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Ciao a tutti! A Le Mans domenica scorsa faceva freddo e va bene, non contiamo le cadute di Le Mans. Però…
Sul circuito Bugatti ci ho corso anch’io, diverse volte nelle 24 Ore e nel GP di Francia. Si cadeva anche allora ma si cadeva molto meno, pure al Bol d’Or di fine settembre con la pioggia e con il freddo. Che gomme avevamo? Combinazione, gli stessi marchi di oggi. In 500 Michelin: le prime slick al retrotreno e le scolpite PZ2 e PZ4 davanti; Barry Sheene, per fare un nome, nel ’76 tenne la scolpita per tutta la stagione, diffidava delle slick e vinse anche il titolo. Mentre nell’Endurance, con le grosse 1000, la prima scelta era Dunlop: K81 e K91. Sono passati quaranta e passa anni, giusto, è preistoria: ma allora, a maggior ragione, con tutta la tecnologia che c’è oggi, non dovrebbe essere difficile fornire alle moto da GP pneumatici perfetti o vicini alla perfezione. E invece...
I due fornitori hanno molte valide attenuanti. Non dimentichiamoci come eravamo messi in primavera, è già tanto che si corra con un calendario sistemato in questo modo. Certo a Le Mans domenica faceva molto freddo e sarebbe stato meglio disputare il GP di Francia a luglio e quello di Spagna a ottobre; ma forse era impossibile e poi Dorna, Michelin e Dunlop si sono sobbarcate un impegno gravoso e vanno ringraziate. Ma la cosa che conta è che queste gomme 2020 ce le saremmo trovate anche col calendario tradizionale. E non ci siamo.
Parto da Michelin: i nuovi pneumatici hanno mischiato i valori in campo e questo fa bene allo spettacolo, come dicono i sette vincitori diversi in nove gare. Ma l’allarme suona da mesi, le gomme stanno determinando nella MotoGP una fortissima e inedita selezione. Intanto, molte cadute, in prova e in gara con diverse e diffuse conseguenze. E poi troppe cose non vanno: troppi piloti devono cambiare radicalmente la loro tecnica di guida, troppi piloti si trovano improvvisamente a terra senza alcun avvertimento. E la scelta della gomma giusta per la gara è complicatissima, è un incubo che si trasforma spesso in una lotteria. Di proteste se ne sentono poche perché c’è una specie di vincolo contrattuale, ma il malumore è evidente.
Aggiungo che sarebbe pure rispettabile la scelta che sta alla base dell’impegno Michelin, che è: cronometro alla mano, far meglio di Bridgestone. Se non fosse che poi si pagano care le conseguenze, come il range troppo ridotto delle temperature ideali e le piccolissime differenze tra le mescole. La scelta della concorrente Dunlop, fornitrice delle classi minori, è diversa, ma anche qui abbondano le criticità: piloti preoccupati e acciaccati, mescole troppo dure che potrebbero coprire la distanza di due gran premi e che con le basse temperature ti mollano. Si è andati oltre, è arrivata l’ora di cambiare direzione: credo che i due costruttori debbano ripensare le loro strategie, per prima cosa, e che l’organizzatore dell’evento si decida a studiare una forma di accordo differente.
Occorre, mi conferma anche l’Ing, un comitato tecnico che definisca nei dettagli il contratto di fornitura. Che sia FIM o Dorna, oppure misto, cambia poco. Importante è che si concordano per primi gli obiettivi, in modo che la ricerca delle massime prestazioni -o all’opposto il contenimento dei costi- non comprometta la sicurezza. E poi vengano definiti i parametri tecnici: range di temperatura, numero delle mescole, percorrenza minima garantita, fornitura minima per pilota e team, costanza della qualità eccetera eccetera.