Nico Cereghini: "Massimo Tamburini inedito"

Nico Cereghini: "Massimo Tamburini inedito"
Quando nacque la prima Bimota stradale, la Suzuki SB2, Massimo fu costretto a rivedere le sue intuizioni e a rimandare l’applicazione delle sue idee rivoluzionarie. Ecco come andò | N. Cereghini
1 luglio 2014

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Ciao a tutti! Di sbagliare una moto può capitare, è successo alle case più importanti del mondo, ed è capitato anche a un artista come Massimo Tamburini. Vi racconto la faccenda soltanto per ribadire quanto fosse eccezionale questo personaggio, amatissimo da tutti i motociclisti per ciò che ha saputo trasmettere attraverso le sue moto. Speciale anche nel reagire all’errore.

Era il ’76 e la Bimota di Morri e Tamburini, dopo aver proposto le belle moto da corsa su base Yamaha e Harley-Davidson 250 e 350, voleva fare il salto di qualità. Ormai tutti conoscevano la piccola casa di Rimini, nata nel ’73, il sogno era quello di costruire una moto sportiva in piccola serie per tutti quei motociclisti che amavano le belle forme e la bella guida. Le giapponesi dell’epoca, per quanto potenti, erano instabili e poco precise.

In breve, la Suzuki-Saiad (importatrice di allora) si prestò a fornire i suoi motori GS 750 quattro cilindri e al Motorshow di Bologna, a dicembre, il prototipo fu pronto. Rivoluzionario: aveva un leggerissimo telaio scomponibile al cromo molibdeno, aveva il perno forcellone quasi coassiale al pignone uscita cambio, e soprattutto aveva il serbatoio del carburante posizionato sotto al motore e gli scarichi sopra le testate.

Massimo aveva dovuto abbandonare le scelte anticonvenzionali per serbatoio e scarichi, e purtroppo la moto non voleva fare le curve

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Massimo Tamburini mi chiese di sgrossare un po’ la sua creatura, a Misano, per capire se poteva funzionare. E al gelo pareva di sì. Ma quando, in tarda primavera, proseguii i collaudi sulla strada, disastro: nel frattempo la SB2 era stata modificata radicalmente, Massimo aveva dovuto abbandonare le scelte anticonvenzionali per serbatoio e scarichi, e purtroppo la moto non voleva fare le curve. Già, era quasi inguidabile, la fretta di uscire era stata cattiva consigliera. E allora fui costretto a bocciarla, prima direttamente con i riminesi e poi con Maurizio Zanetti della Suzuki-Saiad. Sapete che quando parlo delle moto venute veramente male dico pane al pane. Per Tamburini e Morri fu una doccia fredda, anche perché le aspettative erano alte nonostante la moto fosse in listino a un prezzo più che doppio rispetto alla Suzuki GS 750 di serie. Fu necessario ricominciare il lavoro e rimandare la presentazione della moto definitiva al salone di Milano, a fine anno. Perdendo praticamente una stagione e creando anche qualche difficoltà finanziaria alla giovane Bimota.

Massimo Tamburini non perse il sorriso e si mise di nuovo al tavolo da disegno senza perdere un briciolo del suo entusiasmo. Ecco il ricordo di lui che mi è saltato fuori pochi giorni fa. Sono passati quasi quattro mesi da quando Massimo ha lasciato i suoi affetti e le sue moto di questa terra; per raggiungere –come ha scritto qualcuno tra voi- il suo amico Claudio Castiglioni e divertirsi a costruire insieme le moto più belle per le piste del cielo. Sono immagini esagerate? Forse sì, ma non fuori luogo, perché Massimo è stato il poeta della moto e viene naturale pensare a quadri romantici quando lo si vuole ricordare.

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