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Race on Sunday, Sell on Monday – gli statunitensi, maestri nello sfruttamento dello sport per la promozione di qualsivoglia tipo di prodotto, avevano coniato negli ormai lontani anni 60 questo mantra. La moto che la domenica vinceva le gare era quella che si sarebbe venduta meglio nel periodo successivo – era valido per il modello, per il marchio, e per traslato anche per il pilota, che con le sue vittorie spingeva il prodotto dello sponsor visto che là avevano già preso piede.
Una filosofia che contrasta in maniera stridente con mosse come il ritiro del team ufficiale da parte di BMW, arrivato proprio quando la S1000RR è giunta ai vertici della competitività e lotta a pieno titolo per il Mondiale. Difficile che a Monaco di Baviera non conoscano il detto di cui sopra, più facile che non lo ritengano più valido; le politiche di BMW sono spesso imperscrutabili, ma le ipotesi interpretative di una mossa come questa si limitano a due. La prima è che titolo o non titolo, la S1000RR abbia svolto la sua missione (riposizionamento del marchio dell’elica in chiave sportiva e dinamica) e il futuro della Superbike non sia più allineato alla partecipazione ufficiale di una Casa come BMW. La seconda, forse più probabile, è l’evidenza empirica della scarsa validità della regola derivante dalla discrasia fra vittorie in gara e successo commerciale della S1000RR. Che ancora ha vinto poco in pista (anche se in Stock ha dominato in lungo e in largo a tutti i livelli) ma ha dominato il mercato.
La regola, allora, non è più valida? Per il marchio tutto punta ad una risposta negativa, almeno nella visione degli strateghi delle Case produttrici relativamente ai mercati europei e statunitensi: vi basterebbe fare due chiacchiere con il responsabile di un Team ufficiale della MotoGP per vederlo scurirsi in viso (o volgere un malinconico sguardo al cielo, ricordando i bei tempi andati) e sentirvi spiegare come il suo budget, una volta fornito dal reparto marketing della Casa, ora è quasi completamente in mano alla Ricerca & Sviluppo – a buon intenditore poche parole. Anche se, questo è vero, nei paesi emergenti dove il motociclismo sta iniziando a prendere piede l’effetto promozionale delle vittorie in gara pare essere ancora presente, l’attività sportiva non è più considerata foriera di ricadute sensibili sulle vendite.
Né oggi né nel recente passato una vittoria in SBK ha mai garantito successo di vendite al modello con cui veniva ottenuta
Certo, obietteranno molti, ma qui stiamo parlando di MotoGP, mentre per promuovere le sportive c’è la Superbike! Teoricamente il discorso non fa una grinza, non fosse che né oggi né nel recente passato una vittoria in SBK ha mai garantito successo di vendite al modello con cui veniva ottenuta, pur evidenziando comunque un certo peso del successo in gara nella promozione delle moto stradali. Al contrario, come abbiamo visto nel caso S1000RR, si può vendere tantissimo senza vincere. Proviamo ad osservare alcuni modelli della storia recente per provare a trovare qualche logica nel fenomeno.
Se c’è una Casa che ha venduto grazie ai suoi successi in Superbike questa è senza dubbio Ducati. Va sicuramente detto come il marchio bolognese abbia da sempre una marcata impronta sportiva, ed è quindi un’osservata speciale nelle competizioni. Le sue Superbike, dalla 851 alla 1198, hanno conquistato vittorie in quantità industriali, vincendo spesso l’iride al debutto e hanno sempre rappresentato oggetti del desiderio di (quasi) tutti i motociclisti sportivi a sangue caldo. Il successo in gara ha contribuito a creare un alone di leggenda che ha spinto anche modelli non direttamente legati alle competizioni, come Monster o (più di recente) Multistrada e Diavel, tutti modelli che su vari mercati hanno venduto tanto sia per la loro validità tecnica intrinseca, ma anche per la percezione del prestigio del marchio Ducati.
I successi in pista sono allora sempre stati premiati da successi sul mercato? Ni. Perché è vero che le Ducati Superbike stradali si vendevano come i gelati al mare all’epoca d’oro del Mondiale Superbike, ma è altrettanto vero che erano anche bellissime e prestazionalmente competitive con le rivali dell’epoca. Non è un caso se la 999, recepita al massimo con tepore per l’estetica e prestazionalmente sempre più in affanno con il regolamento a cilindrata parificata, non sia stata esattamente un successo di vendite nonostante abbia letteralmente pulito il pavimento con la concorrenza fino al cambio regolamentare del 2004.
Proseguendo su questo filone analitico, la 1098/1198 ha vinto “solo” due mondiali su 4 ovvero il 50%, la peggior prestazione a pari merito con 851/888 mentre le 916/996/998 arrivano al 66% (sei titoli conquistati su nove edizioni disputate), mentre la 999 si attesta al 60%. I dati di vendita andrebbero contestualizzati al periodo storico dell’azienda e all’evoluzione del mercato, quindi è evidente che un’eventuale statistica basata sui numeri risulterebbe impossibile o piena di ‘se’ e ‘ma’; ci limitiamo a sottolineare come la Panigale non abbia (ancora) vinto assolutamente nulla di valore Mondiale ma non sia certo un insuccesso commerciale. La correlazione fra successo sportivo e successo commerciale sembra abbastanza tenue…
Non vi basta? Prendiamo un altro caso, quello di Yamaha. La Casa di Iwata è quella che ha impiegato più tempo di tutte nella conquista di un titolo Superbike: presente fin dalla prima stagione iridata, ha dovuto attendere fino al 2009, con Ben Spies, per mettere in bacheca l’unico trofeo che le mancava. La cosa però non le ha affatto impedito di creare due veri e propri fenomeni commerciali e di costume (sportivo) con R1 ed R6. Anche e forse soprattutto negli anni in cui stentava di più nel Mondiale SBK, ovvero nella prima metà degli anni duemila nonostante poi – ma ne parleremo meglio dopo – l’effetto dell’arrivo di Valentino Rossi e delle sue vittorie abbia contribuito a migliorare le vendite in diversi paesi nonostante la gamma fosse assolutamente immutata.
Se siete ancora perplessi passiamo ad esaminare il caso di Honda. Impegnatissima in Superbike tanto da realizzare non tanto la RC30, il cui progetto è nato prima che la Superbike diventasse “la Superbike”, quanto la costosissime RC45 e quella sfida concettuale – l’abbandono del V4 per cimentarsi sul terreno delle bicilindriche – rappresentata dalla VTR/SP, nota anche non a caso come RC51. Moto che hanno vinto (la RC45 forse non quanto Honda avrebbe voluto) ma che non hanno venduto. La prima perché non era praticamente in vendita, la seconda per ragioni diverse, non ultime una quotazione economica da fuoriserie italiana unita ad un peso da turistica. La CBR900 ha invece continuato ad andare a gonfie vele sul mercato pur non avendo la minima identità corsaiola, risultando anzi quasi costantemente la più stradale ed umana delle quattro maxi giapponesi.
Al contrario notiamo che solo in pochi casi modelli validi ma che stentavano a decollare hanno beneficiato dall’identificazione con la moto da corsa quando questa ha iniziato a vincere. Un esempio virtuoso è l’Aprilia RSV Mille: l’arrivo di Troy Corser e le prime vittorie del bombardone nero e rosso ne fecero aumentare in maniera significativa il successo commerciale almeno sul mercato italiano. Se pensiamo alla storia recente, pur con le tare relative al declino del segmento delle sportive e alla crisi economica, non si fatica a notare come l’effetto vittoria non abbia influenzato in maniera percettibile il successo dell’Aprilia RSV4. O come al contrario, ricollegandoci al discorso iniziale, la mancanza di vittorie per la S1000RR non ne abbia certo frenato il successo di vendite.
Sembra decisamente più significativo l’effetto promozionale del pilota di forte popolarità che sale in sella ad una determinata marca. Anche senza andare a scomodare Valentino Rossi, vero e proprio catalizzatore trasversale sul marchio, non è difficile notare come “bandiere” di alcune case come Max Biaggi, Noriyuki Haga, Troy Bayliss o – sul mercato statunitense – lo stesso Nicky Hayden siano stati in grado di aumentare la popolarità di modelli o marchi. Non ci impegneremo nella psicologia spicciola andando a cercare improbabili fenomeni di identificazione con gli idoli sportivi, ma il fatto che determinate Case tengano particolarmente ad avere determinati piloti in sella alle proprie moto (ricordate Barros e Honda Brasile?) arrivando a supportarli anche quando i risultati non avrebbero giustificato l’impegno qualcosa vorrà dire.
Insomma, vista così verrebbe da dire che il legame fra corse e successo di vendite, che una volta sicuramente c’era, si è interrotto diverso tempo fa almeno per le sportive. Lo precisiamo perché è certamente ancora valido in determinati settori, molto particolari, dove in effetti l’impiego del mezzo è prettamente agonistico o comunque molto sportivo (cross, enduro, motard) e la relazione fra la moto che si acquista e quella che vince nei vari Mondiali, sia pure diluita, è molto più vicina di quanto non sia quella fra una SBK e una moto di serie. Sotto questo punto di vista forse il regolamento Evo per il Mondiale Superbike (quando sapremo com’è) potrebbe essere un passo avanti – riavvicinare le SBK alle stradali forse potrebbe aumentare il valore di una vittoria sul piano commerciale.
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