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Ciao a tutti! Adesso che la stagione mondiale sta per ricominciare ed è l’edizione numero sessantotto, lasciate che per scaramanzia –volendo immaginare che un pilota dei nostri, uno a piacere, possa vincere il titolo più importante- vi racconti del primo italiano che fu campione del mondo nella classe al top. Si chiamava Umberto Masetti e ha avuto una storia che vale la pena di conoscere.
Umberto era parmense, è scomparso dieci anni fa e oggi avrebbe novant’anni perché era nato nel 1926; figlio di un concessionario Gilera, ragazzo vivace e intelligente, iniziò a correre di nascosto con una Parilla: era molto veloce, la Gilera lo venne a sapere e gli diede fiducia. Per farla breve, eccolo ventitreenne nella prima edizione del mondiale, 1949, con addirittura tre moto: Morini 125 (terzo assoluto, campione Pagani su Mondial), Benelli 250 (decimo, campione Ruffo su Guzzi), Gilera 500 mono (zero punti, l’inglese Graham campione del mondo). Allora si poteva fare tutto, anche se tutto era molto difficile, gli ingaggi erano scarsi e ogni trasferta era un’avventura. C’erano soltanto sei gare l’anno, però lunghette: a Monza 201 km con le 500, all’Ulster 398 km, al TT addirittura sette giri per 425 chilometri. Immaginate di farci due o tre classi come il Masetti, che però nel 1950 si concentrò sulla sola 500. E vinse il titolo mondiale.
Prima gara al TT, vittoria al britannico Duke con la Norton in 2 ore e 51’ e i gileristi a casa; poi il Belgio a Spa, dove le nuove Gilera quattro cilindri di Masetti e Pagani trionfarono a 162 di media davanti a migliaia di poveri minatori italiani che erano accorsi per vederli. Masetti vinse anche ad Assen la settimana dopo, e con altri due secondi posti e un sesto riuscì a precedere Duke che pure aveva vinto una gara in più. Terzo nel ‘51 dietro al solito Duke e all’altro gilerista Alfredo Milani, Umberto replicò il titolo nel ’52. Poi la Gilera lo fece arrabbiare dando la moto anche a Geoff Duke e lui passò alla MV senza tanta fortuna.
Feste, belle auto e belle donne. Masetti non viveva da sportivo esemplare, piuttosto da protagonista del jet set, come si diceva allora, e a un certo punto pare si sia innamorato di Moira Orfei, che negli anni Cinquanta era una gran bellezza e però non era libera. Perché Umberto si trasferì in Sud America nel ‘60? Forse per cambiare aria, forse per tentare un rilancio da pilota, forse perché non aveva scelta. E dunque il Cile, ancora qualche gara, poi il lavoro come capo collaudatore della Fiat cilena. Io l’ho conosciuto quando tornò nel ’72 per disputare (a 46 anni…) la 200 Miglia di Imola. Era senza un soldo eppure allegro, simpatico, un ragazzo che non vuole invecchiare, sempre appassionato di moto. Più avanti, stabilmente in Italia, Umberto ricorse invano alla legge Bacchelli, il Fondo che aiuta i cittadini illustri in difficoltà, e alla fine degli anni Novanta potevate incontrarlo nell’area di servizio di Modena Nord, sulla A1. Mi ha fatto il pieno più di una volta.
Eh già, oggi i protagonisti della top class sono Rossi, Dovizioso e Iannone. Veri professionisti e imprenditori di se stessi. Il primo della lista, sessantasei anni fa, era un talento sregolato che correva con la Gilera, vinceva tanto ma guadagnava poco, e quel poco non gli bastò per vivere come sognava.