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Ciao a tutti! Il dominio Ducati in MotoGP, quest’anno addirittura schiacciante, solleva entusiasmo e anche critiche più o meno comprensibili (più meno che più), come capita sempre a chi vince tanto o troppo. Dopo aver superato le cento vittorie e le cento pole position nella top class, conquistato il titolo costruttori per la sesta volta (quinto di fila dal 2020) e assicuratosi il terzo titolo piloti consecutivo, Borgo Panigale è in cima al mondo.
Abbiamo accennato tante volte al vantaggio del metodo Ducati: con Gigi Dall’Igna si è arrivati all’evoluzione veloce e continua della moto in stagione, un modo di lavorare che le case giapponesi semplicemente non prevedevano. Per tanti anni Honda e Yamaha, leader mondiali e mattatori dei GP, facevano diversamente: presentavano la moto nuova all’inizio della stagione e poi la toccavano soltanto dopo i rigidi e lunghi test delle nuove componenti.
Ma c’è di più. Ducati ha anche il merito di aver saputo investire nelle corse energie e risorse inedite in tutte le direzioni. Già nel 2008 Claudio Domenicali mi guidò in un giro del reparto corse che non dimenticherò: avevo un mal di gola micidiale dopo il viaggio in moto col freddo di marzo, ma soprattutto scoprii che il reparto “elettronici” era enorme. Non avevo mai visto tanti specialisti al lavoro sull’elettronica. E Ducati negli anni si è portata avanti a tutti nell’hardware, nei software e nei programmi di simulazione. Oltre a tutto il resto. Ci ha creduto, fermamente.
Sono cicli, naturalmente. E forse i nippo si sono seduti sugli allori: la concorrenza della MV Agusta è ormai nella preistoria dei GP e negli anni Ottanta e Novanta l’unica Italia che incrociavano in 500 era rappresentata dalla Cagiva. Romano Albesiano, ora in procinto di passare alla direzione tecnica Honda HRC, conosce bene gli sforzi che a Schiranna tutti facevano con enorme passione e con un budget risicatissimo. E lui non ha vissuto l’esordio di Virginio Ferrari nel 1980, il primo punto iridato con Ekerold nell’82 seguito da tanti anni bui, il test di Kenny Roberts nell’86, il primo podio con Mamola nell’88.
Romano era in Cagiva quando arrivò Eddie Lawson nel ‘91 e poi quando, a dodici anni dall’esordio del 1980, arrivò la prima vittoria nel luglio del ‘92 all’Hungaroring, bissata da Kocinsky l’anno dopo a Laguna e poi a Eastern Creek nel ‘94. Il ritiro arrivò purtroppo sul più bello: John concluse terzo nel mondiale, a due punti dal secondo, Cadalora. I Castiglioni - proprio quei Castiglioni che salvarono la Ducati alla fine degli anni Ottanta e la rilanciarono con la Monster e la 916 - si arresero: il gioco era diventato troppo costoso.
Abbiamo sofferto per tanti anni, lo dico per gli appassionati della nostra generazione. Ora godiamoci questa fase: l’era Ducati riscatta, tra le altre cose, anche le fatiche della Cagiva di tanti anni fa. E un po’ di sano nazionalismo non può fare che bene.