Nico Cereghini: ”La moto stracarica”

Nico Cereghini: ”La moto stracarica”
C’è anche quella, la moto-mulo, e qualche volta mi piace guidarla ancora oggi. Non siate troppo severi: in tutte le condizioni limite c’è il sottile piacere della sfida con sè stessi. E qui si rischia poco o nulla
16 febbraio 2016

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Ciao a tutti! Vado al supermercato a fare la spesa grossa, naturalmente con la moto, e mi ingegno per sistemare tutto a bordo, anche il sacco di sabbia per il gatto, il fustino del detersivo liquido e le due confezioni da sei bottiglie (di plastica, non di vetro) dell’acqua minerale. Nel baulotto infilo le borse con la spesa corrente, poi sistemo il resto in uno scatolone che lego bene sulla sella, che è larga, alle mie spalle. So già che con un baricentro così alto non potrò fare delle gran pieghe, tornando a casa, e gli inserimenti in curva andranno accompagnati un po’ di più, però della mia moto mi piace anche questo: la possibilità di caricarla quasi come l’auto (che in città non voglio usare mai) e di potermi divertire abbastanza anche quando la guido così. So che i puristi storceranno il naso, e del resto, se ancora avessi la supersportiva come qualche anno fa, tutto questo sarebbe impossibile. Oppure no?


Mi accorgo che questa passione per la moto-mulo, a pensarci bene, l’ho sempre avuta. Credo che sia un retaggio della mia infanzia, passata a studiare i motociclisti-pastori e i motociclisti-boscaioli delle prealpi Orobiche. Gente che sul 150 Gilera trasportava oltre alla moglie anche il vitello, o con le funi d’acciaio legava a terra il Galletto della Guzzi per trasformarlo nel motore di una teleferica. La moto vissuta come eclettico e vigoroso compagno di lavoro. E così più avanti, da fattorino part-time diciassettenne, mi ingegnavo per trasportare con la mia Giubileo 98 Extra due materassi singoli da 185x80 alla volta. Erano materassi in gommapiuma Pirelli, con quelli a molle non sarebbe stato possibile: li arrotolavo belli stretti, li legavo uno davanti e l’altro dietro e mi sentivo un drago. Gli agenti della Polizia Locale erano banalmente dei semplici Vigili, allora, e lasciavano correre. Dopotutto, fossi anche caduto, di sicuro non mi sarei fatto niente.


E torno alla supersportiva. Sulla mia SF 750 Laverda dei primi anni Settanta avevo montato il manubrio in due pezzi e l’assetto era un po’ estremo, eppure arrivai fino ad Atene e Salonicco dopo aver seguito tutta la costa jugoslava. Trasportando la ragazza, il normale bagaglio per venti giorni di vacanza e il carico seguente: tenda, materassini e sacchi a pelo, batteria di pentole e fornelletto a gas. Era un brutto vedere, pessimo portapacchi posteriore e due portapacchi laterali con borsoni militari legati alla meglio. E lì, col manubrio basso e stretto, o mi scoppiava il tunnel carpale o diventavo Braccio di ferro. Era fine agosto quando tornai a casa, e due settimane dopo partii alla volta di Le Mans per correre il Bol d’Or con la Laverda-Segoni e il mio amico Giancarlo Daneu. Feci tutta la 24 Ore senza patire la minima fatica.


La moto può essere arte nelle mani di gente come Valentino o Tony Cairoli, può essere divertimento ed evasione per tutti, ma anche mezzo di lavoro o di allenamento. Sono tanti i modi per viverla. Non siate severi con chi la usa diversamente da voi, e siate comprensivi con chi non sa guidarla bene quanto voi.

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