Nico Cereghini ci racconta la storia delle Honda CBR

CBR è una sigla di quelle che contano, in Casa Honda. Tre lettere che hanno fatto, e continuano a fare, la storia del marchio giapponese | N. Cereghini
24 giugno 2011

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CBR è una sigla di quelle che contano, in Casa Honda. Roba degli anni Ottanta: era appena uscita nell’86 la VFR 750 che era una meraviglia, ma la concorrenza spingeva, molti motociclisti continuavano a preferire il quattro cilindri in linea e la grossa CB 1100 non bastava più. Serviva qualcosa di analogo, per impatto e originalità, alle prime CB Four degli anni Settanta.

1987, ecco allora le due prime CBR, 600 e 1000, Hurricane negli Usa: motori a quattro cilindri, bialbero 16 valvole, telai perimetrali in acciaio, linee sigillate; moderne, affascinanti, però più stradali delle GSX-R 750 e 1100 della Suzuki o con la GPZ 1000 Kawasaki. La 600 ebbe più successo: con oltre 75 cavalli fu subito vincente sulla Kawa GPZ 600 R; la 1000, con 130 cavalli, era veloce, abitabile, comoda, stabile però pesante da guidare. Honda, allora, puntava sulle prestazioni a misura d’uomo. Nel ’91 la piccola fu rivoluzionata: motore più compatto, ancora più superquadro e potente (corsa più corta e 1000 giri in più), quattro chili in meno e quasi nove cavalli in più. E poi la ciclistica reattiva, agile, forcella da 41, cerchi in lega, pneumatici ribassati, adeguata al mercato.

Ma nel ’92 arriva la Fireblade, la CBR 900 RR. Quella sì fu un colpaccio: era leggera, leggerissima, soltanto 2 chili più della 600, e al primo test ci entusiasmò; aveva telaio d’alluminio, ruota anteriore da 16, 128 cavalli. Non facilissima da guidare, corta e alta, ma il simbolo delle CBR. Per undici anni sarebbe stato il riferimento tra le supersportive: 919 cc dal ’96, con il radiatore curvo; ridisegnata due anni dopo; 929 cc dal 2000, quando raggiunse i 150 cavalli con l’iniezione elettronica, la forcella rovesciata e soprattutto la ruota anteriore da 17 e i dischi più grandi. Gran moto, come del resto l’ultima versione del 2002, 954 cc, 154 cavalli e 168 chili a secco. Solo nel 2004, arrivò la CBR 1000 RR progettata dal team della MotoGP.

 

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Rivoluzionaria l’edizione 2003 sulla scia della MotoGP di Rossi: serbatoio sotto la sella, grande air box, scarico alto, enorme forcellone d’alluminio

 

Nel frattempo, la 600 RR era sempre cresciuta, affermata nel mondo con 250.000 pezzi venduti; nel ’99 aveva ricevuto il telaio d’alluminio e il forcellone imperniato sul carter motore, nel 2001 l’accensione elettronica, nel 2002 era stata proposta anche in versione Sport per le competizioni e il francese Foret vinse il mondiale Supersport: primo titolo dei sei conquistati dalla Honda. Rivoluzionaria l’edizione 2003 sulla scia della MotoGP di Rossi: serbatoio sotto la sella, grande air box, scarico alto, enorme forcellone d’alluminio. E quasi 104 cavalli alla ruota, e 265 orari.

Ma torniamo alla CBR 1000 RR del 2004: il motore 998 era più compatto e potente del 954; carburante sotto la sella, forcella rovesciata, forcellone lunghissimo per aumentare la trazione, rivoluzionario ammortizzatore di sterzo elettronico HESD. E’ la moto che Ten Kate ha portato al mondiale Superbike fino a conquistarlo, nel 2007, con James Toseland. 999 cc dal 2008, con le valvole al titanio, 178 cavalli a 13.000 giri, frizione antisaltellamento e scarico basso; e dal 2009 ha anche l’ABS combinato, il primo sistema visto sulle supersport.

Possiamo considerare CBR anche le mono 125, 200 e 250 costruite in Tailandia? Sì, solo commercialmente però; e sono CBR la 250 e la 400 a quattro cilindri a suo tempo proposte sul mercato giapponese. E addirittura è CBR anche la 1100 XX Super BlackBird del ’96, che per tre anni fu la moto più veloce del mondo.

Oggi, 2011, top di gamma la 1000 RR Fireblade e in coda la 250 R monocilindrica; nel mezzo la 600 RR e la nuova CBR 600 F: base la Hornet 600 e carenatura studiata in galleria del vento; confortevole, elastica, godibile tutti i giorni, con l’ABS, abbordabile.

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