Nico Cereghini: “Il primo riparo dall’acqua”

Nico Cereghini: “Il primo riparo dall’acqua”
Un quarto d’ora sotto la pioggia torrenziale e, per quanto ben attrezzato, finisco a mollo. Non c’è difesa contro i fenomeni meteo straordinari, ma possiamo difenderci almeno da noi stessi…
31 maggio 2016

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Ciao a tutti! Ieri sono finito sotto l’acqua, un acquazzone di quelli che non lasciano scampo anche se sei attrezzato di tutto punto. Prima di arrivare a destinazione, e parlo di quindici minuti di trasferimento in condizioni normali, ero già zuppo fino alla biancheria. Ero uscito dal box che il cielo era nero e minaccioso, dunque preventivamente vestito da pioggia con giacca tecnica e sovra pantaloni. Ma non è bastato: la bomba d’acqua, come si dice adesso, è venuta giù così improvvisa e violenta da allagare in pochi minuti quasi tutta la città.
 

Come prima reazione ho cercato, appunto, un riparo. E lì ho commesso il classico errore del motociclista, lo sbaglio che quasi tutti voi conoscete benissimo: quando ti prende l’attacco di perfezionismo. Quella tettoia sì ma è un po’ piccola, per ripararmi sotto quel balcone devo salire sul marciapiede e mi secca, sotto quel riparo c’è già una coppia con lo scooter, vedrai che trovo presto un posticino adeguato a tutte le mie necessità. Vi sarà successo magari in autostrada: attacca a piovere forte e il primo ponte è un po’ affollato, il secondo già un po’ allagato, aspettiamo il terzo che magari la pioggia cala, alla fine beh, ormai siamo bagnati, tanto vale raggiungere il primo autogrill.


Ieri, i piedi si sono bagnati subito dopo le mani. Non ci sono stivali che tengano quando a terra l’acqua è così alta che le ruote, quando ci entrano, sollevano spruzzi da motoscafo. Io provo ad alzare i piedi belli alti, fino al livello del serbatoio quando vedo la pozza, ma le auto che incrocio se ne fregano, ad alzare i piedi non faccio in tempo e loro, lo sapete bene, ci innaffiano senza riguardi. Poi ho sentito l’umidità salire dai polsi. Per forza, anche se il polsino è chiuso a dovere, un po’ d’acqua filtra comunque se la pioggia viene giù con tutta questa violenza.


A quel punto già ci vedevo poco. Il mio casco integrale permette di tenere la visiera aperta di quei cinque millimetri, sufficienti di norma per non farla appannare. Ma contro i fenomeni estremi anche questo non basta più e mi è toccato procedere con la visiera praticamente spalancata. Avevo la faccia e la barba bagnate e ho cominciato a sentire il rigagnolo dietro il collo, ahi ahi il preludio dell’ultimo stadio: le palle a mollo.


Ogni pantalone antipioggia, per quanto termosaldato in ogni cucitura, ha una sua precisa autonomia. Per un tot tiene bene – e la durata ovviamente dipende dalla quantità d’acqua che vien giù - poi cede di colpo e la zona inguinale comincia a protestare per l’umidità crescente. Una sola tuta, che io ricordi, era davvero ermetica per ore anche in quell’area: la mitica Rukka di una volta, quella intera e lucida degli anni Ottanta. In compenso era fatta in pvc, o comunque di un materiale plastico senza il minimo microporo, traspirava zero e arrivavi a destinazione sudato fradicio. La Rukka ti illudeva e poi ti fregava peggio. Buttata.


Arrivato sull’obiettivo ero io da buttare, eppure sorridevo per quello stupido orgoglio un po’ malato, quel narcisismo che ci fa pensare “però, che fighi che siamo noi motociclisti, niente ci ferma!”. Pochi minuti dopo, mentre mi sfilavo la roba fradicia di dosso e mi cacciavo in gola trenta gocce di propoli a scopo precauzionale, sopravveniva un minimo di autocritica: forse era più furbo fermarsi al primo riparo, anche se faceva un po’ schifo.

Nico Cereghini - Il primo riparo dall’acqua
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