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Tutto ebbe inizio nel 1994. A quell’epoca, il dottor Arnolfo Sacchi aveva accettato l’incarico di Amministratore Delegato della Moto Guzzi da Alejandro de Tomaso, quando si profilava come unica soluzione l’entrata in Amministrazione Controllata dell’Azienda, che allora produceva 2.900 moto con una perdita di 6 miliardi di lire, pari al 20% del fatturato.
Durante un meeting strategico, Gianluca Lanaro, Direttore Marketing e Vendite, aveva esposto con determinazione quelle che secondo lui avrebbero dovuto essere le nuove linee guida della Moto Guzzi. Il tutto, era stato supportato da dati raccolti dall’area marketing della Casa stessa nei principali mercati di sbocco. Queste indagini di mercato avevano evidenziato due universi paralleli: i “guzzisti” e i “non guzzisti”. Differenze di atteggiamento tra il “gruppo dei consumatori” e dei “non consumatori” di una determinata marca non sono certo una novità, ma in questo caso il fenomeno assumeva dimensioni notevoli, tali da proporre due mercati alternativi con target group sostanzialmente differenti. Entrambi i gruppi erano comunque d’accordo nel definire i nostri veicoli di allora come motociclette dalle basse prestazioni, arretrate tecnologicamente e mediocri nel rapporto affidabilità/qualità, anche nel servizio post-vendita. Inoltre, era stato approfondito molto il tema sul perché molti guzzisti avevano abbandonato la Casa.
Da qui, miscelando sapientemente questi dati con i trend di mercato e il profilo dei consumatori, Lanaro era riuscito a convincere tutti che bisognava guardare al futuro in modo diverso. Nel mercato non vi era solo un aumento di consumatori senza orientamento che acquistavano prodotti giapponesi, ma, al contempo, era chiara la tendenza all’aumento di consumatori che cercavano emozioni staccandosi dalla logica del prodotto indifferenziato. Questi, avrebbero guardato sempre più a moto ispirate allo stile europeo, fondamentalmente sportivo nello spirito e nelle intenzioni. Perciò, determinati a riportare la Moto Guzzi ai vecchi fasti, si ritenne opportuno impostarne lo sviluppo seguendo le direttrici qui sotto indicate: il tutto, naturalmente, in coerenza con i punti di forza della Casa.
Ci si era posti l’obiettivo di far diventare Moto Guzzi un’alternativa rispetto a BMW, Harley-Davidson e, in prospettiva, Ducati
La nostra mission si poneva l’obiettivo di far diventare Moto Guzzi un’alternativa rispetto a BMW, Harley-Davidson e, in prospettiva, Ducati. Avevamo inoltre riconsiderato il nostro posizionamento di nicchia con una nuova gamma prodotti essenziale, ma allargata rispetto al recente passato. L’offerta era destinata soprattutto ad una crescita più sostenuta nel mercato europeo e in quello nord americano. Avevamo anche individuato alcuni segmenti/mercati in forte crescita, sebbene non si prevedessero grandi variazioni nella domanda globale, in quanto i tassi di sviluppo erano molto diversi tra i molteplici segmenti del mercato ed i vari Paesi.
La fattibilità della trasformazione della Moto Guzzi richiedeva perciò una serie di interventi, sia di breve sia di medio periodo.
- In primis, dovevamo preservare il mantenimento dell’indipendenza della Società e perseguire l’incremento di valore dell’impresa.
- Nell’immediato, lo sforzo si era concentrato invece sull’obiettivo di far corrispondere l’immagine di marca alla qualità e affidabilità del prodotto, al suo aggiornamento tecnologico, al completamento di gamma, al miglioramento del servizio post vendita.
- Nel breve periodo, dovevamo invece cercare un rafforzamento e un’espansione degli investimenti di natura strategica.
- Le scelte di prodotto miravano quindi a un approfondimento e allargamento della gamma in sintonia con le opportunità di sviluppo prima individuate, ed in coerenza con la “capability” dell’impresa. Perciò, dovevamo anche contare molto sulla disponibilità di risorse umane, tecnologiche e produttive e, soprattutto, sulla fattibilità e tempi tecnici di realizzazione sempre chiari e definiti.
Per realizzare tutto quanto sopra, e garantire lo sviluppo della Società secondo una scala di priorità logiche e nei tempi subordinati ai nostri piani, il rientro nell’attività agonistica in Superbike era stato considerato essenziale per la futura crescita della Moto Guzzi.
Il target di riferimento per le moto che dovevano essere equipaggiate da questo nuovo motore si rivolgeva a una fascia di motociclisti “matura” in termini di esperienza, di conoscenza della moto, di disponibilità d’acquisto. In particolare, un utente che amava la moto italiana e il cui stile di vita aderiva a quella sensibilità europea che si stava staccando dalla logica del prodotto giapponese, vissuto come moto “senza storia”.
Dalle ricerche di mercato, emergeva anche un dato interessante che riguardava l’evidente propensione all’acquisto di questo prodotto, ritenuto “adulto”, anche da parte di un target più giovane, che comprendeva in maniera rilevante appassionati venticinquenni/trentacinquenni.
In più, andavamo a toccare e risvegliare la passione per le corse e le moto sportive di una gran parte di guzzisti, soprattutto quelli che avevano vissuto il periodo d’oro della Casa nelle competizioni, con la conquista di numerosi titoli mondiali in tutte le categorie. A questi si sarebbero aggiunti motociclisti che in passato erano stati possessori del Falcone Sport negli anni cinquanta/sessanta, e/o quelli che avevano posseduto la V7 Sport e la Le Mans I, e che poi avevano abbandonato il marchio. Non dimentichiamoci che nella loro epoca questi modelli erano considerati da tutti moto di assoluto riferimento nel panorama delle sportive stradali.
In sintesi, il briefing di prodotto lasciava spazio allo sviluppo di una nuova gamma di motociclette che sarebbero dovute entrare in produzione tra il 1999 e il 2003.
La VA-10 Corsa sarebbe stata prodotta nel reparto corse in poche decine di unità l’anno per piloti/team che garantissero la partecipazione al Campionato Mondiale Superbike e/o a quelli nazionali.
La VA-10 RS doveva essere la prima moto del nuovo corso della Casa, una pietra miliare nella storia della Moto Guzzi che avrebbe riportato l’Aquila ai vecchi fasti
La VA-10 RS. Ovvero la versione stradale derivata dalla Corsa. Per intenderci meglio, il suo posizionamento era in diretta concorrenza con quello della Ducati 916/996 e della futura Aprilia RSV Mille. La moto doveva raggiungere l’obiettivo di avere prestazioni superiori a quelle delle sue concorrenti, soprattutto nell’uso stradale e non necessariamente in pista. La volevamo inoltre meglio rifinita e più esclusiva della 916, e anche rispetto alle concorrenti giapponesi. La VA-10 RS doveva avere anche una migliore protezione aerodinamica rispetto alla stessa Ducati, e trasmettere una migliore esperienza d’uso/acquisto con elevata gratificazione nella percezione della qualità. Doveva essere la prima moto del nuovo corso della Casa, una pietra miliare nella storia della Moto Guzzi che avrebbe riportato l’Aquila ai vecchi fasti.
I suoi punti di forza dovevano logicamente rimediare alla somma di tutti i punti negativi delle Moto Guzzi degli ultimi anni: la VA-10 RS in configurazione stradale, dunque, avrebbe avuto più di 120 cv alla ruota e tanta coppia in basso. Le altre linee prevedevano una moto leggera e maneggevole, scattante e nervosa, rapida da inserire in curva ma corposa in uscita, minimalista ma nel contempo piena di sostanza. L’interasse doveva essere pari o inferiore a quello della 916, ma con un forcellone sostanzialmente più lungo. Il “rumore” del motore doveva essere basso e profondo. Lo stile invece doveva evidenziare alcune parti in vista, ma al contempo non ci si doveva scordare che la moto nasceva come una sportiva di razza destinata a durare nel tempo, quindi non un prodotto meramente alla moda! Perciò, all’epoca, lo Studio Marabese che ne curava lo stile era stato orientato da Lanaro ad ispirarsi più all’evoluzione delle forme sulla Porsche 911 che sulla Ferrari F 355. Questo perché lo stile/forma doveva essere destinato a durare a lungo.
La VA-10 ST entrava nel segmento delle Sport Tourer, quindi in diretta competizione con la Honda VFR o la BMW 1100RS. La moto doveva essere adatta a motociclisti che amavano fare del turismo, ma senza perdere le emozioni che ti trasmettono le moto sportive in termini di potenza del motore e caratteristiche di guida sportiva. Doveva essere innovativa con soluzioni tecniche d’avanguardia, trasmettere valore a livelli più alti rispetto della concorrenza. La potenza si doveva attestare a circa 105 cavalli alla ruota, e il peso in ordine di marcia non doveva superare i 220 kg. La VA-10 ST doveva essere confortevole per due persone, con la possibilità di montare motovaligie da almeno 35 litri ciascuna ed un bauletto. Doveva inoltre avere il cavalletto centrale e un’ampia autonomia (quindi serbatoio da 24 litri), l’ABS come optional eventualmente combinato con la tradizionale “frenata integrale Moto Guzzi", ma rivista e corretta secondo nuove indicazioni del marketing. Avremmo inoltre dovuto fornire una serie di accessori in linea con le attese dei nuovi utenti che sarebbero arrivati grazie a questa moto. Si pensava infatti che la ST avrebbe portato molta nuova utenza alla Casa, tra guzzisti di ritorno e non. Gli accessori previsti erano la borsa da serbatoio, borse rigide e relativi attacchi ad hoc, bauletto, manopole termiche, sella ribassata, presa a 12 Volt. Infine, la posizione di guida doveva essere particolarmente studiata per favorire lunghi spostamenti senza affaticamenti anche in coppia, quindi un ottimo comfort di marcia ed una plancia comandi completa di tutti i sistemi in dotazione alle moto da granturismo.
Dall’anno 2002, il motore VA-10 sarebbe stato utilizzato anche per una “nuda” e, in seguito, per la VA-12 GT (prevista per il 2003) con trasmissione finale a cardano e motore da 1200 cc. Questa moto sarebbe stata la prima, vera Gran Turismo italiana in grado di contrastare la BMW nel suo core business. Infine, il motore VA-12, avrebbe anche dato seguito allo sviluppo della nuova maxi enduro che avrebbe sostituito la Quota 1100, introducendone un nuovo modello completamente rivisto col motore raffreddato a liquido di 1200 cc e trasmissione finale a cardano. A quel tempo, il mercato delle maxi enduro da viaggio era ancora acerbo, e la nuova Quota avrebbe potuto essere una seria concorrente per la BMW GS.
Tra il 1998 e il 2000 sarebbero entrate in produzione la Ippogrifo, con motore 750 cc di derivazione aeronautica (alimentato a iniezione elettronica e cambio a 6 marce, ndr), e una enduro stradale che avrebbe utilizzato lo stesso gruppo telaio/motore. In seguito, era stato anche già pianificato di aggiornare la gamma California con un incremento di cilindrata per il motore e, in prospettiva, c’era lo sviluppo di un nuovo motore di grossa cubatura con raffreddamento ad mosto aria/olio: ma questo solo se le future restrizioni in termini d’inquinamento l’avrebbero permesso.
Dei valori imposti dal marketing per la realizzazione di questa nuova generazione di moto, solo uno era inderogabile e irrinunciabile: il motore doveva essere bicilindrico fronte marcia, come nella consolidata tradizione v7. Mentre il tabù della trasmissione a cardano, per certi modelli di moto, poteva essere abbandonato.
Che momento entusiasmante fu quel meeting: oltre a dare il via alla nuova progettazione motoristica, aprì la strada anche alla realizzazione di un nuovo cambio sei marce a tre alberi per la V11 Sport e l’Ippogrifo, e oggi ripreso e realizzato per le nuove V7 II.
Su quest’argomento mi permetto una breve divagazione per rendere omaggio a un grande uomo e progettista: Umberto Todero. L’input di partenza era quello di realizzare un cambio a sei marce che avrebbe dovuto essere più corto, rispetto a quello esistente a cinque rapporti, di ben 50 millimetri!
Il nostro direttore tecnico, ingegner Angelo Ferrari, concepì un cambio sequenziale a tre alberi con comando a dischi. Il cambio sarebbe stato più corto di 53 millimetri, e fu messo in produzione sulla V11 Sport. Todero (allora ancora consulente tecnico della Moto Guzzi) giudicò irrealizzabile un oggetto del genere, ma dopo una mezza giornata di discussione davanti allo studio di fattibilità, realizzato da Ferrari, si dichiarò entusiasta dell’idea, e chiese di poter realizzare egli stesso i disegni (rigorosamente al tecnigrafo, naturalmente). Ebbene: si era nei giorni immediatamente precedenti alle ferie estive, e quando Ferrari rientrò a fine agosto trovò le tavole del nuovo cambio sulla sua scrivania!!
Ma torniamo al progetto VA-10. L’imposizione da parte del marketing di utilizzare la classica configurazione a V di 90° fronte marcia pose subito due gravi problemi per una moto super sportiva: il primo riguardava chiaramente l’ingombro frontale del motore, mentre il secondo era inerente alla definizione del posizionamento del cambio a 6 marce per un’uscita della trasmissione finale a catena. Ma questi due problemi apparentemente gravi si rivelarono poi un grandissimo vantaggio nella definizione del prodotto, perché costrinsero l’ing. Ferrari a uscire dagli schemi consolidati e cercare, in accordo con la direzione marketing, nuove soluzioni non ortodosse per la nuova moto. In merito all’ingombro frontale del motore, ricordando gli elementi basilari dell’equilibratura dei motori bicilindrici a V, Ferrari escogitò alcuni escamotage.
In primis ridusse l’angolo tra le bancate a 75°: tale angolo, infatti, si rivelava sufficiente a ridurre in maniera rilevante l’ingombro frontale senza praticamente alterare l’immagine del classico motore a V trasversale, icona della Moto Guzzi.
Per mantenere inoltre l’equilibratura tipica del motore a V di 90°, si sfalsarono i due perni di biella sulla stessa manovella di un angolo di 30°, ovvero il doppio della riduzione di angolo tra le bancate (15°). Un’altra ragione per cui si ridusse l’angolo del V di soli 15° fu che una quota maggiore ci avrebbe costretto a introdurre tra i due perni di biella una spalla, se non un ulteriore supporto di banco, alterando sensibilmente l’interasse tra i cilindri (che per un motore del genere vale circa 24-25 mm) portandolo oltre i 45 mm. Nel VA-10, l’interasse tra i cilindri divenne di soli 30 mm: questa soluzione ci consentì di non allontanare troppo i supporti di banco (su cuscinetti) e di ottenere una corretta rigidezza dell’albero. La rigidezza della struttura fu verificata col metodo degli elementi finiti dai professori Balli e Franceschini, del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Perugia.
A questo punto, siccome si dice che l’appetito viene mangiando, l’ingegner Ferrari decise di adottare (concordandole con il sottoscritto) altre due rilevanti innovazioni per una moto: il carter secco con pompe di mandata e recupero dell’olio, che portò ad un efficace abbassamento del centro di gravità della meccanica, e l’ingresso dell’olio di lubrificazione nel centro dell’albero motore, che assumeva così anche la funzione di pompa di lubrificazione.
Il motore da un litro di cilindrata era già stato concepito per essere portato a 1200 cc, anche perché già allora circolavano voci su un nuovo regolamento Superbike che avrebbe consentito in futuro una cilindrata più alta per i motori bicilindrici. Inoltre, appariva evidente che le cilindrate medie delle maxi moto bicilindriche si sarebbero collocate su motori di maggiore cubatura rispetto al passato.
Posizionamento del cambio. La concezione di motore sopra riportato, e la volontà di abbandonare per la moto sportiva la trasmissione cardanica, consentì quindi di realizzare (separato dal motore) un nuovo cambio trasversale a 6 rapporti, e quindi di collocare il motore stesso inclinato verso la ruota anteriore di 15° - per favorire la posizione di guida - con un passo della moto 1.380 mm e un forcellone lungo ben 500 mm.
Questo progetto suscitò l’entusiasmo dell’ingegner Danilo Mojoli (ex Gilera, era il più stretto collaboratore di Ferrari nel settore motoristico) che fece di tutto per portare avanti il progetto anche dopo la dipartita di Angelo Ferrari dalla Moto Guzzi. Il motore VA-10, nella versione stradale con filtri e scarichi, dimostrò notevolissime prestazioni fin dalla primissima prova al banco, e grande affidabilità nei successivi test. Purtroppo, però, nonostante gli eccellenti presupposti, con l’arrivo della nuova proprietà il progetto venne abbandonato.
Angelo Ferrari e Gianluca Lanaro
Quanto avete appena letto è frutto di una gradita telefonata recentemente ricevuta dall’ingegner Angelo Ferrari, che il dottor Gianluca Lanaro mi presentò proprio nel periodo in cui lavorava in Moto Guzzi, e sulla cui scrivania ebbi anche la fortuna di ammirare il primo esemplare del rivoluzionario motore VA-10, appena sfornato dal reparto esperienze. Una telefonata peraltro suggerita proprio dall’amico Lanaro, con cui Ferrari condivise anche il periodo trascorso a Breganze, durante il tentativo di rilancio del marchio Laverda, prima di approdare entrambi a Mandello.
Entrambi i personaggi, insomma, avevano una gran voglia di raccontare l’esperienza trascorsa in Moto Guzzi, in uno dei tanti periodi tribolati per il marchio lombardo, ma nonostante ciò anche ricco di idee e progetti molto innovativi. Tant’è che l’ingegnere emiliano, assistito dallo stesso Lanaro, ebbe la possibilità di creare modelli come il Centauro, la California EV e la V11 Sport. Ma anche di rivisitare profondamente il “piccolo” V2 da 750 cc a 4 valvole di derivazione aeronautica, che sarebbe apparso al Salone di Milano del 1997 montato su quella che in molti appassionati ricordano come un’occasione perduta, perché in effetti sarebbe ancora oggi molto attuale: la bella Ippogrifo, alimentata a iniezione elettronica e con cambio a 6 marce. Oltre a progettare il succitato V2 a 75°, chiaramente, peraltro disegnato dall’ingegner Danilo Mojoli: un motore molto compatto, del quale qualche detrattore addirittura predisse la prematura “esplosione” addirittura al primo avviamento, ma che invece, al primissimo lancio sul banco prova, non solo sfoderò la bellezza di quasi 135 cv (una trentina in più della Ducati 916 di serie), ma riuscì a far saltare più volte il banco stesso, senza peraltro uscirne danneggiato… (Ascoltate il sound del motore VA-10 al primo avviamento al banco prova)
Più che logico, dunque, che i due manager rimpiangano tutt’oggi il fatto di non aver potuto portare avanti tutto quel ben di dio che i sostanziosi programmi di allora prevedevano. Tutte occasioni perse, per svariate cause legate ad una successione gestionale che creò più confusione e danni che altro, quando sembrava esserci la ennesima possibilità di riportare sugli scudi il tanto bistrattato Marchio fondato da Guzzi e Parodi, ed andare a sfidare i più forti costruttori di allora, su strada ma anche in Superbike. E quella telefonata voleva chiaramente comunicare la speranza che “qualcuno” a quei progetti possa tornare quantomeno a pensarci…
Chiudiamo sottolineando che le immagini che troverete in quest’articolo riguardano i primi studi sia di carattere estetico che di layout tecnico. Nessuno dei bozzetti che pubblichiamo era stato ufficialmente deliberato, in quanto sulla parte estetica si stava ancora lavorando molto. «E quanto ne stava uscendo – sottolinea lo stesso Lanaro - era molto più avanti in termini di look!».
Maurizio Tanca
Angelo Ferrari
L’ingegner Angelo Ferrari, classe 1950, parmense, nel ’76 si laureò con lode in ingegneria aeronautica al Politecnico di Milano, dopodiché la sua carriera andò in crescendo: nel ’77 lavorò nel campo delle macchine per il movimento terra, ma presto passò alla Lamborghini Automobili S.p.A. come assistente del Product Manager, per poi diventare responsabile dell’Ufficio Tecnico. Nell’86, in veste di Senior Manager, iniziò a prender parte alla progettazione e sviluppo di una nuova generazione di motori a 12 cilindri destinati ai modelli Countach, LM002 e Diablo, all’intero studio del design dell’incredibile mega-SUV LM002, e ai motori marini V12 che vinsero parecchio nell’offshore. Ferrari divenne inoltre primo assistente di Giampaolo Dallara (da anni notissimo costruttore in Formula Indy), per poi diventare praticamente l’ombra del celebre ingegner Giulio Alfieri, fino al 1988.
Nel biennio ‘88/’89 Ferrari diresse l’Offshore Marine S.p.A. di Ventimiglia, per poi trasferirsi a Breganze in forza alla Laverda, come Direttore Tecnico e di Produzione. E li nacquero le bicilindriche di nuova generazione, ovvero le 650 raffreddate ad aria, e il successivo motore da 668 raffreddato ad aria ed olio, alimentato ad iniezione Weber-Marelli. L’avventura in Laverda durò fino al 1993, anno in cui il progettista tornò in Emilia come Direttore Prodotto per la Bugatti Automobili S.p.A. Altri due annetti automobilistici di alto livello, per tornare alle moto nel 1995 approdando a Mandello del Lario, ergo alla Moto Guzzi, come Direttore Tecnico. In quell’anno la Casa di Mandello stava per uscire dalla gestione della G.B.M S.p.A. (Guzzi Benelli Moto) di Alejandro De Tomaso. Tant’è che l’anno successivo il glorioso marchio dell’Aquila passò sotto l’egida della Finprogetti, che aveva riportato l’Azienda in attivo rinominandola nuovamente Moto Guzzi S.p.A., e aveva anche progressivamente assunto il controllo della De Tomaso Industries Inc. trasformandola in T.R.G. (Trident Rowan Group Inc). E lì Ferrari rimase fino al ’98, per poi lasciare a malincuore per divergenze con la nuova dirigenza.
Dal ’98 al 2001, il tecnico parmense fu Direttore Tecnico della pesarese VIET S.p.A., nel campo delle macchine per la lavorazione del legno. E dal 2001 ad oggi, è titolare della Ferrari & Partners, compagnia di servizi che opera ovviamente nel settore progettazione e sviluppo con numerosi clienti, tra i quali il Gruppo Piaggio e la TM Racing (per quanto riguarda il nostro settore) e con nel palmarés parecchi progetti, tra i quali un motore automobilistico V6 per la Formula 3000, un “3 cilindri” motociclistico da un litro di cilindrata destinato alle competizioni, e alcuni motori per go-kart.
Gianluca Lanaro
Vicentino 58enne, appassionato motociclista praticante, Lanaro ha maturato una trentennale esperienza nell’area Marketing & Vendite nell’ambito National & International Sales Development presso prestigiose realtà nazionali e multinazionali leader del loro mercato di riferimento: Morellato, Montebello, Tecnigold, Laverda, Moto Guzzi, Aprilia, Moto Morini, Arctic Cat, Liqui Moly ed altre.
Professionista esperto nell’implementazione di efficaci strategie aziendali in contesti di Sales Business Development, di Riorganizzazione, Gestione di Reti Commerciali e di Complesse Trattative, nel 1990 il manager vicentino ha abbandonato il settore tessile-abbigliamento per entrare in “quello dei motori”, dove ha contribuito con i suoi briefing alla nascita di numerose nuove motociclette, assumendosi in molti casi anche la paternità del nome della moto: vedi Laverda 650, 668 e Ghost; Moto Guzzi Centauro, California Ev, V 11 Sport e i prototipi Ippogrifo e V11 GT; Moto Morini 1200 Sport, Scrambler, Granpasso, i prototipi Granferro e nuovo Corsaro Veloce.
Infine, ricordiamo che passione, determinazione e spirito d’iniziativa hanno portato la piccola squadra messa in piedi da Lanaro in Moto Morini a vincere per due anni consecutivi la Roadster Cup (2008-2009) con la Corsaro Veloce. Nel 2009, inoltre, Lanaro ha portato la Moto Morini ad aggiudicarsi anche il secondo premio al “Gran premio della Pubblicità”, organizzato dalla rivista Moto Dealer News con la campagna “Nata Libera” e pay off “La vita è la strada più bella”, ispirati da un libro scritto in parte ma mai finito dallo stesso manager vicentino e dal titolo “Alla ricerca della moto perduta”. Con una conoscenza approfondita di tutti i processi aziendali e una chiara visione dell’impatto di ognuno di essi nella conduzione generale dell’azienda, Lanaro ora lavora come Senior Advisor Business Developer per alcune società del settore Automotive e non.