Nico Cereghini: “Mettiamo sul podio le nostre emozioni?”

Nico Cereghini: “Mettiamo sul podio le nostre emozioni?”
Moto belle e moto brutte sono categorie che non convincono tutti. E allora proviamo ad andare oltre: riusciamo a catalogare le moto in base alle nostre emozioni? | N. Cereghini
5 marzo 2013

Punti chiave


Ciao a tutti! Ancora una volta, per concludere almeno provvisoriamente l’argomento, torno sulle moto belle e brutte per tirare le somme dopo le vostre osservazioni. Il tema ha divertito molti di voi, perché stilare classifiche è sempre interessante, ma ha suscitato in altri una calorosa protesta: perché tentare di catalogare le moto sui canoni estetici? Per molti è una cosa che non si deve e non si può fare, perché si entra in una sfera troppo personale, perché si spezza una magia, perché si rischia di offendere chi di noi ha fatto un percorso diverso, perché le moto sono come le donne, perché il fascino pesa più della perfezione, perché ciò che conta è l’emozione eccetera eccetera. E io sono d’accordo con tutti voi, tranne con chi afferma che “queste sono soltanto chiacchiere da bar”. Se al bar si filosofeggia, allora a me piace ascoltare e partecipare.

Io penso che prima o poi, tanto per divertirci, magari proveremo davvero a stilare una specie di classifica sulle moto belle e su quelle brutte. Seguendo i vostri consigli potremmo dividerle per periodi storici, o per nazione, chissà. Ma intanto allargo il campo nell’altra direzione: indagando tra le emozioni e tentando di classificare con quelle. Personalmente ho tre moto nel cuore, e cioè la prima sulla quale sono salito da bambino, la prima che ho veramente sentito mia, e infine quella che più ho desiderato. Ecco il mio podio virtuale.

Lambretta D 1952
Lambretta D 1952
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Non potrò mai dimenticare l’emozione di salire per la prima volta sulla moto di uno zio materno. Moto per modo di dire. Mio padre, gran lavoratore con dieci figli a carico, non aveva nemmeno la patente, mentre lo zio era considerato un vero motociclista perché nel ’52 aveva la Lambretta D. Mi prese a bordo per un giretto in un giorno di agosto, in piedi sulla pedana, le mani strette sul manubrio vicine a quelle dello zio, e ancora ho nel naso il profumo della gomma delle manopole misto a quello oleoso dello scarico, e nelle orecchie tutti i suoni: scappamento, cambio marce, i sassi dello sterrato sotto le ruote.

La mia prima moto fu invece una Gilera rossa. Lavorai quasi un anno, per averla, tutti i pomeriggi in un negozio di materassi; il concessionario si approfittò di uno studente diciassettenne molto sprovveduto, la mia Giubileo 98 trasformata in regolarità e pagata quasi come nuova era alla frutta. Durò meno di un anno. Eppure fu con quella che provai l’emozione della velocità pura, l’orgoglio di saperla guidare, e poi la scoperta delle traiettorie, la sensazione della leggerezza, la bellezza di accordare al cuore il regime del motore e di scoprirmi da solo e felice sulla strada. Indimenticabile.

Nico Cereghini sulla Gilera 98
Nico Cereghini sulla Gilera 98


E infine la BSA Spitfire MK III del ’67, versione Europa. Il mio sogno, il più grande desiderio irrealizzato. Ore ed ore davanti alla vetrina del concessionario Ghezzi a Milano, il poster sopra il letto, una vita a desiderare quella bicilindrica da 54 cavalli che prometteva addirittura i duecento chilometri orari. Ancora oggi, a guardare le fotografie, la Spitfire mi sembra la più bella moto del mondo: la purezza delle linee, la musica promessa dagli scarichi, la gioia che anticipa quella sella, tutta quella strada dentro il grande serbatoio. E’ un quadro di colori, forme, superfici, emozioni che un vecchio progettista inglese di cui nemmeno conosco il nome ha fatto –ecco il miracolo- pensando proprio a me.

Attendo i vostri podi, o le graduatorie emozionali che vorrete fare.

 

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