MV, Giovanni Castiglioni: "Pronto a ripartire, la partnership con Mercedes non è mai iniziata"

MV, Giovanni Castiglioni: "Pronto a ripartire, la partnership con Mercedes non è mai iniziata"
In una lunga intervista, il presidente di MV Agusta racconta l'insuccesso della partnership con Mercedes, mai realmente interessata a sviluppare il brand italiano, nemmeno avendo la possibilità di ottenere il controllo dell’azienda. E ci anticipa gli sviluppi futuri della società e della produzione
1 giugno 2016

«La partnership con Mercedes è cominciata male e sta finendo peggio». È una considerazione amara quella di Giovanni Castiglioni, il presidente e maggiore azionista di MV Agusta. Lo abbiamo incontrato nel suo ufficio a Schiranna. La casa varesina, dopo l'entrata in società di Daimler Mercedes AMG con una quota del 25%, sta attraversando un periodo critico. Si è arenata la proposta di ricapitalizzazione di inizio anno, e successivamente è stato richiesto il concordato preventivo. Una procedura, quest'ultima, utile al congelamento dei debiti con i fornitori e al parallelo superamento della crisi di liquidità contingente.

«Nel 2015 MV è cresciuta del 30% nella vendita alla rete - spiega Castiglioni tracciando il quadro della situazione -  invece, nel sell out, nell'immatricolato, la crescita è stata del 22%. Questa differenza ha allungato i tempi di incasso, che sono passati dai 65 giorni medi che avevamo nel 2013 ai 200 giorni dell'anno scorso. Il che ha rallentato di conseguenza il pagamento dei fornitori».

 

Nonostante il fatturato sia cresciuto in maniera importante, sono però saliti anche investimenti e debiti: cosa non ha funzionato?

Fare impresa in questo paese è molto difficile e farlo nel nostro settore che ha bisogno di molti capitali lo è ancora di più. Anche avere accesso al credito è sempre complicato e faticoso

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«Fare impresa in questo paese è molto difficile, e farlo nel nostro settore, che ha bisogno di molti capitali, lo è ancora di più. Anche avere accesso al credito è sempre complicato e faticoso. Va detto che noi non facciamo semplice assemblaggio, ma produciamo e disegniamo tutto dalla freccia alla biella. Siamo passati da tre modelli iniziali a 21, fra versioni e varianti. La piattaforma a tre cilindri ha rappresentato l'investimento più importante, 20 milioni soltanto per il motore, e il progetto è iniziato nel 2007. Vi racconto una storia esemplare. Qualche tempo fa siamo state una delle tre aziende ammesse a un bando italiano che riguardava progetti speciali, nello specifico per il motore tre cilindri. Avremmo dovuto ottenere circa 15 milioni in tre anni: non abbiamo visto nulla».

 

Come si è arrivati alla situazione attuale?

«Per inquadrare questa complessa fase è bene ricordare che abbiamo rilevato MV da Harley-Davidson nel 2010, quando la produzione era di 2.000 moto, il fatturato di 30 milioni di euro e la perdita di 50. Quando, nel 2008, avevamo venduto noi alla Harley-Davidson, quest'ultima aveva un bel piano di espansione. Piano che purtroppo ha risentito del pieno della crisi economica, soprattutto nella terra della casa madre americana. Tanto che in Harley decisero di dismettere tutto ciò che non fosse nel core business. (MV Agusta, ma anche Buell, ndr).

«MV è rimasta in vendita per diversi mesi, da Eicma 2009 sino alla fine del 2010, ricevendo parecchie offerte sia da parte di gruppi industriali sia di fondi, come ad esempio TPG (la stessa Texas Pacific Group che a suo tempo aveva rilevato Ducati dai Castiglioni nel 1998, ndr). Ma i soli che hanno creduto nelle possibilità di rilancio di MV siamo stati noi. Nei confronti di Harley-Davidson avevamo un credito, risalente al primo acquisto, di circa 80 milioni. Nel rilevare MV ne abbiamo ricevuti 20, soldi che sono stati interamente rimessi nell'azienda. Anche se in realtà ne sarebbero serviti almeno un centinaio per rimettere le cose a posto».

«Dopo la morte di mio papà sono stato affiancato da Massimo Bordi (ex numero uno Ducati ai tempi della proprietà Castiglioni, ndr). Dai costi fissi di tre milioni al mese siamo scesi a 1,2 con un'opera di razionalizzazione. Le risorse sono state indirizzate pesantemente nella Ricerca e Sviluppo: dal 2010 al 2015 abbiamo investito circa 80 milioni di euro, significa il 30% del fatturato. Tantissimo, ma non c'era altra soluzione per crescere, e infatti in cinque anni siamo saliti da 30 a 100 milioni di fatturato, da duemila a 8.500 moto prodotte. Adesso è facile dire “avete investito troppo”, però cinque anni fa si diceva che non avevamo una gamma completa...».

Facciamo un passo avanti, nel 2014 è diventato vitale l'ingresso di un socio, Daimler (vedi l'intervista video rilasciata a Eicma 2014). 

 

Perché proprio Mercedes?

Nel 2014 c’era bisogno di nuovo capitale e di trovare nuovi soci che mi affiancassero. Tra i tanti, i più interessanti erano gruppi indiani e cinesi, ma MV era un marchio da tutelare. Ho trovato in Mercedes un partner perfetto

«Nel 2014 c’era bisogno di nuovo capitale, e di trovare nuovi soci che mi affiancassero. Tra i tanti, i più interessanti erano gruppi indiani e cinesi, ma MV era un marchio da tutelare. Ho trovato in Mercedes un partner perfetto, perché l’azienda MV Agusta cresceva ma non così tanto in proporzione agli investimenti fatti. Quindi servivano maggior brand awareness e una rete distributiva più forte.

Con Mercedes, questi problemi potevano essere risolti: bisognava far conoscere il marchio fuori dal mondo moto. Entrando nelle vetrine di Mercedes avevamo visibilità al fianco di un marchio di prestigio. Se guardavo ai miei concorrenti, notavo che Audi comprava Ducati e BMW spingeva sulla sezione Motorrad. Mercedes ha scelto di avere il 25% di MV Agusta, pur sapendo che si trattava solo di un accordo commerciale e di marketing, perché preferiva comunque avere un piede dentro, per non ripetere l'esperienza negativa vissuta con Ducati, quando qualcun altro gliela aveva portata via.

 

«Purtroppo, però, con Mercedes la partnership non ha funzionato. Non è mai partita. Auto e moto non hanno nulla a che vedere anche a livello di dealer e lo stesso vale per alcuni sviluppi industriali e tecnologici. Le cose funzionano solo se fai parte al 100% della stessa azienda, e quindi puoi condividere realmente gli asset più importanti. 

Probabilmente siamo anche partiti con aspettative di partnership diverse. Io che la consideravo importante, loro come un investimento di marketing, cosa più volte dichiarata dalla stessa Mercedes. Ma di più Mercedes non era disposta a metterne... e Mercedes avrebbe potuto avere tutte le linee di credito che voleva. Avrei dovuto capire subito che per loro non era così strategico come invece pensavo».

 

Quando ha avuto segnali che qualcosa non stesse funzionando?

«Subito. Dal momento in cui Mercedes non voleva investire in modo importante nella società. Non solo, ma una parte importante  della quota di ingresso tedesca era composta da accordi di marketing e commerciali. Accordi che avrebbero potuto lanciare il brand awareness di MV nel mondo. La realtà è che a fronte di un piano di sviluppo che prevedeva la condivisione nel mondo di 360 punti vendita (AMG Performance, dove venivano esposte le MV vendute comunque attraverso la nostra rete), di cui oltre 100 nel 2015 e con altri 70 circa nel 2016, di fatto a oggi non siamo entrati nemmeno in un solo punto vendita AMG o Mercedes».
 

Può essere che a bloccare Daimler fosse la quota di minoranza, e che invece volesse il controllo della sua azienda?

«La partnership, che come Mercedes ha sempre sostenuto doveva trattare esclusivamente il marketing strategico, in realtà non ha mai avuto sviluppo. Non è mai nemmeno cominciata, e non so spiegarmene i motivi. La realtà è venuta fuori in maniera inconfutabile in questi ultimi mesi di trattativa, quando si trattava di ricapitalizzare l’azienda.
Da parte mia, la priorità resta l’azienda. Per questo ho dato carta bianca a Mercedes. Non mi interessava tenere a tutti i costi le redini dell’azienda, mi interessava che MV andasse avanti, e bene.

Ho offerto a Daimler, attraverso una ricapitalizzazione dell’azienda, anche di averne il controllo, ero disposto a mettermi da parte per dar loro l’occasione di investire e far sviluppare MV come merita. Ma l'operazione non ha avuto seguito, ribadendo il fatto che il loro investimento in società fosse solo volto al Marketing and Sales, e che le moto non fossero strategiche per il gruppo».

 

Se potesse ritornare sui sui passi, cosa farebbe?

«Tornerei al 2014, per cercare un partner capace di una strategia di sviluppo più a lungo termine».
 

È stato questo raffreddamento di Mercedes che ha provocato il cambiamento di alcuni manager MV, a fine 2015?

«Avevamo investito molto sulla rete, sulle filiali, sul progetto Brasile, per crescere a livello commerciale e sostenere le 15-20.000 moto all’anno, ben sapendo che sarebbe servito tempo per arrivare a quei risultati.

 

Con una visione diversa da alcuni manager e dei soci, ho però deciso che era necessario rivedere la strategia di sviluppo, perché già con la gamma attuale avremmo dovuto vendere di più

Con una visione diversa da alcuni manager e dai soci, ho però deciso che era necessario rivedere la strategia di sviluppo, perché già con la gamma attuale avremmo dovuto vendere di più. Quello che dobbiamo fare ora è concentrarci sul cliente tipicamente MV, quello che cerca il prodotto di più alto livello, e ho deciso che dovevamo dedicarci alla fascia premium. Non a caso le moto che vendiamo meglio sono quelle speciali e alto di gamma.

Dunque c’è la necessità di riposizionare l’azienda su un livello produttivo più basso e mirato, passando dalle 15.000 moto ipotizzate all’anno alle 7-8.000, perché contano i margini, non i numeri.
Per questo motivo sono stati tagliati i costi. Da settembre sono stati ridotti 50 posti di lavoro, è stato chiuso il progetto Brasile e portato in outsourcing tutta la parte legata alle corse. L'investimento in R&D quest'anno è sceso a 6,5 milioni di euro rispetto ai 18 del 2015 (per effetto di Turismo Veloce e nuova Brutale 800), per le corse ne spenderemo uno contro i quattro dell'anno scorso, con una WSBK in costante crescita nel top five. Serve a poter ripartire, avere marginalità e un business sostenibile che in un tempo ragionevole ci permetta di risanare i debiti nei confronti dei fornitori. Debiti che sono di circa 50 milioni di euro, fra pagamenti scaduti e in scadenza».

 

Si era prospettata anche la vendita dell'azienda. E' così?

«No, non è mia intenzione vendere MV e non ad uno straniero. Non voglio che un gioiello del nostro Paese venga snaturalizzato. In questo caso si sarebbe trattato di un passo indietro. Era fondamentale per la ripartenza di MV, nell'ottica di creare un brand upper premium, fare leva su tutti gli investimenti fatti in questi anni. Investimenti che avrebbero permesso di creare modelli alto di gamma e con dei numeri di produzioni più contenuti. Non avendo nemmeno più questa possibilità, l’unica soluzione rimasta era il concordato.

La priorità è la tutela dei creditori, quindi era necessario darsi un tempo per non fermare la produzione, e creare un piano di restructuring (ristrutturazione del debito, ndr). Piano fatto sia dalla parte finanziaria sia da quella strategica, all’interno del quale mi auguro di poter già portare un nuovo socio che condivida i miei stessi valori. Stiamo infatti già valutando varie possibilità, e sono certo che l’azienda avrà un futuro stabile. Entro fine luglio presenteremo un piano finanziario e industriale che dimostri la possibilità di creare una MV Agusta con le caratteristiche di esclusività e sostenibilità . Qualcosa di bello e ben costruito, ma non esageratamente di lusso».

 

Quindi ci saranno cambiamenti nell'arrivo dei nuovi modelli rispetto ai precedenti piani?

«Avevamo diverse piattaforme in sviluppo, che abbiamo deciso di fermare. C'è comunque il progetto del nuovo quattro cilindri, che prosegue e che arriverà presto privilegiando i modelli più richiesti, e quindi non per forza la F4. Per i prossimi due anni vedrete nuovi modelli di consolidamento della gamma attuale, a tre e quattro cilindri, e solo dopo ci sarà una nuova serie.
C'è spazio per un'azienda come la nostra, che possa soddisfare chi vuole il meglio: moto passionali, emozionali e ben rifinite. E a Eicma vi dico che ci saremo con alcune belle sorprese».

 

Ci saranno cambiamenti nei programmi sportivi?

«L'anno scorso siamo dovuti intervenire dopo che lo sponsor era fallito, ma ora con Andrea Quadranti, appassionato proprietario del team, le cose si sono sistemate. Credo che con la SBK vinceremo, ci metteremo un po' di tempo come hanno fatto tutti gli altri, ma ci arriveremo. Qualche soddisfazione ce la siamo già tolta fra supersport e superbike».

 

Come vede MV fra cinque anni?

«Preferisco guardare a come sarà fra cinque mesi. Soffriamo soltanto un problema contingente di cassa. Più in generale esiste un trend di customizzazione, di personalizzazione, di ricerca di qualcosa di diverso e speciale. MV deve continuare in quella direzione e in quello spazio, spingendo e migliorando quello che abbiamo».

 

Fra i possibili investitori interessati a MV sta circolando il nome dell'americana Polaris, che già controlla Victory e Indian. E' un'opzione concreta? Cosa ci può dire in merito a questa, o ad altre alternative? Significa che Mercedes cederà la sua quota?

«Stiamo valutando diversi investitori, tra cui fondi, family offices e gruppi industriali. Per quanto concerne Polaris, è un grande gruppo, ci conosciamo, sicuramente ci potrebbero essere molte sinergie concrete.
Su Mercedes stiamo discutendo il riacquisto della loro partecipazione in MV; dire che a questo punto un prosieguo della partnership sarebbe controproducente per entrambi sia abbastanza scontato. Vediamo di mettere insieme i vari pezzi del puzzle nei prossimi due mesi, e poi concentrarsi sul fare le nostre bellissime moto, degne di un glorioso marchio italiano che deve rimanere tale. Il nostro Paese ha già perso abbastanza patrimonio a livello di aziende e di marchi storici».