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Ciao a tutti! La Dakar scalda i motori e ricordo con un po’ di nostalgia quando la partenza era a Parigi il primo giorno dell’anno: da Versailles prima, dal Trocadero poi. Si andava lassù qualche giorno prima, si facevano le interviste ai protagonisti e a tutti gli italiani e noi di Mediaset andavamo a montare i primi servizi alla Cinq, che era di Berlusconi anche se non si doveva sapere. Poi si cercava un ristorante per un minimo di cenone (tra colleghi) il 31 dicembre.
Il primo gennaio era una bellissima festa e sembrava che tutta Parigi partecipasse. Un po’ triste come sia finito il Rally più luccicante della storia: sempre gara resta, naturalmente, sempre molto tosta e combattuta. Ma confinata com’è in un solo Paese, in Arabia Saudita, mi pare un po’ una star in ostaggio, come se la MotoGP corresse le sue gare chiusa nei confini della Spagna o in Malesia.
E mentre aspettiamo le prime cronache del nostro Piero Batini, i riflettori restano puntati sugli eventi che l’hanno anticipata, in particolare sulla presentazione delle due moto che attingono al mito. Le conoscete bene tutti, ormai, perché hanno fatto molto parlare: la Lucky Explorer Project 9.5 vista ad Eicma e la Ducati DesertX presentata sul web il 9 dicembre scorso.
E’ un curioso fenomeno: le due novità sono arrivate quasi in simultanea con una particolare contaminazione. La prima, la proposta MV, nasce a Schiranna dove furono concepite e realizzate le Cagiva Elefant del mito, volute dai Castiglioni e da Azzalin. Cagiva ed Elefant sono due marchi che per motivi legali non si possono citare, ma la genesi è precisa: quelle erano le moto che hanno vinto due volte con Orioli, che hanno stupito il mondo con i 207 all’ora di Ciro De Petri sulle piste più compatte del Sahara, che hanno reso leggendario Auriol e fatto di Terruzzi un personaggio. E che erano notoriamente motorizzate con il bicilindrico Ducati, perché Cagiva e Ducati erano allora sotto lo stesso ombrello.
E così succede che la MV ha la tradizione giusta (e un magnifico progetto basato sul nuovo tre cilindri 900) ma ha il motore storicamente “sbagliato”, mentre la seconda novità, la DesertX della Ducati, ha il motore giusto ma la carta d’identità sbagliata. E immagino che lo stesso Edi Orioli, il pilota che ha dato al Paese le prime vittorie di un pilota italiano alla Parigi-Dakar e per giunta sulla moto italiana, non sappia più da che parte girarsi. Quando gli viene la voglia di rivivere le sue memorie non può guardare una sola replica coerente. Ne ha due, e un po’ sfuocate.
Sono sofismi, intendiamoci. Dopotutto hanno entrambe tanto fascino e destinazioni diverse, nonché tempi di arrivo diversi. Il pubblico le premierà come al solito in misura imprevedibile: noi motociclisti scegliamo il nostro oggetto del desiderio in tanti modi, puntiamo sulla moto ideale seguendo sensazioni e istinti che gli esperti di marketing faticano a prevedere con precisione.
Alla fine non sarà il fascino della Storia a guidare la scelta. Però la Storia resta. E mi rendo conto che un po’ è assurdo -perché è giusto che le strategie imprenditoriali e commerciali seguano la loro strada- ma ho la fastidiosa sensazione che la Storia sia stata tradita. Pazienza, me ne farò una ragione.