Nico Cereghini: "La guida dolce piace anche alla moto"

Nico Cereghini: "La guida dolce piace anche alla moto"
Parliamo un po’ di guida della moto? Non per “sdottorare”, nessuno è professore, ma per conoscerci meglio e soprattutto per conoscere di più la nostra amata motocicletta. E sentirsi più sicuri | N. Cereghini
26 ottobre 2010

Punti chiave

 
Ciao a tutti. Oggi il tempo è grigio, l’asfalto è bagnato, e amaramente concludo che per fare due pieghe bisognerà aspettare. Mi pare il momento adatto per parlare di guida, tanto per ragionare intorno alla moto e capirla meglio. La guida su strada: quella dolce, quella dura, quella spezzata. Voi come guidate? Io di solito fluido, progressivo e rotondo. Cioè nel modo che definisco dolce, una guida anche brillante ma che lascia correre la moto. Guida dura è quella più muscolare e aggressiva sul manubrio, spezzata è quella tutta on-off e che spigola le traiettorie.

Il mio passeggero (reale o virtuale che sia) non ha bisogno di aggrapparsi con forza alle maniglie. Faccio come se trasportassi una pavida vecchietta, e alla fine dovessi scodellarla sotto casa con la pressione in ordine. Però devo anche divertirmi. Provo a scendere nei dettagli. E’ una questione di utilizzo del motore e della ciclistica, prima di tutto, e poi di traiettorie. Oggi metà puntata, alle traiettorie ci arriveremo la prossima volta.

 

Faccio come se trasportassi una pavida vecchietta, e alla fine dovessi scodellarla sotto casa con la pressione in ordine

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 Siamo in strada, parliamo di percorsi turistici ideali, magari collinari, un misto medio-veloce. Non faccio girare tanto alto il motore: cambio marcia appena la successiva risponde bene. Se guido una grossa bicilindrica turistica mi mantengo tra i 3.500 e i 4.500 giri; se invece è una quattro cilindri un po’ pepata, allora devo tenerla su regimi più alti. Provo a generalizzare: nel passaggio dalla terza alla quarta il mio motore deve riprendere bene, senza vuoti di erogazione; bisogna che lavori, insomma, sopra il 50 per cento della coppia massima. Seconda, terza e quarta sono le marce che uso di più. E ogni accelerazione è progressiva: poco gas subito, poi di più.

Tra una curva e l’altra, preferisco inserire una marcia in più piuttosto che una in meno. Chi tiene dentro tutta la seconda o la terza e poi fa urlare il motore in decelerazione è da squalificare. Io lo sfrutto, il freno-motore, eccome: ma cerco piuttosto di valutare a quale velocità andrà impostata la prossima curva, e provo ad arrivarci a quella velocità scalando le marce nel mio range di giri, e senza toccare i freni. Se poi ho sbagliato un po’ le misure e sono lungo, allora li accarezzo per decelerare, se occorre anche fino alla corda. Qualche volta mi capita di sfruttare il freno posteriore su tutta la traiettoria, come fanno certi piloti in pista, perché così la moto tiene una linea più interna.

La frenata è fondamentale: chi vuole guidare dolcemente ha sempre il dito sulla leva destra del manubrio, ma non si attacca mai ai freni. Li chiama con progressività. Non da zero a tutto, ma da zero al 10 per cento, poi 20, 40 e più su se serve. Decelerazioni lunghe.
La guida dolce non è per chi cerca i record. Se fate così, la moto resta pari, non si accuccia davanti in frenata e non si schiaccia dietro in accelerazione: insomma, i trasferimenti di carico sono limitati al massimo, e questo è importante perché con la geometria stabile la moto è sempre più sicura. E agile.

Ascolta l'audio integrale di Nico nel box in alto a sinistra.

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