Motociclismo: chiude il mensile che ha formato generazioni di noi

Motociclismo: chiude il mensile che ha formato generazioni di noi
Ormai è chiaro: la testata italiana più antica del settore (nata addirittura nel 1914) dopo anni difficili è arrivata al capolinea. Presto vi proporremo qualche testimonianza diretta degli ultimi mesi, intanto ecco cosa Motociclismo ha significato per il sottoscritto
22 novembre 2024

Va detto subito che il mensile non è tecnicamente fallito, ma l’ultimo numero uscito in edicola era datato Settembre, mentre il mese di Ottobre risulta realizzato ma mai andato in stampa. Brutto quadro: il sito è stato a lungo offline e non è più aggiornato, gli abbonati sono stati traditi, i colleghi hanno perso mesi di stipendio.

La crisi finanziaria era iniziata una quindicina di anni fa, ma in qualche modo si andava avanti. La testata era passata nel 2021 a Sportcom (nel 2022 la Edisport Editoriale aveva dichiarato fallimento) e poco dopo era stata ceduta a una società austriaca, sempre controllata da Sportcom. L’obiettivo era la vendita: pare che Conti Editore avesse mostrato un certo interesse, ma poi la valutazione della testata e dell’archivio era stata giudicata troppo alta. Anche Motociclismo d’Epoca: stessa sorte, è fermo al numero di aprile. Presto sentiremo la testimonianza di una persona che per tanti anni ha lavorato ai vertici del giornale.

Quello che ha significato per me

Mi chiedono di scrivere scrivere cosa è stato Motociclismo per me. Faccio fatica ma in un certo senso mi tocca, sono tra i pochi che hanno conosciuto la Edisport degli anni Sessanta, che stava in centro a Milano a due passi da piazza Missori; quella di Arturo Coerezza, Carlo Perelli, Mario Colombo, Roberto Patrignani e tutti gli altri. Entrai nel ‘69 come collaboratore, me ne andai nel ‘73 perché mi avevano destinato a “Vela e Motore”; per tornare infine nel 1985 come vice direttore, fino al ‘91. Ecco qualche flash.

La prima volta. Chi non ha mai avuto dubbi sulla migliore tecnica di guida? A diciassette anni Adalberto Falletta e io, amici e autodidatti sulle 125, avevamo un dubbio: in quale punto della curva si riapre il gas, alla corda o quando vedi l’uscita? Ci presentammo in corso Italia 8, primo piano, convinti di trovare Patrignani che era un pilota e quindi guru di riferimento. Roberto non c’era, non era redattore fisso, e avvertito dal centralino arrivò il notissimo Carlo Perelli al quale, con un po’ di soggezione, gli presentammo il quesito. Perelli era un tipo da basco piuttosto che da casco; imperturbabile decretò: “alla corda” e per noi bastò. Quello fu il primo contatto diretto con la redazione di Motociclismo. Tre anni più tardi appariva il trafiletto “cercasi collaboratori”: il giorno stesso eravamo già davanti a Carlo per la seconda volta e fummo presi, in prova, per scrivere l’articolo su un cinquantino: Fantic Motor Rocket3.

La prima trasferta. Roberto Patrignani era un mito: aveva una facilità di scrivere unica e la sua penna ci ha incantato per anni, ma a me interessava soprattutto il Patrignani pilota: convinsi Perelli a portarmi in pista come aiutante di campo e il battesimo avvenne in occasione della Mototemporada, non ricordo se a Rimini o Riccione, anno 1970. Portavo la borsa delle macchine fotografiche del capo, Patrignani era iscritto con una Aermacchi Ala d’Oro. Ebbene, fu una grande delusione perché poco prima del via della gara venne già uno scroscio di pioggia, il mio eroe prese regolarmente la partenza perché era un tipo pragmatico (se non partivi niente diaria dell’organizzatore), ma dopo il primo giro si fermò. Pensavo avesse rotto la moto, invece lui mi disse con candore: con la pioggia non corro, non sono mica matto.

La prima vera moto provata per Motociclismo. Dopo tanti bei cinquantini, dal Corsarino ZZ alla Guazzoni Matta 50, ottenni in affidamento una moto seria: Ducati 250 Desmo “pallottola d’argento”, la sportiva. Per le foto dinamiche Perelli si accontentò di una esse in periferia, sulla Rivoltana a due passi dall’attuale Parco Esposizioni di Novegro. Mancava il tempo per una location più adeguata, eravamo in ritardo dopo giorni di pioggia, con una gran rincorsa ottenni una piega dignitosa. Ma io ero già sazio: da quasi un mese godevo di questa Ducati, di nascosto ero anche andato a girare (era la prima volta, in jeans e giacchetta di nylon) sulla pista junior di Monza una domenica mattina, insieme ai piloti juniores. Di nascosto, già, perché Motociclismo contemplava soltanto una pista, la Pirelli di Vizzola Ticino. Guai a parlare di prove in circuito, era da “gasati”. E non si indossavano i caschi sulle moto piccole per non scontentare la Piaggio.

Oltre a Perelli, sono stati tantissimi i compagni di lavoro che hanno lasciato un segno. Da Piacentini a Tamburi e Perrone fino a Gissi (che mi seguì da La Moto nell’ultima fase) e Zamagni, poi le mitiche segretarie di redazione Maria, Barbara e Silvia. Alla fine degli anni Sessanta trovai i primi tester “esterni”come i torinesi Rosani e Centanino per le stradali, Valerio Ticozzi e Verrini che provavano le regolarità, De Prato che sapeva tutto di tecnica; più avanti arrivarono Daneu, Inglese, Selicorni, in redazione Riccardi… La lista è lunga. Tante ore passate in redazione (per lo più in allegria), tanti sabati alla famosa pista Pirelli di Vizzola Ticino. Si andava una volta al mese, con tutti i collaboratori disponibili e tante moto. Prima Carlo Perelli faceva tutta la serie delle foto da fermo con il campanile sullo sfondo, poi per noi i rilevamenti alle fotocellule e le foto “in movimento”. Qualche volta si faceva in tempo ad andare a pranzo in trattoria. Per fare il record sui 400 metri da fermo si provava a rubacchiare qualche centimetro alla prima fotocellula, ma al direttore della pista, che non a caso si chiamava Pier Diddìo, non scappava niente.

Pochi sanno che Alejandro De Tomaso, allora patron di mezza industria motoristica italiana, a metà degli anni Ottanta ci fece causa per danni. In redazione avevamo raccolto i cilindri delle Guzzi V50 e V35, che si squagliavano come margherite. Casse piene, erano tempi grami per Mandello, l’argentino aveva le sue idee di business, i dirigenti scappavano, i collaudatori inascoltati piangevano. Il pezzo lo scrissi proprio io, puntando il dito sui materiali scadenti. Sapevamo di entrare in un campo minato, il pezzo fu letto e approvato dall’editore e dal direttore, ma commettemmo un errore: non erano scadenti i materiali, erano approssimative le lavorazioni. La Guzzi andava a picco, avevamo tutte le ragioni per denunciare le colpevoli carenze, ma fummo costretti a una costosa intesa extra processuale compensando con un lungo piano pubblicitario. La cosa più seccante è che, a difendere De Tomaso, c’era un pezzo grosso dell’ordine dei giornalisti…

Chiusura. Siamo qui a piangere la chiusura di Motociclismo e purtroppo questi sono i tempi: tutta l’editoria di settore è in difficoltà. Alla fine se davvero vogliamo continuare a leggere di moto, sul web e in edicola, dobbiamo convincercene: le testate vanno sostenute concretamente anche dai lettori.

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