Motori Ducati mai visti (o solo appena)

Sono i monocilindrici Ducati rimasti allo stadio di prototipo e di cui si conosce davvero poco. Approfondiamo così la storia dei “mono” Ducati dopo quello della famosa Scrambler
26 giugno 2021

In previsione dell’uscita di scena dei modelli con i motori a carter larghi, ovvero gli Scrambler, i Desmo e i Mark 3 (qui il nostro articolo), alla Ducati si cominciò a pensare ai successori.
In effetti sembra che all’epoca ai vertici dell’azienda ci sia stata un po’ di confusione.

Basta pensare alle infauste decisioni di realizzare i bicilindrici paralleli e il 125 a due tempi. Non tutti erano convinti che si sarebbero dovuti realizzare nuovi modelli con motore monocilindrico.
Nel reparto esperienze però proprio in quel periodo critico si è lavorato con particolare intensità in più direzioni, compresa quella del mono, realizzando una serie di prototipi dei quali solo il nuovo bicilindrico con comando della distribuzione a cinghie dentate si è poi concretizzato in un modello di serie, il Pantah (presentato alla fine del 1977 ed entrato in produzione circa due anni dopo).

Di motori con un solo cilindro tra il 1975 e il 1977 ne sono stati proposti e realizzati come prototipi quattro. Se ce ne sia stato un altro non lo so. Di certo quelli che ho visto personalmente e che ho potuto fotografare sono stati quattro.
Più la testa bialbero a quattro valvole da montare sui motori a carter larghi, della quale ho già avuto modo di parlare in questa sede.

L’idea di realizzare un mono semplicemente privando di un cilindro uno dei grossi motori a L è sembrata abbastanza logica e conveniente

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L’idea di realizzare un mono semplicemente privando di un cilindro uno dei grossi motori a L è sembrata abbastanza logica e conveniente.
Contrariamente a quanto è stato fatto una quindicina di anni dopo con il Supermono, in questo caso si è deciso di togliere il cilindro anteriore da un 860 GT, modello a “carter quadri” che era entrato in produzione nel 1974 ed era stato dotato di avviamento elettrico l’anno successivo.

Il cilindro posteriore non era però verticale ma leggermente inclinato all’indietro. L’intervento è stato effettuato ma il risultato si è rivelato inaccettabile dal punto di vista estetico. Difficile pensare a un motore più brutto. Era impensabile che si potesse puntare su un modello del genere. Come si può notare nelle foto qui allegate, per questo prototipo di 450 cm3 non è stato realizzato un nuovo basamento (sarebbe venuto dopo) ma è stata subito prodotta una nuova testa, bialbero e a quattro valvole, richiamate da molle cilindriche.

Più o meno contemporaneamente (cioè nel 1975) è stata realizzata quella che può essere ritenuta una versione totalmente riprogettata del classico mono a carter larghi, con basamento, testa e cilindro decisamente inediti (anche se dal look familiare) e sempre con comando della distribuzione ad alberello e coppie coniche.
La trasmissione primaria era posta a destra, ossia dallo stesso lato della distribuzione. Dalla parte opposta erano collocati il generatore di corrente e il pignone della trasmissione finale. Niente male, anche sotto l’aspetto estetico, ma in fondo niente di nuovo. E poi probabilmente era anche costoso da produrre.

Ecco il motore di 350 cm3, largamente modulare con il bicilindrico Pantah, che avrebbe dovuto essere impiegato sulle nuove monocilindriche Utah e Rollah (in versioni senza e con avviamento elettrico) presentate al Salone di Milano del 1977
Ecco il motore di 350 cm3, largamente modulare con il bicilindrico Pantah, che avrebbe dovuto essere impiegato sulle nuove monocilindriche Utah e Rollah (in versioni senza e con avviamento elettrico) presentate al Salone di Milano del 1977

I due prototipi successivi erano ben diversi in quanto, a parte il disegno totalmente inedito del basamento e del gruppo termico, avevano l’albero a camme in testa comandato da una cinghia dentata. Nel primo era posta sul lato sinistro (disposizione che sarebbe poi stata ripresa nel motore della Mototrans Yak, progettato esso pure a Bologna).
Aveva una cilindrata di 350 cm3, ottenuta con un alesaggio di 79,5 mm e una corsa di 70 mm, ed è stato lungamente provato anche su strada, installato nella ciclistica di una bicilindrica parallela 350 Sport Desmo.

Sembra che si trattasse di un motore più che valido ma contemporaneamente era stato realizzato un altro 350, con cinghia dentata posta sul lato destro, che andava bene anch’esso e che presentava il vantaggio di avere un costo di produzione minore. Era infatti realizzato in base al principio della modularità costruttiva. Non solo impiegava alcuni componenti che venivano utilizzati anche sul nuovo modello Pantah ma, cosa più importante, diversi suoi componenti potevano essere lavorati sulle stesse macchine utensili impiegate per tale bicilindrico.

Il cilindro aveva un riporto superficiale al nichel-carburo di silicio e la distribuzione era desmodromica; le due valvole avevano il fungo da 37,5 mm e da 33,5 mm rispettivamente alla aspirazione e allo scarico e formavano tra loro un angolo di 60°. L’alesaggio di 83 mm era abbinato a una corsa di 64 mm. L’albero a gomito era in un sol pezzo. La potenza veniva indicata in 27 cavalli.

Questo monocilindrico, del quale sembra fosse anche in programma una versione di 250 cm3, è stato montato su due nuove moto denominate Rollah (una stradale pura) e Utah (una scrambler), che sono state presentate al Salone di Milano del 1977

Questo monocilindrico, del quale sembra fosse anche in programma una versione di 250 cm3, è stato montato su due nuove moto denominate Rollah (una stradale pura) e Utah (una scrambler), che sono state presentate al Salone di Milano del 1977; entrambe avevano l’estetica studiata da Leopoldo Tartarini.

Nello stand Ducati in tale occasione c’era anche la nuova Pantah, che catalizzava tutte le attenzioni, mettendo in ombra le due monocilindriche. Taglioni si batté con vigore perché queste ultime fossero messe in produzione ma la direzione generale qualche tempo dopo decise che il progetto sarebbe stato cancellato definitivamente.

Da allora in poi di mono di serie a Borgo Panigale non se ne è parlato più. Solo all’inizio degli anni Novanta è apparso un nuovo monocilindrico, ma era destinato alle competizioni dei Supermono.

 

La passione era forte però e, nonostante le decisioni commerciali, qualcosa è stato fatto ancora, magari “in camuffa”, come dicono da quelle parti.
Il risultato è stato un mono realizzato con uno schema costruttivo assai simile al prototipo Ducati di 350 cm3 con cinghia dentata posta sul lato sinistro.

I disegni sono stati tracciati a Bologna e il primo prototipo è stato assemblato in via Signorini (guarda caso, dove si trovava la NCR). Si trattava della spagnola MTV (Mototrans Virgili) Yak 410, che è stata presentata nel 1979 e che della monocilindrica bolognese manteneva la corsa e la distribuzione desmodromica monoalbero. Di questa moto e della sua storia sfortunata abbiamo già parlato con maggiore dettaglio tempo fa.

Qui basterà ricordare che purtroppo la cinghia dentata veniva fatta lavorare in bagno d’olio e non a secco. Questo ha creato seri problemi, che si manifestavano dopo percorrenze ridottissime.
Eppure la ditta alla quale si erano rivolti Farnè e Cavazzi aveva assicurato una ottima affidabilità e una durata più che adeguata di questo componente anche in bagno d’olio.
Evidentemente quella azienda di modeste dimensioni, che operava nel campo delle forniture industriali, non si rendeva conto delle sollecitazioni che si incontrano nell’impiego motociclistico.
O forse qualcuno si è semplicemente sbagliato.

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