Nico Cereghini: “La piega, essenza della nostra passione”

Nico Cereghini: “La piega, essenza della nostra passione”
Trenta o sessanta gradi, dipende dalle condizioni, ma inclinare la moto in curva è al centro delle nostre soddisfazioni. E lì che i piloti professionisti più assomigliano a noi | N. Cereghini
6 agosto 2013

Punti chiave


Ciao a tutti. Guardo le immagini on-board che passano in tivù, parlo di MotoGP, e vedo in sovraimpressione sul “piegometro” che oggi i piloti superano comodamente i 60 gradi di piega. Possibile? Forse ricordo male ma ai miei tempi, studiando malamente fisica, sapevo che oltre i 45 gradi di inclinazione con le due ruote non si potesse andare. Evidentemente gomme e telai e sospensioni hanno fatto sballare ogni teoria. La piega, che bellezza: per molti di noi il fondamento della nostra passione. Quanto potevo piegare con il mio primo motorino? Poca roba. Iniziai a interessarmi di angoli un po’ più avanti, all’età del liceo e con la prima moto vera: mi facevo fotografare in piega, poi tracciavo con la biro, sulla stampa in bianco e nero, le due linee fondamentali, piano strada e asse della moto; quindi misuravo scientificamente l’angolo col goniometro.


L’avrete fatto anche voi, e per la verità non ricordo valori superiori ai 30-35 gradi. Mi applicavo molto su strada e poi, quando finalmente entrai nella rosa dei collaboratori-tester di Motociclismo, presi ad entrare in pista tutte le volte che potevo. E anche una volta che non avrei potuto. Era una bellissima Honda 350 scrambler rossa metallizzata e nell’autunno del 1970, in esemplare unico, fu introdotta in Italia

All’uscita della curva numero 3, destra da seconda, la bicilindrica partì senza preavviso e lo sprovveduto aspirante pilota, seduto sull’asfalto a settanta all’ora, finì con i piedi avanti contro il nudo guard-rail seguito dalla schianto della magnifica Honda

Naviga su Moto.it senza pubblicità
1 euro al mese

dall’importatore ufficiale e subito passata al prestigioso mensile. Incaricato della prova su strada il veterano Bruno De Prato, molto preparato e da tutti noi giustamente invidiato. Il box, in corso Italia in centro a Milano, era sempre aperto anche di sabato: cosa ci voleva a sottrarla per un giretto sulla junior di Monza? De Prato non se ne sarebbe mai accorto, garantito, ma purtroppo le gomme tassellate ti fregano quando meno te lo aspetti: all’uscita della curva numero 3, destra da seconda, la bicilindrica partì senza preavviso e lo sprovveduto aspirante pilota, seduto sull’asfalto a settanta all’ora, finì con i piedi avanti contro il nudo guard-rail seguito dalla schianto della magnifica Honda, l’unica in Italia.


Caviglia malamente fratturata, due mesi di gesso e l’incazzatura dell’importatore Honda e di tutto lo staff della Edisport. Che ne sa certa gente della passione pressante e della ricerca scientifica della massima piega? L’inflessibile editore mi condannò a pagare i danni, e ci misi un annetto a capire che più fesso di così non avrei potuto essere. Mi sarei riscattato qualche anno dopo, piegando sempre di più sulle più belle piste del mondo, in quasi assoluta sicurezza, su moto più prestigiose. Fino a mettere il ginocchio per terra alla fine degli anni Settanta, emulando Kenny Roberts e i suoi primi slider rudimentali: un flacone di Olio Castrol da ritagliare e il nastro americano per il fissaggio. Oggi i piloti piegano il doppio e toccano anche con il gomito, ma la soddisfazione è sempre quella. La nostra.

Argomenti

Caricamento commenti...

Hot now