Nico Cereghini: “La vostra frenata indimenticabile”

Nico Cereghini: “La vostra frenata indimenticabile”
Una visita alla Brembo mi frena sui dischi e sui tamburi. Sono passati pochi anni, in fondo, per passare dagli spaventi ai freni che frenano davvero. Qualche esperienza personale può servire
1 dicembre 2015

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Ciao a tutti! Ero alla Brembo, pochi giorni fa, e presto vedrete sul sito i nostri servizi in merito. Quarant'anni di impegno nelle competizioni a due e quattro ruote, la leadership incontrastata in F1 e in MotoGP, qualcosa come tremila dipendenti soltanto in Italia, sono tanta roba. Brembo è uno di quei marchi italiani che il mondo ci invidia davvero, una magnifica realtà fatta di genialità e metodo, impegno costante e tanta ricerca. Nel reparto racing di Curno ho rivisto amici come Eugenio Gandolfi, che ha seguito il mondiale per quasi trent'anni e ha vissuto sempre in piena accelerazione frenando un pochino solo da un paio di stagioni. E tante immagini mi sono tornate in mente, partendo dal freno a disco: oggi è una cosa scontatissima, ma per quelli della mia generazione è stato una conquista. Noi abbiamo patito il surriscaldamento dei freni a tamburo sulle prime maxi moto che andavano forte, siamo quelli che in discesa si sono presi strizze da capelli bianchi.

 

E spaventi anche in pista. Ricordo la prima SFC 750 Laverda del '72. Gran moto, all'avantreno un magnifico tamburo Ceriani a doppia ganascia da 230 mm, offerto in alternativa a quello di serie con cinquantamila lire in più. Questo freno frenava forte ma aveva un difetto: una delle molle di richiamo si rompeva facilmente, così che tu rilasciavi la leva ma una delle ganasce continuava a lavorare a tradimento sul tamburo, fino al surriscaldamento. A Monza magari perdevi trecento metri sul dritto e ti chiedevi perché, il giro dopo erano già cinquecento, e se non imboccavi in fretta la corsia box rischiavi il bloccaggio della ruota. Ho visto gente volar via per quel problema.

 

La prima volta che vidi un disco montato su un moto fu nel dicembre 1969. In piazza Duomo a Milano c'erano le vetrine delle storiche telerie Galtrucco, una famiglia di imprenditori molto appassionata di moto. Lorenzo e Renato furono piloti, il secondo perse la vita a Monza nel luglio 1973. E tra i tessuti, a sorpresa, quell'inverno 1969 apparve dietro al vetro una Honda CB 750 Four, quattro cilindri e il freno a disco (singolo) davanti. In Italia non si era ancora vista. Ricordo il primo test per Motociclismo a primavera, Adalberto Falletta e poi io sulla superstrada Milano-Lecco. Frenerà davvero? Ci fidavamo poco, ma frenava. Devo dire che eravamo un po' in confusione perché si stentava a star dietro alle novità. Due e quattro tempi, architetture motoristiche di tutti i tipi, cambio a destra e cambio a sinistra, ciclistiche in movimento, una vera ubriacatura.

 

Ma i freni a questo servono: a rallentare e, se occorre, a fermarsi il più in fretta possibile. Ciascuno di noi ha certamente qualcosa da raccontare sui freni e sulle sue frenate più epiche. Prima dell’ABS, che ci ha semplificato la vita un bel po’, ma anche dopo. Kevin Schwantz potrebbe raccontarci di quella famosa staccata vincente su Rainey ad Hockenheim, nel '91, la Suzuki numero 34 che saltava con le ruote bloccate. Ma non è indispensabile viaggiare a quei livelli: basta una frenata che ci ha inorgoglito anche senza standing ovation, o quella sbagliata con successivo dritto nei campi alla Joe Bar, o quella che a momenti finiva proprio male. Mettiamo insieme le nostre esperienze, anche per mettere in guardia le future generazioni.

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