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Ciao a tutti! Quando uno si chiama Gritti e viene da Vertova in Val Seriana, Bergamo, io mi metto sull’attenti. Troppo forte quel nome nella mia e nostra storia: Alessandro Gritti, classe 1947, è una delle leggende della Regolarità e della passione nazionale. Ci brillano gli occhi a ricordare le sue imprese.
Ora il figlio della leggenda - che ha 42 anni e si chiama Giovanni come lo zio paterno - fresco di Dakar dichiara: “Mi hanno rubato un sogno: la Dakar che sognavo io era quella di De Petri, Terruzzi, Orioli, quella di tanti privati come Winkler. Era fatta di tre cose: romanticismo, avventura e gara. Ora resta solo la gara”.
Non è un ragazzino, Giovanni, ha fatto mille esperienze nell’enduro, nei rally, è stato campione italiano ed europeo, ha corso l’Africa Eco Race e poi buon sangue non mente. C’è da credergli sulla parola, e da lì prendo l’ispirazione per andare anche più avanti.
Il Rally che era il più famoso e il più duro è cambiato tanto per necessità. È proprio il mondo che è cambiato: le guerre sono dappertutto, le armi in ogni angolo, le ideologie sono radicalizzate e sono vertiginosamente aumentate le differenze. In Africa sarebbe impensabile tornarci, in Sud America per altri versi pure. E siamo cambiati anche noi.
Come suggerisce Lo Presti su FB (libreria dakariana), un tempo si andava a correre la Dakar proprio perché dura e pericolosa mentre oggi a quelle condizioni andrebbero pochissimi piloti, il business non starebbe in piedi. E poi anche gli spettatori sono cambiati: oggi si preferiscono le storielle alle grandi sfide, gli influencer ai veri campioni…
Mark Lo Presti (che per ora non conosco) continuerà a seguirla, spera soltanto di annoiarsi un po’ meno in futuro, e aggiunge che se i piloti hanno spinto negli anni perché l’esperienza diventasse sempre più comoda noi, gli spettatori e soprattutto quelli anziani, “vorremmo assistere ogni volta a uno spettacolo di sadismo, perché questo è esattamente il ricordo che ne abbiamo”. E lì non lo seguo più, macchè sadismo.
Io sono con Gritti. Forse il “romanticismo” di cui parla il bergamasco è roba passata, forse Giovanni ed io siamo un po’ ingenui e preferiamo semplicemente continuare a sognare. Ma credo che sia soprattutto grazie a questo filtro del “sogno” che tanti di noi riescono ad affrontare la dura realtà, che solo così riusciamo ad inforcare la nostra moto per vivere qualche sempre più raro momento di felicità.
Perché la sicurezza non esiste quasi più, non riusciamo a garantirla neppure nella nostra civilissima Italia. E parlo delle strade rotte che non ripariamo più, delle malefatte impunite di troppa gente al volante, del mancato contenimento degli animali selvatici… Ci mancava pure la peste suina che si diffonde tra i cinghiali, mettendo a rischio uno dei settori alimentari più importanti e blindando 114 comuni liguri e piemontesi…
Qualche volta viene da chiedersi che razza di futuro ci attende. Melandri fa in fretta - è la vecchia storia del “piove governo ladro” - ma la situazione è molto più complicata: il sogno lo hanno (e lo abbiamo) rubato a tutti noi, e in particolare a quelli molto più giovani di noi.