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La prima Vespa PX 125 pesava… 700 chili
salone di Milano del ’77 c’era un gigantesco esemplare del nuovo scooter Piaggio. Che fece epoca: carrozzeria rinnovata, nuovi parafanghi, la forcella che affondava un po’ meno, 8 cavalli a 5.600 giri, quattro marce, 93 orari di velocità massima, promessi quasi 30 km con un litro di miscela al 2%. C’era anche la 200 E, al top di gamma con l’accensione elettronica, e pochi mesi dopo apparve anche la 150. Le tre PX sarebbero rimaste in produzione fino all’88 quando arrivò, fiore all’occhiello di una dirigenza bislacca per non dire peggio, la disastrosa “Cosa” che a momenti affossava la Piaggio. E posso vantarmi di aver detto che era una boiata fin dalla presentazione ufficiale, davanti al
Presidente.
Un protagonista degli anni Settanta veniva invece dalla Francia: Thierry Sabine. Si perse in Libia nel rally Abidjan-Nice, nel 1977, venne salvato in extremis, allora immaginò un rally raid che fosse sfida e sogno per tanti come lui: da Parigi, Algeri, Agadez fino a Dakar. E il 26 dicembre 1978 si parte per la prima Parigi-Dakar dal Trocaderò, 160 concorrenti, 10.000 km tra Algeria, Niger, Mali, Alto Volta e Senegal. Cyril Neveu (sconosciuto ventunenne) vince su Gilles Comte, entrambi con la Yamaha XT; e la prima auto, una Ranger Rover, è soltanto quarta nella classifica generale, che era comune. Un anno dopo ecco le grandi scuderie e i camion, e ancora Neveu, che fa il bis. Dalla terza edizione l’affollamento, quasi 300 mezzi, anche i Buggy, i sidecar, persino una Rolls Royce. Vince Hubert Auriol con la BMW 800, davanti a Serge Bacou con la Yamaha. Nella edizione del 1986 Thierry Sabine morirà precipitando in Niger con il suo elicottero e altre quattro persone. Il Rally però gli sopravviverà, anzi crescerà ancora fino ai
giorni nostri.
Il successo della Dakar, che da lì a qualche anno avrebbe contagiato anche l’Italia, era legato al fascino dell’avventura. In quel periodo era molto in voga parlare di grandi viaggi in ogni continente, c’erano programmi specifici anche in tivù. Fu per quello che la BMW uscì con la sua prima RT? Probabile, la R 100 RT, boxer 1000 abbondantemente carenata, 70 cavalli, 185 orari, 240 chili a secco, forcella da 36, tre dischi da 260, serbatoio da 24 litri. Brutta, vista oggi, decisamente sgraziata. Ma allora piacque, e soprattutto gratificò i turisti: andavi via a 170 senza nemmeno bagnarti se pioveva. Nel giugno del 1979, con lei viaggiai fino ad Assen, in giornata, per vedere il primo GP dell’era moderna.
Vidi trionfare Graziano Rossi in 250, e Lazzarini nella 50, e soprattutto Virginio Ferrari battere Sheene dopo un duello favoloso che la Rai trasmise nella sua prima diretta dall’estero. Fino a quel momento, soltanto il GP delle Nazioni passava live. L’ultimo giro della 500 fu da brividi, Ferrari aveva un cuore di leone, quell’anno fu secondo in classifica, tutto massacrato in voli ad alta velocità. Il re della 500 invece veniva direttamente da Marte: era Kenny Roberts, classe 1951, detto appunto il marziano anche se era di Modesto, California. Nel ’74 aveva esordito in 250, solo Assen, e pochi lo ricordavano. Con la Yamaha 500 GoodYear giallo-nera tornò bellicoso nel ’78 e vinse subito, spodestando Barry Sheene, e fu quarto nella 250. Poi si sarebbe concentrato sulla mezzolitro dominando anche le due stagioni successive. Kenny, che fenomeno! Dislessico da ragazzo, faticava anche a leggere, ma un genio. Il primo a usare uno slide fatto in casa, uno che studiava le cose, ancora oggi un fenomeno dell’intraversata, una vera forza della natura.