Nico Cereghini: “Il tifo-contro non è invenzione di oggi”

Nico Cereghini: “Il tifo-contro non è invenzione di oggi”
E’ bello avere opinioni diverse e confrontarsi. Qualche volta i temi sono “caldi” e allora qualcuno va oltre, ma poi ci si capisce. Purtroppo, già trenta o quarant’anni fa esisteva il tifo antisportivo | N. Cereghini
27 dicembre 2012

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Ciao a tutti! Alla fine di un altro anno voglio ringraziare Altri Tempi e tanti altri amici/lettori come lui che commentano i vari articoli e anche i miei editoriali con passione; non sempre in accordo con noi, ci mancherebbe altro, ma arricchendo ogni discussione con argomentazioni approfondite. Anche quando esco dai temi tradizionali, anche quando ne so poco e magari deludo, scopro che siete tanti ad aver voglia di dibattere, e lo fate con profondità ed equilibrio. Ne viene fuori quello che, in una parola, si definisce Cultura. Grazie.

E mi viene da dire che non siamo diventati barbari come qualcuno sostiene. Siamo, più o meno, sempre uguali. Siamo quasi tutti sereni, equilibrati, civili quando il tema ci coinvolge a livello di testa: siamo più impetuosi e passionali quando sentiamo il tema “nella pancia”. Come il tifo. Non è vero quello che si dice, che una volta tifavamo tutti in un bel modo, che finita la gara ci si abbracciava festosi. E’ una generalizzazione, perché anche trenta e quarant’anni fa c’erano gli antisportivi. E non è nemmeno del tutto vero che il “tifo-contro” sia stato importato dal mondo del calcio o da un determinato gruppo di fans.

Mi viene in mente Imola, F1 1983, quando Riccardo Patrese, in testa alla corsa con la Brabham, venne fischiato dalla maggioranza degli spettatori perché era andato al comando, e poi schernito con gesti, urla e pernacchie quando finì contro le barriere. I tifosi italiani erano felici che a vincere fosse Tambay perché era sulla rossa. Ferraristi, si disse allora, febbre alta e sportività zero.

Si tifava per l’uomo, tenevi per Ago o per il Paso, e la MV Agusta non era niente, era il capriccio del conte, non era un fenomeno, non era una leggenda o una fede come la Ferrari

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Inutile girarci intorno: il tifo è antisportivo per definizione. Materia atavica, eredità del medioevo, delle guerre tra i Comuni, del campanilismo. E se fino a pochi anni fa quel certo tipo di tifo irrazionale –quello che ti fa sragionare- è rimasto estraneo al motociclismo, è soltanto perché tra noi nessuno si identificava con la marca, con la squadra. Si tifava per l’uomo, tenevi per Ago o per il Paso, e la MV Agusta non era niente, era il capriccio del conte, non era un fenomeno, non era una leggenda o una fede come la Ferrari. Come è invece diventata la Ducati per la sua bella storia vincente da quarant’anni in qua. E poi una differenza fondamentale è Internet: strumento magnifico, che però libera anche la maleducazione sulla piazza virtuale.

Questa la mia opinione, e colgo l’occasione per aggiungere che lo sport è anche spettacolo, soprattutto per chi lo guarda. E che spettacolo sarebbe senza partecipazione? Opinioni e critiche sono più che lecite, che vengano dal pubblico e anche dai giornalisti o dai telecronisti. Si può anche sbagliare, qualche volta, e se si esagera poi ci si spiega, e quasi sempre ci si capisce perché la passione in comune aiuta. Preferireste sentire raccontare che tutti i piloti sono bravissimi, bellissimi e simpaticissimi? E che tutte le moto sono velocissime ed efficacissime? Allora tanto varrebbe, dico io, mettere una voce sintetica collegata ai trasponder e alla classifica.

E buone feste a tutti!

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