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Ciao a tutti! Che moto era la Suzuki 750 Vallelunga? Era la derivazione pistaiola della GT stradale, la pacifica tre cilindri due tempi. Niente a che vedere con la TR da 148 chili che correva a Daytona con Sheene e Mandracci e viaggiava a 293 orari; questa era nata nel ‘73 in Italia per correre le 500 chilometri, allora di gran moda, contro le bicilindriche Laverda, Ducati e Guzzi. Espansioni, carena, codone con l’olio del miscelatore, 190 chili contro i 215 del modello di serie. Avrà avuto circa 75 cavalli, comunque più della concorrenza, e un gran difetto: non voleva piegare. Si può produrre, anche in piccola serie, una moto da corsa che non piega? Sì, se ti mancano le alternative come era allora per l’importatore Saiad di Torino. Fate caso al carterino sinistro del piatto puntine. Nella foto siamo (io e la Vallelunga) sul circuito omonimo per la 500 Km dell’ottobre 1973. Nella mia unica corsa con questa tre cilindri fui quinto in coppia con Vanni Blegi, e la gran larghezza del motore Suzuki e dei suoi coperchi laterali fu un bel problema. Il motore spingeva, la Vallelunga vinceva tanto con la coppia Sciaresa-Barzanti, ma era una guerra con i coperchi destro (dell’alternatore) e sinistro. E mi viene in mente un episodio di quella corsa che avevo dimenticato o che cercavo di dimenticare. Dopo la premiazione, i tifosi romani di Piccirilli mi cercavano ed erano piuttosto ostili.
Eravamo sul finale di gara e “Bundi” Sciaresa, in testa alla corsa con la Vallelunga, non poteva più spingere: fuori dalle curve la catena girava sulla corona. Era già capitato, ma questa volta la piccola Honda 500 Four dei romani Piccirilli-Pietrinferni, che andavano fortissimo, stava per riprenderlo. Fermarsi e sostituire i pezzi manco a parlarne, gara persa, allora Maurizio Zanetti, il direttore sportivo della squadra Suzuki, fermò Blegi e mi disse: “vai dentro tu e cerca di fare un po’ di casino”.
Per farla breve. Io raggiunsi la Hondina della Samoto e con la forza dei cavalli la passai, ma poi iniziai a perdere un po’ di tempo qui e là ostacolando il pilota. Vedevo agitarsi parecchie bandiere blu, quelle che invitano i doppiati a farsi da parte, ma mi convincevo di poterle ignorare. Vero, avevo effettivamente un paio di giri di ritardo, ma facevo finta di credere di essere nel giusto. Li ho passati con le mie forze -mi dicevo- e se voglio vado più forte, che mi passino se ne hanno abbastanza per farlo. Ma non funziona così, naturalmente, e quando vidi che gli sbandieratori stavano diventando molto zelanti, fino ad entrare in pista pericolosamente vicino alle mie traiettorie agitando i bastoni, mollai la presa e lasciai che Tommaso Piccirilli andasse a vincere la sua bella gara.
Povero Tommaso: sarebbe morto all’ospedale di Bologna il 4 maggio del ’75, dopo una rovinosa caduta alla Piratella di Imola, con la Yamaha 350 e per colpe altrui. Aveva la mia età, era di Colleferro, era molto veloce e promettente. Era anche educato e signorile, più dei suoi tifosi che mi cercavano nel paddock.
Erano proprio molto arrabbiati, quasi quanto –fatte le debite proporzioni- i tifosi di Valentino contro Marquez. E pensare che io, se anche quella volta ero stato un po’ scorretto, lo avevo fatto per aiutare un mio compagno di squadra e non altri. Ma insomma, quando dico che Rossi e Marquez devono provare a superare il brutto finale della stagione 2015 e cercare una sorta di intesa, è proprio a questo che penso: nel motociclismo se ne sono viste di tutti i colori, da sempre, e i nostri due eroi sanno entrambi di cosa si parla avendo avuto una bella serie di esperienze di questo tipo. Si potrebbe partire da qui: chi è senza peccato?