Nico Cereghini: “L’Endurance, che grandi emozioni!”

Nico Cereghini: “L’Endurance, che grandi emozioni!”
Qualcuno non la capisce proprio e la snobba, ma la 24 Ore in moto è qualcosa di speciale. Il GP è adrenalina, ma l’Endurance è vera poesia | Nico Cereghini
3 agosto 2010

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Ciao a tutti. Recentemente, cazzeggiando tra ex piloti, qualcuno ha tirato in ballo il discorso dell’Endurance, esprimendo la sua totale incomprensione rispetto alle 24 Ore e compagnia bella. “Guidare di notte, tutto quel tempo, e magari riportare la moto ai box, se si ferma, spingendola per mezzo giro: che roba assurda!”
A parlare così era un romagnolo, uno che ha corso in tutte le classi e che ha vinto diversi GP in 250. Un tipo in gamba, ma che quando si mette in testa una cosa non c’è verso di fargli cambiare idea. Figurarsi se potevo convincerlo io, che ho corso una decina di 24 Ore, ma che in GP ho fatto al massimo quattro podi nelle gare di 500 in Italia.

Sono rimasto sorpreso: non avevo mai immaginato che un pilota potesse detestare l’Endurance.
Forse perché ai miei tempi, anni Settanta, pur di correre si era pronti a fare tutto. E piloti come Bonera, Mandracci, Lucchinelli, Ferrari, Gallina, i fratelli Sarron, Patrick Pons, Rougerie, Baldè saltavano dalla GP alla 1000 delle 24 Ore con lo stesso entusiasmo. Non ho sentito nessuno di loro dire “che palle”, tutti davano tutto e concludere la corsa era motivo di orgoglio.

Io ricordo ancora benissimo il mio primo Bol d’Or, a Le Mans con sessanta partenti.
Al via, tutti i piloti schierati spalle alla tribuna e le moto allineate al muretto box, mi giro e vedo una lapide: qui l’11 giugno 1955 morirono 83 spettatori per l’uscita della Mercedes di Pierre Levegh. In francais, ovvio. Cavoli, non mi sembrò di buon auspicio, eppure Giancarlo Daneu ed io riuscimmo a finire la 24 Ore con la Segoni-Laverda 750 che aveva le quote ciclistiche della MV di Ago però ballava nel curvone Dunlop al punto che un commissario, tutte le volte che mi vedeva arrivare, si riparava dietro al guard-rail.

Più avanti mi sarebbe capitato di essere molto più competitivo a Le Mans e di sfiorare la vittoria alla 24 Ore di Francorchamps, secondo con la 1000 Laverda ufficiale e Gallina, ma quella prima gara resta indelebile in tutti i dettagli, potrei dire giro dopo giro. Il nuovo serbatoio in vetroresina si squagliava, i carburatori si sporcavano, il motore sputacchiava, si sarebbe fermato, e bisognava rientrare per la pulizia; molte soste tecniche, mai dormito davvero; Giuliano Segoni, che per finire la moto aveva lavorato l’ultima settimana giorno e notte, adesso si addormentava in piedi come i cavalli, il giovane meccanico Lelio saltava come un grillo, un amico geologo che aveva offerto il suo camper per la trasferta versava i caffè. Il motore cantava, quando i carburatori erano belli puliti. La fatica non si sentiva neanche. La notte, la nebbia, un po’ di pioggia, all’alba la felicità e ancora dieci ore da fare. Tutto per passione, neanche il rimborso spese, ma chi ci pensava, una piccola coppa per il penultimo posto, e subito via perché bisognava rientrare a Firenze con la Peugeot 404, il carrello, il camper. E Segoni e il geologo che si addormentarono al volante dopo cinquanta chilometri, Giancarlo ed io a prendere il loro posto dopo tutte quelle ore al manubrio.
La corsa di cento chilometri è adrenalina pura, ma la 24 Ore è l’essenza vera della moto. E’ la poesia.


Ascolta l'audio di Nico nel box in alto a sinistra.

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