Nico Cereghini racconta gli anni Settanta. Un periodo mitico del motociclismo, tanto che le moto di allora sono ancora le più richieste. Nella terza puntata: Ancillotti e Gori, l’Endurance di Godier e Genoud, Lucchinelli e... | N. Cereghini
Dopo la Honda 750 Four, arrivò un’altra quattro cilindri giapponese per tutti favolosa: la Z1 900 della Kawasaki. Avrebbero voluto stupire il mondo con una 750, la Honda li aveva battuti sul tempo, e allora i progettisti Kawasaki si presero una bella rivincita: a Colonia, autunno 1972, trovammo una bellissima motorona, una 900 da 250 chili con i pieni, che si rivelò una bomba da 82 cavalli e 212 orari; la distribuzione del motore 903 era bialbero e non monoalbero come la Honda! Bella no? Bella ancora oggi. Divenne famosa per la sua potenza, ma soprattutto per la coppia e per l’affidabilità. Un motore brillante, una ciclistica ancora un po’ scarsa, ma non certo paragonabile a quella delle Mach 3, e quel 900 è finito sui telai da corsa come quello dello svizzero Egli, ha dominato l’Endurance per tanti anni, nessuno lo batteva.
Godier e Genoud
Godier e Genoud sono stati i campioni delle maratone da 24 Ore per tre stagioni consecutive, primi anni
Settanta; George Godier era un preparatore francese, un rosso segaligno, mentre Alain era svizzero e prima di correre faceva il pasticciere. Erano veloci, li ho visti da vicino, ma erano soprattutto intelligenti: bella squadra, pochissime cadute, tanto rispetto per la meccanica, un’altissima percentuale di vittorie. Due Bol d’Or di fila: la celebre 24 Ore di Le Mans, nel ’74 e ‘75. Allora si correva in coppia, due piloti soltanto, mica tre come oggi: non si dormiva mai, meno di un’ora di tregua e poi ancora in sella. Ci voleva il fisico, ma soprattutto bisognava avere la voglia di soffrire.
Maxi-moto made in Italy
In Italia sbocciavano le maxi-moto, le abbiamo viste, ma ricordo anche moltissimi cinquantini a due tempi che riempivano di fumo le città: Aprilia, Beta, e Fantic Motor di cui parleremo in seguito, Gilera, Itom e Malanca, Mondial, Testi e Cimatti e Malaguti; le fiorentine Ancillotti-Scarab e Gori, che per prime montarono il motore Sachs sulle Regolarità 50¸e poi l’Aspes, la Guazzoni. Tu decidevi: sport con il manubrio bassissimo oppure fuoristrada: compromessi ce n’erano pochi. Oppure andavi verso il fenomeno Piaggio: o il Ciao o la Vespa 50 Special.
C’era un gran bel fermento, anche se le vendite erano deboli. Il primo prototipo della Morini treemmezzo, capolavoro del mago Lambertini, apparve al salone di Milano del ‘71. Bella, e di grande successo, anche se mi colpì di più la Benelli Tornado 650 bicilindrica che invece finì in niente; seguita poi dalla serie delle
Nelle corse c’era un mito in fase calante, Agostini dopo il titolo ’75 con la Yamaha 500, e un talento in arrivo: Marco Lucchinelli
bicilindriche 2T e delle ambiziose quattro e sei cilindri di De Tomaso che azzopparono l’industria italiana. A me non sono mai piaciute: brutte copie delle Honda.
Marco Lucchinelli
Nelle corse c’era un mito in fase calante, Agostini dopo il titolo ’75 con la Yamaha 500, e un talento in arrivo: Marco Lucchinelli. Che il titolo mondiale l’avrebbe conquistato nell’81, ma che fin dal ’76 segnò quell’epoca per il suo modo di fare. Nessuno, fino a quel momento, aveva snobbato i miti del motociclismo con i fatti. E lui, che si era fatto le ossa in 250 e con me nelle 24 Ore con la Laverda, alla prima uscita in 500, a Le Mans, li mise in riga tutti fin dalle prove; tranne Barry Sheene che al quarto turno gli strappò la pole. Lucchinelli era già pronto per l’impresa al primo anno: fu poco fortunato, da subito un po’ troppo indisciplinato, si perse per un po’.
Barry Sheene
Certo non aveva la testa di Barry Sheene, uno che sapeva essere leggero e divertente senza perdere mai il controllo. L’inglese esordì con tre vittorie nella 125 con la Suzuki, e piacque tanto ai nippo da spingerli ad affidargli le loro belve nascenti: la 750 con cui vinse nel ’73 e poi la RG 500 dei due titoli mondiali: 1976 e 77. Che forza che era Barry! Purtroppo è morto troppo giovane, nel marzo 2003. Era Baronetto di sua maestà, aveva una moglie bellissima, parlava molte lingue,fumava come un turco, veniva alle corse in Rolls Royce e poi anche con l’elicottero. Spendeva, pareva anche troppo, invece era molto attento. Un Valentino anni Settanta.
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