Nico Cereghini: “Café Racer e tradimenti”

Nico Cereghini:  “Café Racer e tradimenti”
Mode, gusti correnti, la moto che cambia. Queste moto così originali piacciono tanto anche perché si fa poca strada e allora si cercano nuove soddisfazioni. Ma scava scava e qualcuno mi fa notare che… | N. Cereghini
29 luglio 2014

Ciao a tutti! L’altro giorno ragionavo di Cafe Racer in compagnia. Ero ai bordi di una bella statale di mezza montagna, seduto all’ombra di una vite canadese davanti a una bibita fresca; c’erano due motociclisti al tavolo di fianco, le giacche sulla spalliera delle sedie, le nostre moto si annoiavano sui cavalletti laterali e faceva troppo caldo per riprendere la strada. “Che cavolo di moto è quella che usi?”. Spiegarsi non è stato facile. Perché tutti sappiamo che questo genere di moto, che molti definiscono Custom da “customer” in quanto modificate dal proprietario; ma che non sono le Custom alle quali siamo abituati, e non sono neanche trasformate dal motociclista, ma direttamente da un atelier o da una casa addirittura; queste Cafe Racer insomma, come preferisco chiamarle io, sono bellissime viste con il gusto corrente, ma sono scomode da far paura. Le selle ridotte all’osso, le posizioni di guida bislacche, le sospensioni dure e le geometrie spesso avventurose.

Nel mio caso, con la Nine-T, posso rassicurare i miei due nuovi amici: questa è una gran ciclistica, addirittura da sportiva se pensate che l’avantreno è quello della 1000RR, e dunque la guida tra le curve è fantastica, c’è da divertirsi davvero. Si però -è l’osservazione che emerge subito dopo- quanta strada puoi fare con una sella del genere? Poca strada. E del resto è qui il nocciolo della questione. Le Cafe Racer piacciono per tante ragioni: sono originali, sono diverse, hanno tanta personalità, emergono nella massa delle nuove motociclette. E se cominciano a diffondersi così tanto, e ancora di più si diffonderanno nel prossimo futuro, il motivo principale è questo: i motociclisti fanno sempre meno strada e un alto livello di comfort non serve a nessuno, basta una sella da fachiro.

I motociclisti fanno sempre meno strada e un alto livello di comfort non serve a nessuno, basta una sella da fachiro

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Anni fa, il motociclista appassionato lo distinguevi dai chilometri annui. Se uno faceva meno di diecimila km era fuori dal gruppo dei veri motociclisti. E le case, anche le giapponesi che inseguivano soprattutto le superprestazioni, si confrontavano con la BMW sulla strada del piacere di guidare curando l’ergonomia, le protezioni aerodinamiche, le sospensioni confortevoli per fare tanti chilometri senza soffirli. Ma tutto cambia: quanti possono permettersi oggi di fare ventimila o trentamila chilometri all’anno con quello che costa la benzina? E le gomme? Senza contare che più strada fai e maggiori probabilità hai di beccarti un automobilastro nella gamba o una multa salata per eccesso di velocità tra capo e collo. E se devo risparmiare chilometri e andare adagio cosa mi serve una carenatura o tanta potenza? Tanto vale cercare una moto che mi dia gusto a 100 all’ora. E i miei due amici sotto la vite canadese le capiscono tutte queste cose, si vede bene che sono due persone istruite e intelligenti; ma alla fine mi fanno notare sospirando che loro, a quello che predicava la BMW, ci credevano davvero. “Questi tedeschi! Dopo averci insegnato come si va in moto, adesso tirano una riga e azzerano tutto. La tua Nine-T sarà anche bella, anzi è bellissima, però ci fa incazzare un po’. Tradisce la nostra cultura e addirittura la Storia”.

Foto di Matteo Gebbia

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