo di Artificial Neural Network Agent) impara come guidare una motocicletta in pista e come competere con il pilota umano.
“Data una moto, un circuito e determinate condizioni di partenza, l'AI inizia l'apprendimento totalmente da zero, cioè senza nemmeno sapere i rudimenti della guida. Questo per non formare “preconcetti” all'AI, infatti se cambiano le condizioni, per esempio la moto diventa elettrica, l'AI deve iniziare daccapo; tutta la parte di apprendimento si svolge sui server, e non continua durante il gioco. Questo perché ognuno di noi gioca con uno stile differente e l'AI potrebbe incarognirsi a volermi battere sfruttando le falle del mio stile di guida... proprio come un motociclista reale”.
Potrebbe essere possibile trasferire la vostra AI su una moto vera? “Anche se stiamo cercando di evolvere il nostro modello facendolo diventare capace di guidare genericamente in pista e non solo sulle piste dove ha imparato, per trasferire il nostro modello sul mondo reale si dovrebbero mappare tutte le strade del mondo. È molto difficile, complicato e costoso sviluppare un'AI capace di guidare genericamente ma è un risultato che ci proponiamo di raggiungere in tempi relativamente brevi. Entro qualche anno potremo avere un sistema molto più flessibile ma applicarlo nel mondo reale è ancora più complesso: mentre nel videogioco abbiamo un set di decine sensori/informazioni che gestiamo perfettamente, nel mondo reale è tutto più complicato".
Non è solo una questione di tecnologia: "pensiamo alle macchine a guida autonoma: posizione angolare dello sterzo, slip delle ruote, segnaletica, pedone (con relativo riconoscimento) che attraversa mentre magari un'altra automobile è sulla nostra traiettoria... montare su una moto tutti questi sensori probabilmente è molto problematico. Ma forse il problema più grande non è nemmeno questo; noi, nelle nostre simulazioni, non badiamo a spese: se per allenare la nostra AI è necessario sfasciare (virtualmente, nel videogioco, n.d.r.) due o trecentomila Yamaha R1 lo facciamo, il nostro pilota non si fa male e possiamo ripartire immediatamente per un altro test. Nel mondo reale è tutto molto più costoso e questo è anche il motivo per il quale credo che Yamaha abbia dotato Motobot di rotelle laterali estensibili: per non dover distruggere nei test dodici M1 al mattino e altre dodici il pomeriggio!”.
Michele Caletti aggiunge:“Credo che anche se si volesse usare un sistema di AI su una moto reale, uno degli scogli da superare sia la scelta di cosa far fare all'AI quando ravvede una situazione di pericolo. Togliere i comandi al pilota e agire direttamente? Il motociclista non credo sarebbe molto felice”. Compreresti una moto sulla quale venisse integrata un'AI evoluta? “Tra quindici anni comprerei una moto dotata di AI. È come l'ABS, nessuno si fidava quando fu introdotto, mentre ora averlo a bordo è normalissimo. Piuttosto credo che una delle sfide più importanti sia quella che riguarda l'uniformazione dei sensori e della rete: quando tutti i veicoli, infrastrutture e pedoni saranno connessi e potranno comunicare tra di loro, gli incidenti stradali si ridurranno fino a quasi lo zero”.