Nico Cereghini: “La due tempi preferita”

Nico Cereghini: “La due tempi preferita”
Si torna a parlare di motori a due tempi, un discorso che pareva chiuso. Che emozioni dentro tutto quel fumo! Raccontatemi le “vostra” due tempi preferita: i più giovani scopriranno un mondo nuovo
1 agosto 2017

Punti chiave

Ciao a tutti! Massimo Clarke vi illustra da par suo, con lucida analisi, il ritorno sulla scena del motore a due tempi, nonostante tutto mai veramente abbandonato.
Io, che della moto ho una visione più romantica che tecnica, nell’argomento mi ci tuffo volentieri; penso ai lettori più giovani, a quelli che non hanno vissuto l’epoca d’oro del motore a miscela, vorranno capire perché sia sempre così forte il rimpianto per il motore a due tempi sulle moto stradali.

Le crepitanti 125 rappresentano un fenomeno degli anni Ottanta e Novanta ampiamente raccontato. Partiamo da qui. Sportive come la Cagiva Mito o la RS Aprilia erano moto semplici, leggere, agilissime, potenti ed emozionanti da guidare. Ma prima di quelle c’erano state moto a due tempi ancora più incredibili, moto che volavano letteralmente.
Tante moto, impossibile citarle tutte, ma tra le belle e indimenticabili metto la furiosa Kawasaki tre cilindri 500 di fine anni Sessanta, seguita poi dalla notevolissima 750 e dalla 400; le Suzuki, prima la solida bicilindrica Titan 500 arrivata qui nel 1970, poi le tre cilindri 380, 550 e 750; e ancora le splendide bicilindriche Yamaha RD 250 e 350, ad aria e poi a liquido; e infine, il massimo, le repliche delle 500 da GP.

 

Il meraviglioso sibilo allo scarico, l’accelerazione tremenda, la totale mancanza del freno motore. Erano moto agilissime, leggere, avevano tante qualità; anche se purtroppo non mancavano i problemi come il consumo quasi sempre esagerato, le vibrazioni eccessive, talvolta la scarsa affidabilità

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La prima fu la Yamaha RD 500 LC del 1984, bella come la GP di Kenny Roberts, due espansioni sotto e due sopra, la valvola YPVS allo scarico e un borbottio che diventava sibilo; subito dopo arrivarono la Suzuki RG 500 Gamma (quattro in quadrato) e la Honda NS 400 tre cilindri. Nel cuore di molti lettori ha un posto speciale l’ultima 250 stradale: la splendida Aprilia RS nata nel ’95 sulla scia della Suzuki “Gammina” e del primo mondiale di Max Biaggi: telaio a doppio trave d’alluminio spazzolato, motore Suzuki a V (rivisto a Noale, 61,3 cavalli a 11.000 giri) solo 150 chili sulla bilancia, in listino fino al 2002.

Il meraviglioso sibilo allo scarico, l’accelerazione tremenda, la totale mancanza del freno motore che (una volta assimilata) garantiva entrate in curva fulminee senza scompensi di assetto. Frizione antisaltellamento? No grazie. Erano moto agilissime, leggere, avevano tante qualità; anche se purtroppo non mancavano i problemi come il consumo quasi sempre esagerato, le vibrazioni eccessive, talvolta la scarsa affidabilità.

Io sono sentimentalmente legato a tre Suzuki: la Titan 500 di serie, che è stata anche la mia prima moto in pista nelle derivate, e poi nel ’75 anche la mia prima 500 da corsa (la Jada ex-Findlay comprata usata, telaio Fontana e cilindri Daytona, vincitrice del Gran Premio dell’Ulster 1971); poi la incredibile RG quattro cilindri nata per la stagione mondiale 1976, sessanta esemplari in tutto il mondo, una moto che avrà avuto novanta cavalli ma fino alla terza non si riusciva a tenerla giù davanti. E infine la GT 750, che consumava troppo ma è stata una delle mie stradali preferite per viaggiare.
 

E però se devo indicare la moto a due tempi più rappresentativa della mia storia, allora dico Kawasaki: la famosa tre cilindri Mach III del ’69. Era una moto rustica, non certo una signora sofisticata come la Honda CB 750 Four. La Kawa beveva come una spugna, mai più di 10 km/litro guidando allegri, gran fumo allo scarico perché una buona dose del carburante finiva allegramente nell’atmosfera senza bruciare, frequenti grippaggi per il cilindro centrale che non raffreddava come gli altri due. E poi la frenata insufficiente, e le due ruote che nei curvoni svirgolavano su piani diversi. Insomma, i difetti non le mancavano, eppure, quando era a posto, che moto, che impennate, che sibilo! Quando la provai per la prima volta fu come fossi catapultato nello spazio.

E voi? L’avete avuta o provata una stradale due tempi mitica dalla 125 in su? Pensateci bene e diteci qual è la “vostra” due tempi.

 

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